Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11492 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11492 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Saidy0mar, n. in Gambia 01/01/1990
NOME COGNOME n. in Mali 05/05/1990
avverso la sentenza n. 1368/23 della Corte di appello di Reggio Calabria de 12/10/2023
letti gli atti, i ricorsi e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
sentito pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore genera NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena nei confronti di NOME COGNOME e rigetto del ricorso nel resto e per il rigetto del rico NOMECOGNOME
lette le conclusioni scritte depositate, per il ricorrente COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME con cui insiste per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha ribadito le rispettive responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine a plurimi episodi di traffico di sostanze stupefacenti del tipo marijuana (art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, capi 2, 3, 4, 5, 12, 17, 19, 23 ascritti a COGNOME e 26, 28, 30, 31 e 33 ascritti a COGNOME), previa riqualificazione di alcuni ai sensi dell’art. 73, comma 5, st. d.P.R. (capi, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 18, 20, 21 e 22 ascritti a NOME e 24, 25, 27, 29, 32 ascritti a COGNOME), rideterminando le pene loro inflitte in primo grado all’esito di giudizio definito con ri abbreviato.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, deducendo i rispettivi motivi di seguito riassunti.
2. Ricorso Saidy
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alla ribadita affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 8 e all’esclusione di una possibile lettura alternativa della conversazione intercettata riguardo al suo oggetto concernente propriamente il prestito di una somma di denaro.
2.2. Vizio di motivazione con riferimento alla ribadita affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo 17 nonostante il contenuto della conversazione di riferimento oggetto di captazione non autorizzasse a ritenere concluso l’accordo in merito all’acquisito di un rilevante quantitativo (10 kg.) di sostanza stupefacente.
2.3. Vizio di motivazione ed erronea applicazione di legge con riferimento alla violazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 in relazione ai reati contestati ai capi 2, 3, 4, 5, 12, 19, 17 e 23 per i quali non è stata ravvisata l’ipotesi del fatto di lieve entità.
3. Ricorso COGNOME
3.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 125, 192 e 546 cod. proc. pen. e motivazione apparente, apodittica e manifestamente illogica in ordine alla
preliminare operazione di verifica circa la corretta identificazione dell’usuario dell’utenza intercettata (intestata ad altro soggetto) nella persona del ricorrente.
La Corte territoriale fonda la propria decisione su una motivazione come dianzi descritta con conseguenziale pretermissione delle specifiche censure mosse con i motivi di appello, anche in merito alla sussistenza del delitto nella forma della offerta in vendita.
3.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 cod. pen. per avere la Corte di appello omesso di motivare sia sulla misura della pena base sia sugli aumenti determinati a titolo di continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi vanno dichiarati entrambi inammissibili,
2. Ricorso Saidy
2.1. I primi due motivi del ricorso articolato da tale imputato debbono ritenersi improponibili, entrambi attenendo a questioni di esclusivo fatto, notoriamente estranee all’ambito del sindacato della Corte di cassazione.
Il ricorrente prospetta, infatti, una sua personale interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate, difforme da quella accolta dai giudici di merito, omettendo di considerare che in tale materia costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni stesse, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui sono recepite (tra molte v. Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337), fatto salvo il caso di interpretazione arbitraria che nella fattispecie decisamente non ricorre.
La Corte di appello ha, infatti, congruamente dato conto delle ragioni per cui ha ritenuto, con riferimento al reato di cui al capo 8 dell’imputazione, di escludere che i conversanti si riferissero ad un prestito di denaro piuttosto che ad una transazione illecita riguardante sostanza stupefacente (v. pag. 29 sent.) e con riferimento al capo 17 che i conversanti fossero impegnati ancora in una fase di trattative, dovendosi, per contro ritenere, che l’accordo si fosse già concluso, per cui le parti stavano solamente fissando le modalità esecutive di una imminente consegna di sostanza drogante (v. ancora pag. 29 sent. impugnata) e le valutazioni espresse, per quanto fondate sull’apprezzamento dei colloqui captati, ancorché in assenza di riscontri di altra natura (sequestri, servizi
di polizia di osservazione e pedinamento), si rivelano insuscettibili di censure sul piano logico-argomentativo.
2.2. Quanto all’applicazione del meno grave reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. cit. (terzo motivo di censura), va in primo luogo rilevato che la Corte di merito l’ha riconosciuto con riferimento ad altri reati in addebito (capi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14, 15, 16, 18, 20, 21, 22), mentre con riguardo a quelli oggetto della censura ha specificamente indicato le ragioni per cui ha ritenuto di non poter procedere al medesimo apprezzamento, essenzialmente derivante dal rilevante dato ponderale delle sostanze droganti costituenti oggetto delle transazioni illecite (v. pag. 30 in fine e pag. 31 sent. impugnata).
3. Ricorso COGNOME
3.1. Il primo motivo dell’impugnazione articolata da tale ricorrente appare manifestamente infondato.
Il tema posto attiene alla violazione del principio devolutivo (art. 597, comma 1, cod. proc. pen.) atteso che secondo il ricorrente, sarebbe stata omessa risposta alla specifica questione concernente la asserita mancata individuazione dell’imputato quale soggetto avente la disponibilità dell’utenza telefonica intercettata.
La palese destituzione di fondamento della censura consegue al rilievo che una specifica risposta alla deduzione si rinviene alle pag. 39 e 43-44 della sentenza impugnata, la doglianza venendo nondimeno riproposta tamquam non esset la diffusa argomentazione svolta dalla Corte territoriale.
Il giudizio di primo grado si è, del resto, svolto nelle forme del rito abbreviato ed entrambe le sentenze di merito non mancano di valorizzare il contenuto delle note di polizia giudiziaria circa il riconoscimento vocale del COGNOME da parte degli operanti, i quali lo conoscevano da lungo tempo in considerazione degli altri procedimenti avviati a suo carico, con la conseguente acquisizione al notorio investigativo della riferibilità allo stesso della scheda telefonica (NUMERO_DOCUMENTO), benché formalmente intestata ad altra persona.
A pag. 44 della sentenza impugnata si leggono anche le diffuse considerazioni svolte dai giudizi di appello in ordine alla (ribadita) rilevanza penale della mera offerta in vendita, con richiamo di pertinente giurisprudenza di legittimità secondo cui la condotta criminosa di “offerta” di sostanze stupefacenti si perfeziona nel momento in cui l’agente manifesta la disponibilità a procurare ad altri droga, indipendentemente dall’accettazione del destinatario, a condizione, tuttavia, che si tratti di un’offerta collegata ad una effettiva disponibilità, sia pur non attuale, della droga, per tale intendendosi la possibilità di procurare lo stupefacente ovvero di smistarlo in tempi ragionevoli e con modalità che
“garantiscano” il cessionario (vale per tutte il riferimento a Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263716).
3.2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo in tema di trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello ha individuato la pena base (in relazione al reato ritenuto più grave di cui al capo 33) in due anni e sei mesi di reclusione e 15.000 euro di multa; l’ha poi ridotta per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla misura di un anno e otto mesi di reclusione e 10.000 euro, aumentandola complessivamente di nove mesi di reclusione e di 8.000 euro di multa in relazione agli altri sei reati ascritti all’imputato in continuazione, tre de quali puniti ai sensi dell’art. 73, comma 4 e tre ex art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
Risulta, dunque, facile desumere che l’aumento per i reati più gravi è stato determinato in ragione di due mesi di reclusione ciascuno, mentre per i fatti di lieve entità l’aumento è stato della misura più contenuta di un mese ciascuno; sulla risultante è stata, quindi, applicata la diminuzione per il rito abbreviato fino alla misura di un anno, sette mesi e venti giorni di reclusione e 12.000 euro di multa.
L’agevole possibilità di ricostruire i passaggi intermedi nella determinazione del trattamento sanzionatorio consente in definitiva di attribuire alla doglianza un carattere, se non addirittura pretestuoso, sicuramente di palese inconsistenza.
Alla dichiarazione di inammissibilità delle impugnazioni segue, come per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.