Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21727 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21727 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESAGNE il 11/09/1990
avverso la sentenza del 18/09/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che i primi quattro motivi di ricorso non sono formulati in termini consentiti dalla legge in questa sede, in quanto, pur formalmente volti a lamentare vizi riconducibili alle categorie di cui all’art. 606, comma 1, lett. c ed e, cod. proc. pen., risultano tesi a contestare il giudizio di responsabilità cui sono pervenuti i giudici di merito – in relazione ai reati ex artt. 629 cod. pen. e 73, comma quinto, del d.p.r. del 9 ottobre 1990, n. 309 – ritenendolo fondato su una valutazione asseritamente sbagliata delle risultanze processuali, e in particolare delle dichiarazioni rese dalla p.o. costituitasi parte civile;
che, nello specifico, le argomentazioni del ricorrente, in fatto e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici del merito, sollecitano giudizi estranei al sindacato di legittimità, essendo preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti e un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217);
che, in particolare, deve sottolinearsi come il vaglio critico circa l’attendibilità della deposizione della persona offesa e la valutazione dei contrasti con le dichiarazioni rese dall’odierno ricorrente è precluso dinanzi alla Suprema Corte, in ossequio al principio incontroverso in giurisprudenza secondo cui tale giudizio rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice di merito e non può essere sindacato in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni, non ravvisabili nel caso di specie (in tal senso cfr. Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, in motivazione; in questo senso, Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623 – 01; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362);
che, in conclusione, deve ravvisarsi come i giudici di appello, valutando attendibili e non contraddittorie le dichiarazioni rese della parte civile e indicandone i diversi elementi di riscontro (si vedano in particolare le pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata), abbiano posto JL dicniarazione
responsabilità penale dell’odierno ricorrente, una congrua e logica motivazione, esente da vizi censurabili in questa sede;
considerato che il quinto motivo di ricorso, con cui si contesta violazione di legge in relazione all’art. 629 cod. pen., è privo dei requisiti prescritti, a pena di inammissibilità del ricorso, dagli artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, cod. proc. pen., risultando così generico, in quanto non connotato da concreta specificità e caratterizzato dall’assenza di correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (si veda in particolare pag. 6, ove viene riportata testualmente la minaccia perpetrata dal ricorrente nei confronti della p.o., come da quest’ultima riferita in sede di denuncia);
osservato che il sesto motivo di ricorso, con cui il ricorrente, in termini ancora una volta generici, ha contestato il giudizio sulla pena, rivendicando, nella sostanza, un inesistente diritto al minimo edittale, risulta manifestamente infondato, a fronte dell’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione non è consentita dalla legge la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (si veda pag. 11 della impugnata sentenza, ove si è congruamente motivato il discostamento dal minimo edittale nella determinazione della pena base, in virtù della gravità del fatto e della negativa personalità dell’imputato);
valutato che il settimo motivo di ricorso, con cui si contesta l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche, risulta manifestamente infondato, poiché – premesso che secondo l’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di legittimità non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il mancato riconoscimento delle attenuanti in esame, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli at essendo sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti – nel caso di specie, deve evidenziarsi come il suddetto diniego sia stato giustificato sulla base di corrette e non illogiche argomentazioni giuridiche (si vedano le pagg. 11 e 12, ove, facendo applicazione dei principi affermati da questa Corte, sono stati valorizzati quali elementi ostativi all’applicazione delle circostanze ex art. 62-bis i precedenti ascritti all’odierno ricorrente, ritenuti, seppur successivi ai fatti oggetto del presente procedimento, denotativi della sua personalità negativa);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2025.