Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34908 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34908 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato ad Avellino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2025 della Corte d’appello di Napoli
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
osservato che il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’insussistenza dell’aggravante dello stato di bisogno, non si può dedurre in sede di legittimità, poiché la difesa, mediante doglianze in punto di fatto già motivatamente respinte in appello, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, finisce, in realtà, per lamentare non una motivazione mancante ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio. Alla Corte di cassazione, infatti, è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260);
t
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, facendo applicazione di corretti argomenti giuridici (si vedano, in particolare, le pagg. 5-6, dove la Corte d’appello spiega come la sussistenza della circostanza dello stato di bisogno, nel caso di specie, non può che trovare conferma nell’impellente assillo di carattere economico, derivante dalle illegittime pressioni dei precedenti usurai, a fronte del quale il NOME non aveva avuto alternativa migliore che fare ricorso al credito usurario, al di fuori dei circuit legali e, dunque, accettare un esorbitante tasso di interesse);
reputato che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata riqualificazione del reato di tentata estorsione nei delitti di violenza privata ovvero di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, oltre a reiterare, anch’esso, doglianze già dedotte in appello e correttamente disattese dalla Corte territoriale, contravviene al principio in base al quale l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi alla «verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione insindacabile e, pertanto, intangibile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata; 2) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza delle argomentazioni esposte rispetto al fine che le hanno determinate; 3) la non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo dell’atto impugnato o da altri atti del processo, se specificamente indicati nei motivi di gravame» (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556);
che, la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcun vizio riconducibile alla nozione delineata nell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (cfr. le pagg. 7-8, là dove il giudice di merito argomenta che: da un lato, non è possibile ravvisare, del delitto ex art. 393 cod. pen., la coscienza o volontà del soggetto attivo di attuare una pretesa legittima; dall’altro lato, non è altresì configurabile il delitto di violenza privata per la sussistenza del fine di perseguire un profitto ingiusto, tipico, quest’ultimo, dell’attività estorsiva);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2025.