Ricorso in Cassazione: Quando i Motivi di Appello sono Inammissibili
Il ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, un momento cruciale in cui si può contestare una sentenza solo per vizi di legittimità. Proprio per la sua natura, le regole per accedervi sono estremamente rigorose. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre spunti importanti su due errori comuni che possono portare alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso: la presentazione di memorie fuori termine e l’introduzione di motivi mai sollevati nei gradi precedenti.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una condanna per furto aggravato in concorso, emessa prima dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte di Appello. L’imputato, condannato a una pena di due anni e otto mesi di reclusione oltre a una multa, decideva di presentare ricorso alla Suprema Corte, affidandosi a due specifici motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha basato il suo ricorso in Cassazione su due argomentazioni principali:
1. Violazione di legge per mancato esame di una memoria: Il ricorrente lamentava che la Corte di Appello non avesse preso in considerazione le sue conclusioni scritte, poiché presentate oltre i termini previsti. A suo dire, tali scritti avrebbero dovuto essere comunque valutati come memoria difensiva ai sensi dell’art. 121 del codice penale.
2. Violazione di legge sulla recidiva: Con il secondo motivo, si contestava la sentenza d’appello in relazione alla recidiva, chiedendone l’esclusione.
La Decisione della Suprema Corte: Inammissibilità
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa. Vediamo nel dettaglio il percorso logico seguito dai giudici.
L’irrilevanza della Memoria Tardiva Senza Pregiudizio
Riguardo al primo motivo, la Corte ha sottolineato un principio fondamentale del diritto processuale: una violazione procedurale, come il mancato esame di un atto tardivo, diventa rilevante solo se provoca un concreto pregiudizio ai diritti di difesa. Il ricorrente, nel suo atto, si era limitato a lamentare l’omissione, senza però specificare quale danno effettivo avesse subito. In assenza della dimostrazione di un pregiudizio reale, la presunta nullità non può sussistere e non può invalidare gli atti successivi, come stabilito dall’art. 185 cod. proc. pen.
Il Divieto di Introdurre Motivi Nuovi in Cassazione
Ancora più netta è stata la decisione sul secondo motivo. I giudici hanno rilevato che la questione relativa all’esclusione della recidiva non era mai stata sollevata come specifico motivo di appello nel giudizio di secondo grado. È un principio consolidato, ribadito dalla Corte, che nel ricorso in Cassazione non si possano introdurre questioni nuove, che non siano state precedentemente sottoposte al giudice dell’appello. Le uniche eccezioni riguardano le questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo o quelle che, per loro natura, non potevano essere proposte prima. Il caso della recidiva non rientrava in nessuna di queste eccezioni.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su principi cardine della procedura penale volti a garantire ordine, certezza e gradualità nel processo. Il primo principio è quello della tassatività delle nullità e della necessaria esistenza di un pregiudizio. Non ogni irregolarità formale produce l’invalidità di un atto; è necessario che essa leda concretamente il diritto di una parte. Nel caso specifico, non essendo stato specificato quale argomento difensivo cruciale fosse contenuto nella memoria tardiva, la sua mancata considerazione è stata ritenuta irrilevante.
Il secondo principio è quello del divieto di ‘ius novorum’ nel giudizio di legittimità. La Cassazione è un giudice della legge, non del fatto. Il suo compito è verificare che i giudici dei gradi inferiori abbiano applicato correttamente le norme, sulla base delle questioni e delle prove a loro sottoposte. Permettere di introdurre argomenti nuovi in questa fase snaturerebbe la sua funzione, trasformandola in un terzo grado di merito e violando il principio del doppio grado di giurisdizione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un messaggio chiaro per gli operatori del diritto: la preparazione di un’impugnazione richiede la massima diligenza. Ogni questione, sia di fatto che di diritto, deve essere sollevata tempestivamente e nel grado di giudizio appropriato. Attendere il ricorso in Cassazione per introdurre nuove doglianze o lamentare vizi procedurali senza dimostrarne il danno concreto è una strategia destinata al fallimento. La conseguenza, come in questo caso, non è solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a carico del ricorrente.
Una memoria difensiva presentata fuori termine deve essere sempre considerata dal giudice?
No. Secondo la Corte, se una memoria è presentata tardivamente, il suo mancato esame non determina la nullità del procedimento se il ricorrente non dimostra quale concreto pregiudizio ai suoi diritti di difesa sia derivato da tale omissione.
È possibile chiedere l’esclusione della recidiva per la prima volta con il ricorso in Cassazione?
No. La Corte ha stabilito che non è possibile dedurre con il ricorso per cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, cosa che non è per la recidiva.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29286 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29286 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il 19/03/1979
avverso la sentenza del 12/03/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catania, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Catania in data 1.12.2023, che aveva condannato NOME NOME alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 1.000,00 di multa per i reati di cui agli articoli 110 e 624 bis cod.pen.
L’imputato ricorre avverso la sentenza della Corte di appello lamentando, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione per violazione degli articoli 598 bis e 127 cod. proc. pen.; con il secondo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla richiesta di esclusione della contestata recidiva.
Il primo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia esaminato le proprie conclusioni scritte, perché fuori termine, rilevando che avrebbero dovuto essere considerate quale memoria depositata ai sensi dell’art. 121 cod pen. Orbene, il ricorrente non deduce quale sarebbe stato, in concreto, il pregiudizio patito in conseguenza del mancato esame della memoria prodotta, essendo pacifico, peraltro, che i termini per presentare motivi nuovi e memorie di replica erano scaduti. Va invero ribadito che, quando una violazione processuale non determina, in concreto, alcun pregiudizio ai diritti di difesa, deve escludersi che la eventuale nullità possa estendersi anche agli atti successivi, ai sensi dell’art. 185 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 33261 del 03/06/2016, Rv. 267670).
Quanto al secondo motivo, va rilevato che l’esclusione della recidiva non era stata proposta quale motivo di appello. E’ invero pacifico che possono essere dedotte con il ricorso GLYPH per cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello – ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza ( ex multis, Sez. 2, n. 22362 del 19/04/2013, Rv. 255940 – 01; Sez. 2, n.8890 del 31/01/201:7, Rv: 269368 01).
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma in data 14 luglio 2025.