Ricorso in Cassazione: Quando la Riproposizione delle Censure d’Appello è Inammissibile
Il ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo baluardo per la revisione di una sentenza, ma i suoi confini sono rigorosamente definiti dalla legge. Non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti, ma un controllo sulla corretta applicazione del diritto. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ribadisce questo principio fondamentale, dichiarando inammissibile un ricorso che, dietro la parvenza di una censura per vizio di motivazione, celava un tentativo di rivalutare il materiale probatorio.
I Fatti del Caso
La vicenda processuale riguarda due soggetti condannati nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, previsto dall’art. 640-bis del codice penale. Secondo l’accusa, confermata dalla Corte d’Appello, gli imputati avevano ottenuto illecitamente dei finanziamenti pubblici attraverso false dichiarazioni. Nello specifico, avevano attestato falsamente di possedere la qualifica di imprenditori agricoli e di essere in possesso di titoli legittimanti, in realtà falsi o invalidi, per accedere ai fondi.
Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e contestando la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.
La Decisione della Corte e il Ricorso in Cassazione Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un punto cruciale del nostro ordinamento processuale: la distinzione tra il giudizio di merito e il sindacato di legittimità.
I giudici hanno osservato che le censure sollevate dalla difesa non erano nuove, ma costituivano una mera riproposizione di argomenti già presentati e respinti dalla Corte d’Appello. Sebbene formalmente inquadrate come un “vizio di motivazione” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., le doglianze miravano in realtà a contestare la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito. In sostanza, la difesa non lamentava una motivazione assente, contraddittoria o illogica, ma proponeva una lettura alternativa delle prove, chiedendo alla Cassazione di sostituire la propria valutazione a quella dei giudici precedenti.
Le Motivazioni della Corte
La Suprema Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Il sindacato di legittimità è precluso dal riesaminare le prove e ricostruire la dinamica dei fatti.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione dettagliata e logicamente coerente (pagine 4-7 della sentenza impugnata), spiegando perché tutti gli elementi del reato di cui all’art. 640-bis c.p. fossero presenti:
* L’artificio: consistito nelle false dichiarazioni sulla qualifica di imprenditori agricoli e sul possesso di titoli validi.
* L’ingiusto profitto: rappresentato dalle somme indebitamente ricevute.
* Il danno per l’ente pagatore: corrispondente alle somme erogate.
* L’elemento soggettivo (dolo): la coscienza e volontà di porre in essere un atto simulatorio per ottenere un vantaggio a cui non si aveva diritto.
Poiché la motivazione della Corte d’Appello era esente da vizi logici o giuridici, il tentativo della difesa di ottenere una nuova valutazione del merito è stato correttamente ritenuto inammissibile.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre un importante monito per chi intende affrontare un ricorso in Cassazione. È essenziale comprendere che la Suprema Corte non è un “terzo giudice del fatto”. Le censure devono concentrarsi su specifiche violazioni di legge o su difetti manifesti nel ragionamento del giudice di secondo grado, senza trasformarsi in una sterile richiesta di riconsiderare le prove. Un ricorso che si limita a reiterare le argomentazioni di merito già respinte in appello, proponendo una diversa lettura delle prove, è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza precedente, mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa alla Corte di Cassazione.
Cosa significa che un ricorso non può essere una mera riproposizione dei motivi d’appello?
Significa che in Cassazione non si possono ripresentare le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello per contestare la ricostruzione dei fatti. Il ricorso deve individuare un preciso difetto di legittimità (violazione di legge o vizio di motivazione) nella decisione impugnata.
Quali elementi del reato di truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) sono stati ritenuti sussistenti?
La Corte ha confermato la logicità della motivazione d’appello che aveva individuato: l’artificio (false dichiarazioni sulla qualifica di imprenditori e sui titoli), l’ingiusto profitto (somme ricevute), il danno per l’ente erogatore e l’elemento soggettivo (la volontà di compiere l’atto fraudolento per ottenere un vantaggio indebito).
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34895 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34895 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Tortorici il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Tortorici il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/06/2024 della Corte d’appello di Messina
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi proposti, con un unico atto, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME;
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 640-bis cod. pen., non è formulat in termini consentiti dalla legge in sede di legittimità, poiché la difesa, reiterando profili di censura già dedotti in appello e già adeguatamente esaminati e disattesi dalla Corte territoriale, pur esprimendo formalmente censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, in realtà non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma finisce per contestare la decisione circa il giudizio di responsabilità, ritenendola errata, perché fondata su un travisamento del fatto in cui sarebbero incorsi i giudici del merito quale risultato di una diversa ricostruzione storica dei fatti e rilevanza e attendibilità delle prove, prospettando così una diversa lettura e una rivalutazione del materiale probatorio, estranea al sindacato di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione
di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito;
che la motivazione della sentenza impugnata (cfr. le pagg. 4-7, ove la Corte d’appello dettagliatamente spiega come sia possibile ravvisare, nel caso di specie, tutti gli elementi costituitivi del delitto contestato ed in particolare: l’art consistito nelle false dichiarazioni rese in ordine alla qualifica di imprenditor agricoli e al possesso di titoli legittimanti, falsi o invalidi, per otten finanziamenti; l’ingiusto profitto rappresentato dalle somme indebitamente ricevute con corrispondente danno per l’ente pagatore; l’elemento soggettivo del reato, rappresentato dalla coscienza e volontà di porre in essere un atto simulatorio per ottenere un vantaggio cui i ricorrenti non avevano diritto) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’ art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2025.