Ricorso in Cassazione: Quando i Fatti Sono Intoccabili
Il ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma i suoi poteri sono ben definiti e limitati. Non è una terza istanza dove si possono rimettere in discussione i fatti di una causa, ma una sede in cui si valuta la corretta applicazione della legge. Una recente ordinanza della Suprema Corte lo ribadisce con forza, dichiarando inammissibile l’appello di un imputato condannato per truffa e ricettazione che cercava, di fatto, una nuova valutazione delle prove a suo carico.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un imprenditore condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di truffa (art. 640 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.). L’accusa si fondava su un’operazione commerciale fraudolenta: l’imputato aveva acquistato una partita di merce per la sua azienda, pagandola con titoli di credito che si sono rivelati non riscuotibili.
Le indagini e le testimonianze raccolte durante il processo avevano delineato un quadro chiaro. L’imputato era stato riconosciuto sia dalla persona offesa, come colui che si era presentato in azienda per avviare il rapporto commerciale, sia dall’autista che aveva consegnato la merce, il quale aveva ricevuto proprio dall’imputato la busta contenente i titoli illeciti. Inoltre, era emerso che, sebbene un’altra persona figurasse come titolare formale dell’attività (un mero ‘titolare fittizio’), era l’imputato il vero dominus e beneficiario dell’operazione.
La Decisione della Corte e i Limiti del ricorso in Cassazione
La difesa dell’imputato ha presentato un ricorso in Cassazione lamentando una presunta violazione di legge nella valutazione delle prove da parte dei giudici di merito. In sostanza, si contestava il modo in cui era stata costruita la motivazione della condanna, suggerendo una diversa interpretazione dei fatti.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto categoricamente questa impostazione. I giudici hanno chiarito che il motivo del ricorso non era ammissibile perché non denunciava un vero e proprio errore di diritto, ma mirava a ottenere “una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito”. Questo tipo di richiesta esula completamente dai poteri della Corte di Cassazione, il cui compito è il giudizio di legittimità, non una ‘rilettura’ del materiale probatorio.
Le Motivazioni della Decisione
Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha sottolineato come la sentenza della Corte d’Appello fosse pienamente logica e giuridicamente corretta. I giudici di merito avevano esplicitato in modo convincente le ragioni della condanna, basandola su elementi precisi e convergenti:
1. Identificazione certa: L’imputato era stato riconosciuto da due testimoni chiave.
2. Ruolo effettivo: Era stato accertato che fosse lui il reale titolare dell’attività e non il coimputato, un semplice prestanome.
3. Conseguimento del profitto: Il suo ruolo nella vicenda era indubitabile, avendo ottenuto il profitto del reato (la merce) e avendo consegnato personalmente i titoli di pagamento illeciti di cui era in possesso.
Citando un principio consolidato (Sez. U, n. 6402 del 1997), la Corte ha ribadito che la valutazione degli elementi di fatto è riservata in via esclusiva al giudice di merito. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza è un importante promemoria dei limiti strutturali del nostro sistema giudiziario. Chi intende presentare un ricorso in Cassazione deve essere consapevole che non può sperare in un terzo processo nel merito. L’attenzione deve essere focalizzata sull’individuazione di specifici vizi di legge: un’errata interpretazione di una norma, un difetto di motivazione (ma solo se manifestamente illogica o contraddittoria, non se semplicemente non condivisa) o un errore procedurale. Tenta di rimettere in discussione le prove e la loro valutazione porterà inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile utilizzare il ricorso in Cassazione per contestare il modo in cui un giudice ha valutato le prove?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso è inammissibile se tende a ottenere una nuova ricostruzione dei fatti con criteri di valutazione diversi da quelli del giudice di merito, poiché la valutazione delle prove è compito esclusivo dei tribunali di primo e secondo grado.
Su quali elementi si è basata la condanna dell’imputato confermata dalla Cassazione?
La condanna si è basata su tre elementi principali: a) l’identificazione dell’imputato da parte della vittima e di un testimone; b) l’accertamento che fosse il titolare effettivo dell’attività commerciale, e non un mero prestanome; c) il fatto che avesse conseguito il profitto del reato (la merce) consegnando in cambio titoli di pagamento non validi che possedeva.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la decisione della Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8192 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8192 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POPOLI il 21/03/1954
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che con un unico motivo di ricorso la difesa dell’imputato deduce violazione di legge con riguardo all’intervenuta affermazione della penale responsabilità del COGNOME per i reati di cui agli artt. 640 e 648 cod. pen. in relazio agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen.
che il motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il qual con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del su convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata) rilevando che: a) l’imputato è stato riconosciuto sia dalla persona offesa, che lo ha identificato come il soggetto recatosi presso la sua azienda nella fase iniziale del rapporto, sia dall’autista incaricato della consegna, il quale, dopo aver dato la merce all’imputato, ha ricevuto dallo stesso una busta contenente i titoli oggetto di ricettazione; b) l’imputato era titolare dell’attività che aveva acquistato la merce essendo il coimputato NOME NOME COGNOME un mero titolare fittizio; c) il ruolo rivestito dall’imputato nella vicenda è indubitabile, essendo stato accertato che egli ha conseguito il profitto consistito nella ricezione della merce e ha consegnato i titoli non riscuotibili di cui aveva il possesso;
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 4 febbraio 2025.