Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22813 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 20/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a BOLOGNA il 16/04/2004 COGNOME NOME nato a BOLOGNA il 28/07/1970
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 20 settembre 2024 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia del locale Tribunale del 15 febbraio 2024, ha ridotto la pena inflitta a NOME NOME nella misura di anni uno, mesi dieci di reclusione ed euro 1.933,00 di multa e a COGNOME NOME in quella di anni uno, mesi quattro, giorni venti di reclusione, in ordine a reati in materia d sostanze stupefacenti (NOME NOME) e al delitto previsto dagli artt. 110, 611 e 339 cod. pen. (NOME NOME e COGNOME NOME).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore, deducendo, con tre distinti motivi: mancanza di motivazione in ordine al disposto riconoscimento della loro responsabilità penale per il delitto di cui agli artt. 611 e 339 cod. pen.; carenza di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento in favore di NOME della circostanza attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen.; illogicità della motivazione pe omessa concessione in favore di COGNOME NOME delle circostanze attenuanti generiche.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alla prima censura, deve essere ribadito come esuli dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945-01).
La Corte regolatrice ha rilevato che, anche dopo la modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006, n. 46, rest immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, COGNOME, Rv. 234109-01). In sede di legittimità, pertanto, non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181-01).
Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, deve essere osservato, allora, come i ricorrenti in realtà invochino, con la prima doglianza, un’inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio in atti, e, quindi, una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi, con la dovuta specificità, con l’iter logico-giuridico seguito da giudici di merito per affermare la loro responsabilità penale in ordine al delitto ascrittogli ai sensi degli artt. 611 e 339 cod. pen. (cfr. pp. 6 e ss. della sentenza impugnata).
2.2. In ordine, poi, alla seconda doglianza, deve essere osservato come essa, lungi dal confrontarsi con la motivazione resa dalla Corte di merito (cfr. pp. 10 e s.) in replica alle analoghe doglianze dedotte con l’atto di appello, di fatto reiteri le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilimente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della decisione impugnata, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
2.3. Manifestamente infondata, infine, è pure la doglianza eccepita con la terza censura, osservato che la motivazione resa dalla Corte di appello (cfr. p. 11) ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice
secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento del beneficio ex art. 62
cod. pen. a COGNOME NOMECOGNOME esprimendo una motivazione priva di vizi logi e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede
legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
3. All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricor al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 ciascun
in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Cort
Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento de spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cass
delle ammende.
Così deciso in Roma il 20 maggio 2025
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