Ricorso in Cassazione: quando il vizio di motivazione non basta
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione richiede una profonda comprensione dei suoi limiti e delle sue funzioni. Non è una terza istanza di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti, ma una sede di legittimità. Un’ordinanza recente chiarisce perfettamente i confini del cosiddetto vizio di motivazione, uno dei motivi di ricorso più comuni ma spesso fraintesi.
Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso
La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di minaccia aggravata, confermata sia in primo grado che in appello. L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente una violazione di legge e un presunto vizio di motivazione nella sentenza della Corte d’Appello. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero valutato correttamente alcuni elementi probatori, giungendo a una conclusione illogica.
La Decisione della Cassazione: il Ricorso è Inammissibile
La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha respinto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si concentra esclusivamente sulla correttezza formale e logica del ricorso presentato. La conseguenza diretta per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la differenza tra vizio di motivazione e riesame dei fatti
Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione che la Corte opera tra un autentico vizio di motivazione, censurabile in sede di legittimità, e un tentativo mascherato di ottenere un nuovo giudizio sui fatti. La Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) del codice di procedura penale, si verifica solo quando il ragionamento del giudice è manifestamente illogico, contraddittorio o in palese contrasto con massime di esperienza consolidate. Non si tratta, quindi, di un’opportunità per la difesa di proporre una propria, alternativa, lettura delle prove.
Nel caso specifico, i giudici supremi hanno osservato che le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza d’appello si configuravano come ‘mere doglianze in punto di fatto’. La difesa, infatti, si era limitata a contestare l’attendibilità delle prove e a sottolineare aspetti secondari della narrazione, senza però dimostrare un’intrinseca illogicità nel percorso argomentativo seguito dalla Corte d’Appello. La motivazione della sentenza impugnata è stata ritenuta logica e coerente, fondata su una valutazione delle prove che, seppur non condivisa dalla difesa, rientra pienamente nelle prerogative del giudice di merito.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza serve come un importante monito per chi intende adire la Corte di Cassazione. Il ricorso per vizio di motivazione non può essere utilizzato come un pretesto per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti e la valutazione delle prove, compiti esclusivi dei giudici di primo e secondo grado. Un ricorso è destinato all’inammissibilità quando, dietro la formale denuncia di un vizio logico, si cela in realtà la richiesta di una nuova e diversa valutazione del merito della causa. La decisione rafforza il ruolo della Cassazione come custode della corretta applicazione della legge (giudice di legittimità) e non come un terzo grado di giudizio sui fatti (giudice di merito), con conseguenze economiche significative per chi presenta ricorsi infondati.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove o la credibilità di un testimone?
No. Secondo l’ordinanza, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può riesaminare i fatti o la valutazione delle prove. Critiche di questo tipo sono considerate ‘mere doglianze in punto di fatto’ e portano all’inammissibilità del ricorso.
Che cos’è un ‘vizio di motivazione’ che può essere denunciato in Cassazione?
Il provvedimento chiarisce che il vizio di motivazione censurabile è solo quello che emerge da un palese contrasto tra il ragionamento del giudice e le massime di esperienza, oppure da contraddizioni interne alla sentenza stessa. Non consiste in una diversa interpretazione delle prove proposta dalla difesa.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito in questo caso, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questa ordinanza è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31745 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31745 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ALIA il 10/06/1975
avverso la sentenza del 24/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo che ha confermato la pronuncia di condanna in ordine ai reati di cui agli artt. 612, comma 2, e 61, n. 5), 612, comma 2, cod. pen.;
Considerato che il primo ed il secondo motivo di ricorso – che possono essere congiuntamente trattati in quanto in entrambi il ricorrente denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla penale responsabilità – sono manifestamente infondati poiché il vizio censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quello che emerge dal contrasto dello sviluppo argomentativo della sentenza con le massime di esperienza o con le altre affermazioni contenute nel provvedimento; la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pagg. 2-6) non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 2, lett. e) cod. proc. pen., avendo la Corte argomentato la condanna sulla base della assenza di decisività dei rilievi della difesa in quanto relativi a segmenti secondari della narrazione non idonei a scalfire l’attendibilità delle prove assunte; inoltre, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2025 GLYPH