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Ricorso generico: inammissibile se manca specificità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una condanna per appropriazione indebita. Il motivo principale è la genericità dell’impugnazione, che non contestava in modo specifico le motivazioni della sentenza d’appello. La Corte ribadisce che un ricorso generico, privo di argomentazioni puntuali, non può essere accolto, confermando la decisione dei giudici di merito sia sulla responsabilità che sulla determinazione della pena.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Generico in Cassazione: Quando la Mancanza di Specificità Porta all’Inammissibilità

Nel processo penale, la presentazione di un ricorso in Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio, un momento cruciale in cui si possono contestare le decisioni dei tribunali di merito. Tuttavia, per essere efficace, l’impugnazione deve rispettare requisiti formali e sostanziali molto stringenti. Un ricorso generico, privo di critiche specifiche e dettagliate, è destinato all’insuccesso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione lo dimostra chiaramente, analizzando un caso di appropriazione indebita e offrendo spunti fondamentali sulla corretta redazione degli atti giudiziari.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 del codice penale. Dopo la conferma della condanna da parte della Corte d’Appello, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, affidando la sua difesa a due specifici motivi di contestazione.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Corte

L’imputato basava il suo ricorso su due principali argomentazioni: la presunta carenza di motivazione riguardo all’affermazione di responsabilità e l’eccessività della pena inflitta, unita al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La Censura di un Ricorso Generico sulla Responsabilità

Il primo motivo di ricorso è stato rapidamente liquidato dalla Suprema Corte come inammissibile e manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato che le doglianze erano state formulate in termini vaghi e privi di puntualità. La giurisprudenza consolidata, infatti, richiede che i motivi di ricorso non siano solo non indeterminati, ma che stabiliscano una correlazione precisa tra le argomentazioni della difesa e quelle contenute nella sentenza impugnata.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva costruito una motivazione lineare e congrua, basata sulle dichiarazioni precise e coerenti della persona offesa (costituitasi parte civile) e corroborate da prove documentali. Di fronte a una motivazione così strutturata, un ricorso generico che si limita a contestare genericamente le conclusioni dei giudici di merito, senza attaccarne specifici passaggi logici, non può trovare accoglimento.

La Discrezionalità del Giudice sulla Pena

Anche il secondo motivo, relativo alla quantificazione della pena e alle attenuanti, è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: la graduazione del trattamento sanzionatorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, esercitato nel rispetto degli articoli 132 e 133 del codice penale, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la decisione non sia frutto di arbitrarietà o di un ragionamento palesemente illogico.

La Corte d’Appello aveva adeguatamente giustificato la pena irrogata, leggermente superiore al minimo edittale, evidenziando l’obiettiva gravità della condotta e il danno economico causato alla vittima. Anche la decisione di non concedere le attenuanti generiche era stata correttamente motivata. Pertanto, la censura dell’imputato si risolveva in una richiesta di nuova valutazione del merito, inammissibile in Cassazione.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su due pilastri del diritto processuale penale. In primo luogo, il principio di specificità dei motivi di ricorso, sancito dall’art. 591, comma 1, lett. c, del codice di procedura penale, che impone al ricorrente di confrontarsi analiticamente con la decisione impugnata. Un’impugnazione che non lo fa è considerata un ricorso generico e, come tale, inammissibile. In secondo luogo, il rispetto del potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione della pena, che può essere messo in discussione solo in caso di vizi logici macroscopici, non per una mera divergenza di valutazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza l’importanza della precisione e della specificità nella redazione degli atti di impugnazione. Presentare un ricorso generico equivale a un’occasione persa, poiché la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non rivalutare i fatti. La decisione insegna che per contestare efficacemente una sentenza è necessario smontarne il ragionamento punto per punto, con argomentazioni giuridiche solide e pertinenti, anziché limitarsi a esprimere un generico dissenso.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per genericità?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile per genericità quando manca di specificità e non crea una correlazione diretta tra le sue argomentazioni e le ragioni esposte nella sentenza impugnata. In pratica, si limita a una contestazione vaga senza affrontare puntualmente la motivazione del giudice.

La Corte di Cassazione può ridurre una pena ritenuta troppo alta?
No, non direttamente. La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. La Corte di Cassazione può annullare la decisione sulla pena solo se la motivazione è manifestamente illogica, arbitraria o del tutto assente, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente.

Cosa giustifica una pena superiore al minimo previsto dalla legge?
Nel caso esaminato, una pena leggermente superiore al minimo è stata giustificata sulla base dell’obiettiva gravità della condotta di appropriazione indebita e dell’entità del danno economico che ne è derivato per la persona offesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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