Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6996 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME, nato a Nola il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Nola il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Somma Vesuviana il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Marigliano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli in data 11/07/2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale AVV_NOTAIO, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO e degli altri difensori, che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Napoli in data 29 aprile 2021, in esito a giudizio abbreviato, nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, di condanna per reati di associazione finalizzata al narcotraffico e relativi reati-scopo, incendio tentato, estorsioni continuate, consumate e tentate, come loro rispettivamente ascritti nell’imputazione.
Ricorrono gli indagati con atti a firma dei rispettivi difensori, articolando i motivi di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari alla motivazione, a sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso nell’interesse di COGNOME NOME (AVV_NOTAIO)
2.1.1. Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e vizi della motivazione.
La sentenza impugnata ha riconosciuto l’esistenza del reato associativo pur in presenza di due soli correi, posto che nei confronti degli altri affiliati, NOME COGNOME e NOME COGNOME, è stata esclusa la gravità indiziaria e gli stessi non sono stati mai imputati del delitto associativo.
Si sono ritenute probanti al riguardo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, il quale ha affermato che il ricorrente si è avvalso di una rete di spacciatori, in assenza di adeguati riscontri, di certo non evincibili dall conversazione intercettata il 24 febbraio 2016 tra il ricorrente e NOME COGNOME. La sentenza è carente di motivazione quanto al ruolo dei partecipi ed all’esistenza di un “pactum sceleris” e di una struttura organizzata dedita al traffico di stupefacenti; gli ammanchi registrati, riferibili a NOME COGNOME, sono logicamente incompatibili con l’esistenza di una cassa comune.
Quanto alla specifica posizione di NOME COGNOME, allo stesso sono riferibili iniziative (la avocazione della trattativa con i fornitori calabresi; l’accordo c NOME COGNOME, in virtù del quale, dal dicembre 2015, egli avrebbe percepito solo una provvigione sugli affari) che – si assume – sarebbero incompatibili con il ruolo di capo del sodalizio.
2.1.2. Inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. e vizi della motivazione, con riguardo ai reati di cui al capo 5.
La condanna è fondata sulle dichiarazioni accusatorie di COGNOME, che non sono tuttavia suffragate da riscontri individualizzanti.
Irrilevante è il dato, valorizzato in sentenza, della “fibrillazione” indotta in NOME e NOME COGNOME dalla prospettiva che NOME potesse intraprendere il percorso collaborativo.
In relazione al secondo segmento di condotta, relativo alla cessione di 50 gr. di cocaina, il Giudice della cautela aveva ritenuto integrata la gravità indiziaria a carico del solo COGNOME.
2.1.3. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 16).
Sono state oggetto di travisamento le dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME, ritenute idonee a riscontrare quelle della sorella NOME, destinataria diretta della richiesta estorsiva, mentre le rispettive dichiarazioni accusatorie divergono.
La Corte ha collocato temporalmente nell’aprile 2016, epoca a cui risale la presunta estorsione, fatti che NOME COGNOME aveva riferito essere avvenuti nel maggio 2015 ed ha ritenuto decisivo il riconoscimento fotografico del ricorrente quale autore della condotta, dallo stesso operato, benché non espresso in termini di assoluta certezza; né NOME COGNOME, né la sorella NOME, hanno offerto elementi di conoscenza utili alla identificazione dei soggetti che, nel 2016, avevano intimato il pagamento della tangente.
2.1.4. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110, 56, 423, 424 cod. pen, 266 e 270 cod. proc. pen. e vizi della motivazione in relazione al reato di cui al capo 18).
E’ stato ritenuto il tentativo di incendio in relazione a meri atti preparatori n punibili perché, pur astrattamente idonei, non univoci, mentre avrebbe potuto al più ravvisarsi il tentativo di danneggiamento seguito da incendio, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 424 cod. pen., o neanche ad essa, non essendo nemmeno sorto il pericolo di un incendio, inteso quale fuoco di vaste proporzioni.
Le intercettazioni – unico elemento probatorio posto a base della affermazione di responsabilità – non sono utilizzabili in relazione alla fattispecie derubricata, pu se aggravata ex art. 416-bis, 1, cod. pen., perché, essendosi ritenuto il tentativo, la pena edittale massima non raggiunge la soglia di ammissibilità di cui all’art. 266 cod. proc. pen.
Il ruolo di mandante di COGNOME non è coerentemente motivato, essendosi indicato nello stesso dapprima il committente di un pestaggio e, successivamente, l’autore di una affermazione che, al più, è integrativa del reato di minaccia (“diglielo: noi gli appicciamo la macchina”), non certo espressiva della volontà di provocare un incendio.
2.1.5. Mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione al reato di cui al capo 20).
E’ stata ritenuta la responsabilità del reato di estorsione tentata sulla base delle dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME, in assenza di idonei elementi di riscontro individualizzante.
Tali dichiarazioni, che il collaboratore ha reso “de relato”, per averle apprese dallo stesso COGNOME, sono smentite dalla prova dichiarativa assunta dai testi (gli operai del consorzio) e non sono oggettivamente suffragate dalla laconica espressione di assenso – così come semplicisticamente interpretata – rispetto alle dichiarazioni di COGNOME, avuta da COGNOME nella intercettazione ambientale n. 448 del 2016.
L’interessamento di NOME al recupero dell’escavatore non si spiega a fronte di un reato arrestatosi alla soglia del tentativo.
2.1.6. Inosservanza di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione ai reati di cui al capo 29). La prova della condotta estorsiva è stata dedotta dalle dichiarazioni della persona offesa, NOME COGNOME, e del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, che offrono versioni tra loro incompatibili sotto plurimi profili, ma essenzialmente per il fat che il collaboratore non ha riferito che COGNOME sia stato esecutore materiale della estorsione.
La persona offesa aveva riferito che il soggetto riconosciuto come fratello di NOME COGNOME si era presentato al suo cospetto tra marzo ed aprile 2010, come uomo di NOME COGNOME, laddove, secondo il racconto del collaboratore, la richiesta era stata avanzata a nome di NOME COGNOME. Nella sentenza di primo grado, cui la Corte di appello rinvia sul presupposto che in essa fosse stato già risolto il contrasto, non era stata affatto ritenuta preferibile la versione de persona offesa.
Inoltre, la “apparente discrasia”, risolta dalla Corte ritenendo il collegamento tra NOME ed il “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, in ragione del vincolo di affinità con quella famiglia, d cui aveva sposato una esponente, è illogicamente argomentata, stante la estraneità di NOME a quel RAGIONE_SOCIALE e della moglie ai fatti.
2.1.7. Inosservanza di legge e contraddittorietà della motivazione in relazione al riconoscimento della aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. ritenuta sulla base di erronei presupposti quanto ai seguenti capi:
capo 2): pur non essendo contestato al ricorrente il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso e pur avendo il Giudice di primo grado ritenuto insussistente la detta aggravante in relazione ai delitti di cessione di stupefacenti di cui al capo 5), la Corte di appello ha argomentato, a proposito di tal aggravante, che l’attività di narcotraffico si svolgeva in un contesto camorristico e che i proventi
di essa agevolavano il RAGIONE_SOCIALE facente capo all’appellante; quanto al metodo mafioso, esso è stato evinto da una serie di indicatori, in difformità a quanto ritenuto nella sentenza di primo grado per la quale, alla base di tutte le singole ipotesi di narcotraffico vi erano accordi di libero partenariato, assai distanti dalla imposizione che connota l’assoggettamento camorristico;
capo 16): la Corte di merito ha correlato la finalità di agevolazione mafiosa all’obiettivo di conseguire il controllo del territorio ed alla militanza camorristi del ricorrente, senza considerare che la persona offesa, NOME COGNOME, non ha fatto alcun riferimento alla persona del COGNOME. L’assunto è in contrasto con quanto ritenuto dal Giudice della cautela, che cioè le sortite di carattere estorsivo non fossero espressione di un gruppo organizzato, bensì iniziative in cui si era sfruttata l’antica fama criminale di NOME COGNOME per “fare cassa”;
capo 18): la sentenza impugnata ha ritenuto integrato il metodo mafioso per il fatto che la persona offesa COGNOME aveva potuto comprendere il potenziale criminale degli autori dell’incendio, i quali avrebbero potuto arrecargli danni ben superiori; l’assunto è contraddittorio con la mancata identificazione degli autori della condotta;
capi 21) e 29); le due estorsioni di cui ai detti capi costituirebbero, per i Giudic di merito, espressione di una strategia camorristica di controllo del territorio e d monopolio sulle fonti di reddito che esso genera, in una logica contrappositiva con altri gruppi criminali, senza tener conto che si tratta di fatti diacronici, interva da una distanza temporale di circa cinque anni;
2.1.8. Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62-bis, 99 e 133 cod. pen. Mancanza di motivazione e motivazione meramente apparente.
In relazione al trattamento sanzionatorio, la sentenza esibisce una motivazione solo apparente, richiamando quella, generica, di cui alla sentenza di primo grado. Il diniego è stato giustificato in relazione alla caratura criminale del ricorrent senza valutare i fatti nella loro dimensione oggettiva. E’ stata riconosciuta la recidiva, senza che si sia adottata una motivazione concreta e non meramente ripetitiva della formula di legge.
2.2. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Violazione di legge in relazione all’art. 81 cpv. cod. pen.
La Corte di appello ha operato un unico aumento sulla pena base a titolo di continuazione per tutti i reati satellite, senza alcuna differenziazione tra i quattr episodi contestati al capo 29), in contrasto con i principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite “COGNOME“.
2.3. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
2.3.1. Inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione all’art. 603 cod. proc. pen.
La Corte di merito avrebbe dovuto disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, procedendo a nuovo esame delle persone offese, gli imprenditori NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., per le ragioni indicate nella istanza a suo tempo avanzata (avere una migliore descrizione dei soggetti autori della richiesta estorsiva; individuare con certezza la persona indicata come il maggiore dei fratelli COGNOME dopo NOME; identificare compiutamente il ruolo di NOME nella vicenda).
L’escussione diretta avrebbe fugato dubbi sulla credibilità delle dette persone offese, in mancanza della quale anche l’esito della individuazione fotografica è compromesso.
2.3.2. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione.
Il quadro probatorio è risultato di ambigua lettura.
Le dichiarazioni delle persone offese collidono con quelle del collaboratore di giustizia NOME nonché con dati oggettivi e documentali, e con le risultanze delle intercettazioni. NOME COGNOME non ha mai fatto riferimento ad NOME, chiamante in correità del ricorrente, quale estorsore; ha indicato quale estorsore il maggiore dei fratelli di NOME COGNOME e ha fornito indicazioni inesatte s luogo di residenza di questi.
2.3.3. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione ed equivalenti alla recidiva, nonché riguardo alla mancata esclusione dell’aggravante delle più persone riunite.
La pena è eccessiva in quanto superiore non di poco al minimo edittale.
Si è attribuito valere ostativo ai precedenti da cui il ricorrente risulta gravat mentre avrebbe dovuto essere assicurata la personalizzazione del trattamento sanzionatorio anche in relazione al fatto.
2.4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Violazione di legge in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 56, 629 cod. pen., 132 e 133 cod. pen. e vizi della motivazione.
La pena irrogata al ricorrente per il reato di estorsione di cui al capo 28), benché rimasto allo stadio del tentativo, è stata determinata in misura pari a quella stabilita per il reato consumato nei confronti dei coimputati.
Il trattamento sanzionatorio è stato ritenuto equo in ragione della pericolosità sociale del reo e dei suoi precedenti penali, mentre alcuna valutazione è stata operata della gravità del fatto, ridimensionata a seguito della riqualificazione nella ipotesi tentata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH I ricorsi sono tutti inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
2. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Par opportuno premettere, trattandosi di rilievo comune, che i motivi sono tutti aspecifici, in quanto reiterativi di analoghe doglianze prospettate nell’atto d appello ed adeguatamente riscontrate dalla Corte territoriale, omettendo di assolvere alla funzione tipica di una critica argomentata avverso la sentenza impugnata.
Sono poi inammissibili le questioni declinate in fatto, le quali fuoriescono dalla griglia dei vizi che sono suscettivi di sindacato innanzi a questa Corte di legittimità. Secondo principi oramai granitici, che non possono che essere qui ribaditi, non è dato al giudice di legittimità sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, attraverso una diversa lettura, benché anch’essa logica, dei dati processuali od una diversa ricostruzione storica dei fatti o, ancora, un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 nonché in precedenza Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv. 203428; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020- dep. 2021, F., Rv. 280601). Con specifico riferimento ai vizi della motivazione, non possono essere sono oggetto di ricorso vizi diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spess della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va infine ribadito il costante orientamento di questa Corte di legittimità, per il quale non sono censurabili in questa Sede la valutazione del giudice di merito circa eventuali contrasti testimoniali o la sua scelta tra divergenti versioni interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623), non potendo la Corte di cassazione verificare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
2.1. GLYPH Il primo motivo, inerente al reato di associazione finalizzata al narcotraffico, ripropone – in ordine logico – il duplice tema della mancanza del
numero legale e della insussistenza di una struttura organizzata riconducibile al paradigma di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
2.1.1.La prima censura è stata respinta dalla Corte di appello evidenziando come debba tenersi conto dei correi nei cui confronti si è proceduto separatamente (tra i quali sono stati identificati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME), oltre che di una cospicua rete di spacciatori la cui esistenza, anche a prescindere dalla compiuta identificazione dei singoli, è stata confermata dai contenuti delle intercettazioni telefoniche e dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Indimostrato è, peraltro, l’assunto difensivo secondo il quale nei confronti di COGNOME e COGNOME non si sarebbe mai proceduto in altra sede, né ha rilievo ostativo la dedotta mancanza di gravità indiziaria ritenuta dal Giudice delle indagini preliminari a loro carico, stante la diversità di natura e presupposti dell’accertamento cautelare rispetto a quello di merito e stante, in ogni caso, l’impossibilità di ravvisare, in tale pretesa asimmetria, una illogicità contraddittorietà del tessuto motivazionale della sentenza impugnata.
2.1.2. Parimenti reiterative, oltre che manifestamente infondate, sono le doglianze sulla carenza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 74 d.P.R. cit.
A prescindere dalla intercettazione del 24 febbraio 2016 – sulle preoccupazioni indotte in COGNOME e COGNOME dalla prospettiva del pentimento di COGNOME, da scongiurare con ogni mezzo -, significative sono state ritenute le dichiarazioni del predetto collaboratore, suffragate dalle conversazioni trascritte ai fll. 27 e ss. dell sentenza di primo grado, risalenti al gennaio 2016.
Essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme, in cui le motivazioni delle sentenze di merito si integrano reciprocamente, componendo una unità organica ed inscindibile (ex plurimis: Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617 – 01; Sez. 6, n. 50944 del 04/11/2014, COGNOME, Rv. 261416), deve tenersi conto dei contenuti della sentenza di primo grado, cui quella impugnata ha puntualmente operato rinvio.
Sulla base di un ampio compendio probatorio – costituito oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME e dalle risultanze dell intercettazioni, dai correlati servizi di osservazione e controllo e dai sequestri d sostanze stupefacenti – si sono in tale pronuncia delineati gli elementi tipici dell’associazione finalizzata al narcotraffico, quali la suddivisione dei compiti tra gl associati, con i vari ruoli di approvvigionamento, riscossione dei crediti, trasporto e distribuzione della droga, immissione nel mercato locale; la disponibilità di ingenti liquidità rivenienti dalla attività di rivendita delle sostanze; l’esistenz
una cassa comune (che non può ritenersi esclusa dagli ammanchi episodicamente operati da NOME); l’assistenza legale fornita agli associati.
Elementi dimostrativi della operatività del sodalizio sono stati dedotti, infine, dai diversi episodi di narcotraffico, secondo il pacifico orientamento per cui è consentito al giudice, pur nella riconosciuta autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive (Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, Rv. 218376).
E’ emersa l’esistenza di una struttura – che, ai fini della configurabilità del reat in questione, può ben essere rudimentale – connotata da stabilità, avente la disponibilità di mezzi strumentali per il perseguimento del programma comune, i cui membri erano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti (tra le tante, sulla nozione di associazione finalizzata al narcotraffico, v. Sez. 6, n. 27433 del 10/01/2017, Avellino, Rv. 270396 – 01).
2.1.3. Quanto al ruolo di COGNOME nell’ambito di tale consorteria, la prospettata negazione di una sua posizione gerarchicamente sovraordinata non si confronta con il contenuto delle dichiarazioni di NOME COGNOME, il collaboratore cui si deve la compiuta descrizione del “modus operandi” del sodalizio. Con riferimento al summit di cui il collaboratore ha riferito, avvenuto presso la villa “bunker” del ricorrente con i vertici di altre famiglie camorristiche interessate a quei traffici, allo scopo di definire le loro modalità di interazione nella fornitura vendita di cocaina, i Giudici di appello hanno posto in luce la posizione di preminenza del ricorrente nel rapportarsi ai sodali.
Emblematica, al riguardo, sia pure riferita ad altro contesto, è la necessità manifestata dal nipote di NOME, e suo luogotenente, NOME COGNOME, di occultare gli ammanchi di cassa cagionati da NOME, onde evitare la reazione del temutissimo “zio”, il quale sarebbe stato capace di ordinarne, per ciò solo, la morte.
La sentenza ha esaustivamente argomentato che tale ruolo non è venuto meno anche dal momento in cui, nel dicembre del 2015, era stato delineato un nuovo assetto organizzativo, in forza del quale COGNOME aveva assunto la gestione diretta dei rapporti con i fornitori per ogni partita di cocaina dalla Calabria e il ricorrent aveva preteso il pagamento di una provvigione, dal momento che COGNOME era tenuto a corrispondere a COGNOME la provvigione stabilita, anche a prescindere dall’andamento dei singoli affari, e non aveva mai acquisito una effettiva autonomia.
Gli interventi con cui NOME aveva avocato a sé la conduzione delle trattative “incagliate”, così da porre fine all’atteggiamento dilatorio dei fornitori calabresi
diversamente da quanto dedotto dalla difesa, corroborano proprio tale profilo di sovraordinazione gerarchica.
A tali risultanze, esaustivamente illustrate nella sentenza impugnata, il ricorrente contrappone una alternativa e parcellizzata lettura, che, come indicato in premessa, non può trovare ingresso in questa Sede.
2.2. Egualmente reiterativo e declinato in fatto è il secondo motivo, inerente ai traffici di cocaina di cui al capo 5).
2.2.1. Alcuna carenza evidenzia la motivazione della sentenza impugnata, con riguardo alle conversazioni ritenute dalla Corte territoriale idonee a riscontrare le dichiarazioni del propalante, e che il ricorrente assume, invece, avere contenuto probatoriamente neutro o comunque non individualizzante.
Va al riguardo premesso che, ai fini della valutazione della chiamata di correo, nel giudizio sul merito dell’imputazione costituisce riscontro individualizzante un qualunque elemento di prova che provenga da fonte diversa, che riguardi la sfera personale dell’accusato e che sia riconducibile al fatto da provare, o perché direttamente lo rappresenta o perché ne fornisce conferma, in via indiretta, attraverso un procedimento logico-deduttivo. Ove nel caso concreto gli elementi di riscontro corrispondano a tale nozione, la loro valenza confermativa costituisce oggetto di una valutazione in fatto, che sfugge al sindacato di legittimità, sempre che il giudice dia conto, con motivazione congrua e completa, del proprio apprezzamento (Sez. 5, n. 36451 del 24/06/2004, Vullo, Rv. 230240 – 01).
Nel caso al vaglio, i Giudici di merito hanno precisato (v. fl. 14 e ss.), con motivazione logica ed esaustiva, che i colloqui del 23 gennaio 2016 e del 6 febbraio 2016, apprezzati complessivamente, delineano con sufficiente chiarezza il rapporto di debito-credito di COGNOME verso NOME COGNOME, le pressioni di COGNOME, emissario di quest’ultimo, su COGNOME, affinché il debito fosse onorato; le richieste di dilazione di COGNOME, che aveva tentato di sottrarsi ai vari solleciti del suo fornitore l’intervento dello “zio” NOME COGNOME che, sdegnosamente, aveva fatto comprendere, per il tramite di lui, di avere altre priorità rispetto al pagamento.
2.2.2. Anche con riferimento alla seconda “tranche” dell’operazione, ossia alla cessione di 50 gr. di cocaina, il dato, valorizzato in sentenza, della “fibrillazione” indotta in COGNOME e in COGNOME dalla prospettiva che COGNOME potesse diventare collaboratore di giustizia, è, all’evidenza, addotto solo “ad adiuvandum”; mentre, è scevra da profili di contraddittorietà l’interpretazione della conversazione del 23 gennaio 2016, come dimostrativa di tale cessione, con riguardo alla richiesta di COGNOME ad COGNOME di organizzare “la solita cena, un tavolone con cinquanta cristiani” al prezzo massimo di 42,5 euro per ciascuno dei partecipanti, in cui COGNOME garantisce anche la solvibilità dei convitati (acquirenti); nonché l’interpretazione della conversazione in cui il fornitore COGNOME si informava
sul se le bottiglie fossero intatte, quale elemento logicamente dimostrativo della avvenuta consegna e della volontà dello stesso di rientrare in possesso della droga, a fronte dell’inadempimento dell’acquirente.
A tal proposito, come chiarito da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, va precisato che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica i relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715) e, più in generale, costituisce questione di fatto la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01).
2.2.3. Infine, va ribadito, riguardo alle dedotte discrasie con le valutazioni contenute nella ordinanza genetica, che il titolo cautelare non contiene alcun accertamento definitivo, sicché l’eventuale distonia con quanto in esso ritenuto, ove pure sussistente, sarebbe inidoneo a riverberarsi in vizio di contraddittorietà della motivazione della sentenza di merito.
2.3. Con riguardo al terzo motivo di ricorso, che denuncia il vizio di motivazione in relazione al reato di estorsione di cui al capo 16), ancora una volta il ricorrente svolge questioni versate in fatto, individuando una discrasia temporale nelle versioni dei fratelli COGNOME.
Dal narrato delle persone offese, che per giurisprudenza consolidata non necessita della acquisizione di riscontri in senso tecnico (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE‘Arte, Rv. 253214 – 01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018), si evince con chiarezza che esse si riferiscono a momenti diversi di un rapporto estorsivo protrattosi nel tempo, in cui alla identificazione di “NOME” si è proceduto anche in ragione del ruolo da protagonista avuto da COGNOME, che lo evocava nelle proprie richieste; sicché certamente le due versioni non si pongono in insanabile contrasto e, anzi, si riscontrano almeno sul piano logico.
Analogamente, ambisce ad una alternativa e non consentita lettura delle risultanze probatorie, risolvendosi in una “quaestio facti”, il tema della valenza del riconoscimento fotografico del ricorrente, da ultimo risolta in senso positivo nella sentenza impugnata, con logica spiegazione delle ragioni della cautela del dichiarante e della inidoneità a scalfire la genuinità dell’atto individuativo.
2.4. Il quarto motivo, inerente al reato di incendio contestato al capo 18), è inammissibile perché non devoluto in appello in tutte le sue implicazioni e, comunque, manifestamente infondato.
Si assume al riguardo che la condotta avrebbe dovuto essere riqualificata da incendio tentato a danneggiamento seguito da incendio, in ragione della natura meramente preparatoria degli atti posti in essere dai coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME, siccome privi di univocità.
Giova evidenziare che, ai fini della integrazione del reato tentato, secondo il paradigma dettato dall’art. 56 cod. pen., occorre che gli atti compiuti, anche se meramente preparatori o solo parziali, sulla base di una valutazione compiuta con giudizio prognostico “ex ante”, siano idonei ed univoci, e cioè diretti in modo non equivoco a causare l’evento lesivo, ovvero a realizzare la fattispecie prevista dalla norma incriminatrice, rivelando così l’intenzione dell’agente di commettere lo specifico delitto (Sez. 1, n. 16612 del 11/02/2013, Sofrà, Rv. 255643 – 01).
L’idoneità degli atti non può pertanto essere intesa come sinonimo della loro sufficienza causale, esprimendo invece l’esigenza che l’atto abbia oggettiva attitudine ad inserirsi, quale condizione necessaria, nella sequenza causale ed operativa che conduce alla consumazione del delitto (Sez. 2, n. 40343 del 13/5/2003, La Feria, Rv. 227363).
Facendo applicazione di tali principii al caso di specie, i Giudici di merito hanno correttamente ritenuto la sussistenza del contestato tentativo di incendio, avendo all’uopo valorizzato le risultanze delle captazioni, dalle quali era emerso i chiarissimo mandato del COGNOME a COGNOME, NOME, COGNOME, di “appicciare la macchina”di NOME COGNOME.
L’avere il terzetto degli esecutori materiali eseguito plurimi sopralluoghi preventivi presso l’abitazione di COGNOME per individuare l’autovettura bersaglio del “raid” punitivo e programmato le modalità dell’attentato, ed infine intrapreso la spedizione “punitiva” nei confronti della vittima designata, venendo infine sorpresi con una tanica di benzina da cinque litri e carica incendiaria predisposta (v. fl. 214 e ss. della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello) sono elementi che i Giudici di merito hanno ritenuto convergere inequivocamente verso una univocità indicativa, in quanto dimostrativi della partecipazione dei soggetti mandati da COGNOME ad un significativo, ancorché iniziale, segmento attuativo della fattispecie criminosa contestata, non portata a consumazione per cause indipendenti dalla volontà degli agenti. L’assunto difensivo per cui l’affermazione “diglielo: noi gli appicciamo la macchina” integrerebbe, piuttosto, il mandato a compiere una minaccia è dunque radicalmente smentito dalla lineare e coerente ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata.
Attraverso il dedotto vizio di motivazione, il ricorrente nuovamente mira a sovrapporre una propria non consentita lettura delle risultanze probatorie come apprezzate dai Giudici di merito.
Tanto precisato, non sussiste la dedotta violazione di legge, per mancata riqualificazione della condotta nell’alveo della meno grave ipotesi criminosa di danneggiamento seguito da incendio, prevista dall’art. 424, comma 2, cod. pen. Secondo la giurisprudenza di legittimità il “discrimen” fra tale reato e quello di incendio, di cui all’art. 423 cod. pen., è costituito dall’elemento psicologico nell’ipotesi di incendio esso consiste nel dolo generico e cioè nella volontà di cagionare un incendio, inteso come combustione di non lievi proporzioni, che tenda ad espandersi e non possa facilmente essere contenuta e spenta per la sua prorompente diffusività, mentre il reato di danneggiamento seguito da incendio, di cui all’art. 424 cod. pen., è caratterizzato dal dolo specifico, consistente ne voluto impiego del fuoco al solo scopo di danneggiare, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche sopra indicate, ovvero senza che possa derivare il pericolo di siffatto evento. Pertanto, nel caso di incendio commesso al fine di danneggiare, ossia, quando al fine di danneggiare si associa altresì la coscienza e volontà di cagionare un incendio, idoneo ad assumere le dimensioni previste dall’art. 423 cod. pen., è applicabile tale ultima norma e non l’art. 424 cod. pen., nel quale l’incendio è contemplato come evento che esula dalle intenzioni dell’agente (cfr. Sez. 3, n. 30265 del 19/04/2021, Tagliamento, Rv. 281720 – 01; Sez. 1, n. 25781 del 7/05/2003).
Nella fattispecie in esame, non è ragionevolmente controvertibile che, data la natura del bersaglio – un’autovettura parcheggiata in un’area privata, di pertinenza di una abitazione, accanto ad altro veicolo – sarebbe potuto divampare un fuoco di vaste proporzioni, ed assumere i connotati di un evento di estrema pericolosità, non essendo certamente improbabile ed imprevedibile che le fiamme si propagassero e divenissero non più governabili.
Resta, di conseguenza, destituita di fondamento l’eccezione – presupponente la riqualificazione del reato in addebito nel senso prospettato dalla difesa – di inutilizzabilità delle intercettazioni, formulata – peraltro in termini generici, se alcun riferimento al relativo decreto autorizzativo – sul presupposto che la pena edittale prevista per tale diverso reato non attinga la soglia di ammissibilità di cui all’art. 266 cod. pen.
2.5. Il quinto motivo, afferente al reato di estorsione tentata di cui al capo 20), è pedissequamente reiterativo di analoghe doglianze.
Si assume, al riguardo, che le dichiarazioni accusatorie del collaboratore COGNOME, che sul punto riferisce quanto appreso dallo stesso COGNOME, risultino smentite dalla prova dichiarativa diretta assunta dagli operai del consorzio, e non siano oggettivamente corroborate da elementi univoci ed individualizzanti, tale non potendosi ritenere il laconico contenuto della intercettazione ambientale n. 448 del 24 gennaio 2016.
La censura, che ancora una volta è declinata in fatto, verte sulla interpretazione del contenuto del colloquio intercettato – in particolare sul significato da attribuir alla espressione “Eh” pronunciata da COGNOME a fronte della ricostruzione di COGNOME. L’interpretazione in chiave di assenso di tale interiezione non appare logicamente eccentrica rispetto al tenore complessivo del discorso, in cui i due discutono di chi possa essersi frapposto alla restituzione del mezzo pesante, e non è sindacabile, per quanto “supra” evidenziato, alla luce dei principii sanciti dalla cit. sentenza Sez. U Sebbar.
Non si confronta, il ricorrente, con l’ulteriore elemento del riconoscimento fotografico di COGNOME, fidato luogotenente di COGNOME, da parte degli operai presenti, quale autore della intimazione ad abbandonare ad horas il cantiere, né con la parte della motivazione in cui è puntualmente spiegata la discrasia sull’epoca del commesso furto che, avvenuto a novembre, era stato denunciato solo il mese successivo.
I Giudici di appello hanno poi chiarito come non vi sia contraddittorietà insanabile, sul piano logico, tra la condanna pronunciata per il reato nella forma tentata, conformemente al tenore della contestazione, e la ritenuta consumazione della vicenda estorsiva che si evince dalla motivazione: l’interessamento di COGNOME al recupero dell’escavatore, che i colloqui intercettati, nel loro tenore complessivo, hanno confermato, ha un senso logico se ed in quanto quel furto sia realmente avvenuto (risultando in tal caso sminuiti il prestigio criminale del ricorrente e la sua capacità di garantire la protezione dei cantieri in regola con il pagamento dei ratei estorsivi), mentre è stato contestato il reato nella forma tentata per una valutazione di mera prudenza, non essendo emerso dalle indagini il “quantum” pagato a titolo di tangente.
2.6. Analoghe ragioni di inammissibilità ricorrono quanto al sesto motivo, formulato in relazione al capo 29).
L’assunto difensivo secondo il quale la prova della condotta estorsiva, dedotta dalle dichiarazioni della persona offesa NOME COGNOME e del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, sarebbe contraddittoriamente ed illogicamente argomentata, in quanto le versioni dei due uomini sono tra loro incompatibili sotto plurimi profili, è reiterativa e si limita a contestare l’apprezzamento che di quelle prove è stato compiutamente espresso dalla Corte di appello (al fl. 20 e ss).
Tanto premesso, la pretesa illogicità della sentenza sotto questo profilo, a b vedere, non sussiste. La Corte di merito ha precisato che NOME COGNOME ricevette per ben due volte la visita in cantiere di COGNOME, accompagnato da COGNOME, che in una occasione era anche armato ed al quale aveva consegnato una rata. A fronte della attendibilità del narrato della persona offesa, positivamente scrutinata dai Giudici, secondo cui le sue dichiarazioni possono costituire fonte probatoria
esclusiva e determinante dell’affermazione di responsabilità, a nulla rilevano le asimmetrie con la narrazione di NOME, il quale ben poteva esserne all’oscuro, per avere appreso i fatti dal racconto dei COGNOME.
Inoltre, si è più volte chiarito come “quelli di Quindici”, ossia la famigl camorristica di RAGIONE_SOCIALE, indicata da NOME come destinataria di una quota dell’estorsione, poteva ben essere stata evocata in ragione del collegamento tra COGNOME e i COGNOME, derivante dal matrimonio del predetto con una componente di quella famiglia.
Ancora, la stessa sentenza impugnata ribadisce come da alcun elemento potesse evincersi che il propalante avesse fatto confusione tra l’imputato e NOME COGNOME. Così pure, la Corte territoriale ha fatto propria la considerazione di cui alla sentenza di primo grado (al fl. 280), là dove si è precisato che, data la pluralità di soggetti che di volta in volta si presentavano all’imprenditore estorto, non possono essere escluse discrasie nel ricordo, con riguardo alla persona di NOME, che ben possono spiegare il mancato riconoscimento del collaboratore.
A fronte di tali passaggi argomentativi, non rilevano altre minime incongruenze argomentative, né può essere dato risalto alla omessa esposizione di elementi di valutazione che il ricorrente ha ritenuto tali da determinare una diversa decisione, ma che non sono inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio, entro il quale ogni elemento sia contestualizzato, che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (così, tra moltissime, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988).
2.7. Il settimo motivo, inerente al riconoscimento dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen., è parimenti inammissibile, avendo la sentenza compiutamente motivato, in relazione a ciascun capo per cui l’aggravante è stata ritenuta, i presupposti costitutivi di essa, con argomentazioni logicamente coerenti, che il ricorrente tende a disarticolare secondo una inammissibile diversa lettura delle emergenze istruttorie.
In particolare, la sentenza ha evidenziato l’imposizione di un regime di monopolio nella distribuzione dello stupefacente in agro campano; la sistematicità degli approvvigionamenti dalle ‘ndrine calabresi; gli accordi con il “RAGIONE_SOCIALE“, per arguirne che l’associazione dedita al narcotraffico abbia operato in un contesto “completamente camorristico” e che, dunque, i relativi proventi agevolassero il gruppo di camorra egemone sul territorio.
Anche sotto il profilo del metodo mafioso, sono stati adeguatamente valorizzati alcuni indicatori, quali la caratura criminale di NOME COGNOME, la percentuale sul ricavato delle vendite che egli pretendeva, il sistema sanzionatorio che aveva imposto per chi disattendesse le sue direttive.
Ne consegue che la dedotta contraddizione con quanto argomentato nella sentenza di primo grado, secondo la quale si sarebbe in presenza di accordi di libero partenariato con i gruppi camorristici dei territori viciniori, distanti dalle log camorristiche, non è dato in questa Sede rilevante perché, all’evidenza, non si riverbera in un vizio di contraddittorietà o illogicità del tessuto argomentativo dell decisione.
Quanto al capo 16), la finalità di agevolazione, intesa quale obiettivo di conseguire il controllo del territorio, prescinde dalla circostanza che la persona offesa NOME COGNOME avesse consapevolezza della provenienza dell’estorsione da un gruppo organizzato.
Quanto ai capi 18), 21) e 29), si tratta, come evidenziato dai Giudici di merito, di azioni criminose espressive, all’evidenza, di una strategia camorristica di controllo del territorio e di monopolio sulle fonti di reddito che esso genera.
3. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Il motivo unico, che denuncia violazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. e vizio di motivazione, è inammissibile per carenza di interesse.
La difesa lamenta che sia stato operato un unico aumento a titolo di continuazione, per i reati satellite di cui al capo 29), senza alcuna differenziazione tra i quatt episodi contestati, e senza motivare in relazione a ciascuna frazione di pena, in contrasto con i principii espressi dalla sentenza Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01.
Deve di contro rilevarsi che tale pronuncia ha richiamato, in parte motiva, la sentenza Sez. 2, n. 26011 del 11/04/2019, Cuocci Rv. 276117 – 01, per la quale, in tema di determinazione della pena, è ammissibile il ricorso per cassazione contro la sentenza che non abbia specificato il “quantum” dei singoli aumenti inflitti a titolo di continuazione in relazione a ciascun reato satellite, a condizione che venga dedotto un interesse concreto ed attuale a sostegno della doglianza (in tal senso Sez. 3, n. 550 del 11/09/2019, dep. 2020, Pettè, Rv 278279).
Un tale interesse non è stato prospettato nel presente giudizio, ove si censura non la eccessività dell’incremento di pena – determinato complessivamente in ragione di un anno di reclusione ed euro 1200,00 di multa – ma solo che il Giudice non abbia calcolato le singole frazioni di pena per i reati satelliti né motivato in modo distinto per ognuna di esse.
Del resto, si tratta di condotte nella loro entità omogenee e di incrementi sanzionatori estremamente contenuti, onde ritiene questa Corte che il Giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati riuniti in continuazione, non fosse tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata, posto che, ove si individuino aumenti di esigua entità, è escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
4. Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
4.1. Il primo motivo, ove si lamenta inosservanza ed erronea applicazione di legge in relazione all’art. 603 cod. proc. pen., è manifestamente infondato.
In disparte i casi di riforma in peius della sentenza di primo grado – su cui vi è stata un’amplissima elaborazione giurisprudenziale delle Sezioni Unite a partire da Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267487 – e di escussione di una prova sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado – fattispecie regolata dall’art 603, comma 2, cod. proc. pen. – la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820 – 01).
In particolare, nel giudizio abbreviato d’appello, le parti sono titolari di una mer facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile d giudice “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi risp a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, Granato, Rv. 282585 – 01). Ne consegue che il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice di appello sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (in termini, tra le molte, Sez. 3, n. 34626 del 15/07/2022 Grosso Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Nella specie, la Corte di appello ha congruamente motivato (al fl. 4 e ss.) il rigetto della istanza istruttoria formulata dal ricorrente, per difetto di assoluta necessit dell’atto istruttorio, sottolineando l’assenza di lacune conoscitive tali da impedire di pervenire ad una decisione, alla luce della sopravventa rettifica dell’erroneo riconoscimento operato inizialmente dalla persona offesa.
4.2. Il secondo motivo, relativo alle lacune motivazionali che vizierebbero il quadro probatorio, è generico, in quanto non si confronta con la sentenza impugnata.
La difesa sottolinea l’antitesi tra le dichiarazioni del collaboratore di giusti NOME e quelle di NOME COGNOME, il quale non ha mai fatto riferimento ad NOME, chiamante in correità del ricorrente; ha indicato quale estorsore il maggiore dei fratelli COGNOME (dopo NOME) e non invece NOME; ha fornito erronee indicazioni sul luogo di residenza di questi.
Si tratta di questioni declinate in fatto, inammissibili alla luce di quanto precisat supra (v. par. 2), su cui vi è motivazione esaustiva ai fll. 4 e 5 della sentenza impugnata.
La motivazione adottata è, peraltro, scevra da contraddittorietà, quanto a:
la individuazione di NOME COGNOME quale beneficiario del pagamento, che l’imprenditore ha dichiarato di avere eseguito in favore di uomini del “RAGIONE_SOCIALE” a titolo estorsivo per il servizio di raccolta dei rifiuti espleta per il comune di Mugnano del Cardinale (sulla base del collegamento del RAGIONE_SOCIALE COGNOME alla persona di COGNOME e della prossimità tra i comuni di Mugnano del Cardinale e di Quindici);
alla luce del riconoscimento, da ultimo operato dalla persona offesa, di NOME COGNOME tra gli esecutori materiali.
4.3. Inammissibile, perché aspecifico, è anche il terzo motivo di ricorso. La sentenza non è affatto carente nella negazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione ed in rapporto di equivalenza con la contestata recidiva, né quanto “all’annullamento della aggravante delle più persone riunite”.
Invero, facendo corretta applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., Giudici di merito hanno attribuito valenza ostativa ai precedenti, ritenendo che gli aumenti irrogati a titolo di continuazione siano persino modesti se parametrati alla reiterazione delle condotte, alla radicata determinazione criminosa che le sorregge, alla loro connotazione camorristica.
Il motivo sulla esclusione della recidiva è poi inammissibile perché non devoluto in appello, e peraltro sostanzialmente incompatibile con le richiamate considerazioni. Del tutto generica, non essendone stati indicati i presupposti fattuali ovvero giuridici, deve infine ritenersi la richiesta di esclusione dell’aggravante delle p persone riunite, ritenuta alla luce del narrato della persona offesa e dell’accertata natura concorsuale delle estorsioni di cui al capo 29).
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
Il motivo di ricorso è inammissibile per assoluta genericità e manifesta infondatezza.
Il diverso trattamento sanzionatorio riservato, nel medesimo procedimento, ad altri imputati, anche se correi, non implica un vizio di motivazione della sentenza, salvo il caso in cui il giudizio di merito sul diverso trattamento di una situazion prospettata come identica sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282839 – 01).
Nel caso qui in scrutinio non sono stati nemmeno dedotti, con la dovuta specificità, elementi di perfetta sovrapponibilità delle differenti posizioni comparate ed i Giudici di merito hanno fatto applicazione, congruamente motivata, del potere discrezionale di dosimetria della pena a norma dell’art. 133 cod. pen.: hanno valorizzato la elevata intensità del dolo di cui COGNOME avrebbe dato prova nel palesare alla vittima la propria veste di successore del precedente estorsore e tale apprezzamento investe anche le connotazioni oggettive e modali della condotta contestata.
Adeguata personalizzazione del giudizio vi è stata, infine, nel valutare la biografia penale del ricorrente e la natura dei precedenti, tali da fondare il motivato riconoscimento della recidiva specifica.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento a favore della cassa delle ammende della somma che si valuta equo quantificare nella misura indicata in dispositivo per ciascuno di essi, non vertendosi in ipotesi di assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 06/10/2023