Ricorso in Cassazione: Perché la Suprema Corte Non Può Riesaminare le Prove
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul funzionamento del nostro sistema giudiziario, chiarendo i limiti invalicabili del ricorso in Cassazione. La decisione sottolinea una distinzione fondamentale: il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito. Analizziamo insieme questa pronuncia per capire perché la Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella dei giudici dei gradi precedenti.
Il Caso: Un Ricorso Contro una Condanna per Rapina Impropria
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che aveva confermato una condanna per il reato di rapina impropria. La difesa dell’imputato ha basato il proprio ricorso su presunti vizi motivazionali, contestando in particolare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero l’intenzione di commettere la rapina.
Secondo la tesi difensiva, i giudici di merito non avrebbero valutato correttamente le prove, giungendo a conclusioni errate. Il ricorrente, in sostanza, chiedeva alla Corte di Cassazione di effettuare una nuova e diversa lettura dei fatti e delle testimonianze.
I Limiti del Ricorso in Cassazione: Giudizio di Legittimità e non di Merito
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 43450/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il ruolo della Cassazione come giudice di legittimità.
Questo significa che la Corte non ha il potere di:
1. Rivalutare le fonti di prova: Non può riesaminare testimonianze, perizie o documenti per formare un proprio convincimento sui fatti.
2. Proporre ricostruzioni alternative: Non può considerare una versione dei fatti diversa da quella accertata nei primi due gradi di giudizio.
3. Sovrapporre la propria valutazione: Non può sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito, anche se una diversa valutazione fosse astrattamente possibile.
Il compito della Suprema Corte è, invece, quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica della sentenza impugnata. Il controllo si concentra sulla motivazione: il giudice deve spiegare in modo chiaro, logico e non contraddittorio il percorso che lo ha portato alla sua decisione.
L’Inammissibilità del Ricorso e la Valutazione delle Prove
Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che le doglianze difensive non mirassero a evidenziare un vizio di legittimità (come un’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica), ma a sollecitare una rivalutazione del merito. Tentare di offrire una diversa interpretazione delle prove è un’attività preclusa in sede di legittimità.
La Corte ha specificato che il suo esame deve basarsi sugli stessi parametri valutativi usati dal giudice di merito, per verificare la coerenza interna e strutturale della sentenza. Non può confrontare il ragionamento del giudice con altri modelli argomentativi esterni.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità ribadendo principi consolidati. Ha affermato che le argomentazioni difensive tendevano a “prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti”, attività che sono “estranee al sindacato di legittimità”. Citando una storica sentenza delle Sezioni Unite (Jakani, 2000), la Corte ha ricordato che le è “normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia […] mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno”. Poiché i giudici di merito avevano ampiamente e logicamente esplicitato le ragioni del loro convincimento, senza criticità giustificative, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un promemoria essenziale sulla funzione del ricorso in Cassazione. Chi intende presentare un ricorso deve essere consapevole che non si tratta di una terza occasione per discutere i fatti, ma di un rimedio straordinario volto a garantire l’uniforme interpretazione della legge e il rispetto delle regole processuali. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende sottolinea le conseguenze di un ricorso che travalica i confini del giudizio di legittimità. La decisione riafferma la netta separazione tra il giudizio di merito, incentrato sull’accertamento dei fatti, e quello di legittimità, dedicato al controllo sulla corretta applicazione del diritto.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione non è un giudice di merito e non può effettuare una nuova valutazione delle prove o una ricostruzione alternativa dei fatti. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
Cosa significa che un ricorso è “inammissibile”?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito dalla Corte perché non rispetta i requisiti previsti dalla legge. Nel caso specifico, il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché chiedeva una rivalutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.
Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nel controllo sulla motivazione di una sentenza?
La Corte di Cassazione verifica la coerenza strutturale e la tenuta logica della motivazione, basandosi sugli stessi parametri valutativi utilizzati dal giudice che ha emesso la sentenza. Non può confrontare il ragionamento del giudice con altri possibili modelli argomentativi, ma solo controllare che quello adottato sia esente da vizi logici o contraddizioni.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43450 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43450 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME COGNOME CUI 05EMKRO ) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME, le cui ragioni sono state ribadite con memoria,;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deducono vizi motivazionali in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo della rapina impropria, non è consentito in sede di legittimità;
che, invero, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri d valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, dovendo piuttosto verificare la coerenza strutturale della sentenza alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (cfr. Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con argomentazioni esenti da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 6 e 7);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 10 settembre 2024.