Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34660 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34660 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ISOLA DI CAPO RIZZUTO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 3/4/2024 del Tribunale di Catanzaro udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n 137/20 e s.m.i.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, con provvedimento del 3/4/2024 confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro del 12/3/2024, che aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari.
L’indagato, a mezzo del suo difensore, ha interposto ricorso per cassazione affidandolo ad un unico articolato motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione agli art 192 e 309 cod. proc. pen.
2.1. Sotto un pr<pmo profilo, con riferimento al quadro indiziario in relazione al concorso nel reato di usura commesso di danno di NOME COGNOME, osserva che la ricostruzione logica dei fatti esposta nell'ordinanza impugnata non
corrisponde alla realtà processuale ed è viziata da un evidente travisamento della prova; che, in particolare, lo stesso ricorrente è vittima di usura da parte di NOME COGNOME, come si evince dal reato contestato sub 2); che lo stesso provvedimento impugnato dà atto che anche il COGNOME stesso è minacciato da diversi membri della famiglia COGNOME, perché il COGNOME restituisca il prestito ricevuto compreso degli interessi usurari pattuiti; che, dunque, il ricorrente non può essere considerato come colui che si adopera per facilitare la riscossione del credito, come un intermediario che induce la persona offesa ad adempiere avendo prestato garanzia in tal senso, in quanto lui stesso persona offesa del reato di usura e oggetto di pesanti minacce per far sì che il COGNOME restituisse quanto pattuito; che, in definitiva, il ragionamento del Tribunale del riesame si fonda su elementi che non interpretano correttamente i dati processuali, restituendo una motivazione carente, contraddittoria, illogica e travisante.
2.2. Sotto il profilo della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 416-bís.1 cod. pen., rileva che è il NOME che subisce pressioni ed angherie connotate da violenza verbale e da quel particolare metodo mafioso; che il ricorrente non ha fatto altro che comunicare al COGNOME le sue preoccupazioni, che quest'ultimo ha avvertito non perché veicolate dal COGNOME quale imposizione, ma perché ha compreso di dover rispondere ai suoi creditori.
2.3. Sotto il profilo delle esigenze cautelari, evidenzia che, poiché il pericolo di reiterazione di analoghi reati è stato fondato sul richiamo alla oggettiva gravità del reato, desunta dalle modalità esecutive, è stata reintrodotta una presunzione assoluta di persistente pericolosità che non solo è stata esclusa dal giudice delle leggi, ma anche dal legislatore del 2015; che l'ordinanza impugnata ha omesso di accertare l'esistenza di occasioni prossime al delitto; che, in conclusione, la motivazione è carente anche in punto di esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Premesso che il provvedimento impugnato si fonde e si integra con quello del Giudice per le indagini preliminari, con la conseguenza che si completano reciprocamente, si osserva come i primi due motivi posti a base del ricorso – che possono essere sintetizzati nella non corretta interpretazione dei dati probatori, sia con riferimento al concorso nella usura in danno di NOME COGNOME, sia con riferimento alla sussistenza della contestata circostanza aggravante – siano inammissibili, in quanto costituiti da mere doglianze di fatto estranee al sindacato di legittimità, perché finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa degli elementi contenuti negli atti.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere
che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828 – 01) e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01). In altri termini, l'insussistenza dei gravi indizi d colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, con la conseguenza che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori: sono, dunque, inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito, atteso che trattasi di censure non riconducibili alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, COGNOME, Rv. 265244 – 01; Sez. 7, ord. n. 12406 del 19/2/2015, COGNOME, Rv. 262948 – 01; Sez. Feriale, n. 47748 del 11/8/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 01). In altri termini, nel momento del controllo della motivazione, non si deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né si deve condividerne la giustificazione, dovendosi, invece, limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l'art. 606, comma 1, lett. e) del cod. proc. pen. non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Sez. U, n. 12 del 31/5/2000, .Jakani, Rv. 216260 – 01; Sez. U, n. 47289 del 24.9.2003, COGNOME, Rv. 226074 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Orbene, nel caso in esame, l'ordinanza esaminata risulta avere analizzato adeguatamente tutti gli elementi indiziari, riconducendoli ad unità, attesa la loro concordanza e, con motivazione assolutamente logica, congrua ed esaustiva avere ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell'odierno
ricorrente in ordine al concorso nell'usura come contestato. In particolare, il Tribunale del riesame ha valorizzato il ruolo di garante e di mediatore tra la persona offesa e NOME COGNOME svolto dal COGNOME, indicato come soggetto contiguo alla famiglia di RAGIONE_SOCIALE COGNOME, a nulla rilevando che egli stesso fosse vittima di usura ed ha attribuito significativo rilievo alla circostanza per cui l'odierno ricorrente risulta essere stato latore delle continue intimidazioni provenienti dai COGNOME, affinché il COGNOME estinguesse il debito contratto, evidenziandone altresì la elevata capacità delinquenziale derivante dalla forza di intimidazione promanante dal sodalizio di stampo mafioso, in tal modo ritenendo integrata anche la circostanza aggravante.
Ebbene, a fronte di una siffatta motivazione, congrua e scevra da vizi logici, la difesa, non contestando nella loro materialità la sussistenza delle condotte ascritte al NOME, si è limitata a riproporre una diversa ed alternativa interpretazione del dato indiziario, dotata a suo giudizio di una maggiore plausibilità, che, come sopra evidenziato, non è consentita in questa sede.
1.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Invero, il provvedimento impugnato evidenzia come la presunzione relativa di concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di reati analoghi nel caso di specie non sia stata superata e come, per contro, dagli atti emerga i) l'estrema pervicacia del NOME nel perpetrare l'attività criminosa, avendo veicolato reiteratamente le minacce alla persona offesa e il) la pluralità di precedenti e di procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata e per reati della stessa indole, che connotano in termini fortemente negativi il giudizio sulla personalità. Trattasi di motivazione adeguata, diffusa ed immune da vizi di manifesta illogicità, con la conseguenza che non è impugnabile in sede di legittimità.
All'inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 11 luglio 2024.