Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30497 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30497 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a San Giovanni Rotondo il 14/04/1982
avverso l’ordinanza del 7/11/2024 del Tribunale del riesame di Bari visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Bari ha rigettato l’istanza presentata nell’ interesse di COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Bari il 25 settembre 2024, che applicava nei confronti dello stesso la misura della custodia cautelare in carcere in
relazione ai reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e di concorso in tentata estorsione aggravata ex art. 416-bis 1 cod. pen.
In particolare, si contesta all’indagato la qualità di partecipe della cellula d Vieste della associazione per delinquere denominata clan “Li Bergolis”, operante nel territorio di Monte Sant’Angelo, Vieste e Manfredonia, con permanenza alla attualità.
Si contesta, altresì, di avere, in concorso con altri, quale esecutore materiale, posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere con minaccia NOME NOME, titolare di una rivendita d’auto, a cedere, a titolo gratuito un’autovettura da destinare a NOME NOME, senza riuscire nell’intento perché la vittima non aveva in quel momento auto disponibili. Minaccia consistita nel far intendere alla vittima, per le qualità personali dei richiedenti, per le modalità, tempi e il contesto in cui si realizzava la richiesta, che, in caso di mancato adempimento o rifiuto, avrebbe subito ritorsioni. Fatto commesso dal 24 gennaio al 3 Marzo 2021.
Il Collegio della cautela ha richiamato, preliminarmente, i numerosi procedimenti riconducibili alle attività criminali della consorteria, la cui esistenz è stata già certificata giudizialmente dalla sentenza resa nel procedimento “Iscaro Saburo”. Il compendio indiziario è costituito dalle dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia, dagli esiti dell’attività di intercettazione geolocalizzazione, dai servizi di o.c.p., di video nnonitoraggio e di tracciamento tramite G.P.S., nonché dai sequestri di sostanza stupefacente e armi e dagli arresti in flagranza di coindagati.
Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione COGNOME deducendo i seguenti motivi:
2.1. Violazione di legge in relazione alla nullità della ordinanza del G.i.p. per omessa autonoma valutazione.
Il Tribunale del riesame ha rigettato tale eccezione, sostenendo l’esistenza nell’ordinanza genetica di appositi paragrafi nei quali il G.i.p. avrebbe ampiamente motivato in maniera autonoma la ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati ascritti a COGNOME e delle esigenze cautelari. In realtà, il Collegio della cautela ha fornito una motivazione apparente, posto che da una comparazione visiva tra la richiesta della misura del Pubblico ministero e l’ordinanza del G.i.p., ricorre la medesima impostazione argomentativa; il Gip, comunque, non indica gli elementi di fatto ritenuti decisivi ai fini dell’affermazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, ma si limita a fornire una motivazione apparente.
2.2. Violazione di legge anche processuale e vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del quadro indiziario a carico del ricorrente.
In particolare, il Collegio della cautela ha ritenuto indizianti le dichiarazio rese dai collaboratori di giustizia nonché alcune intercettazioni telefoniche registrate in data 20 febbraio, 10 e 12 marzo 2021, quindi nell’arco di 20 giorni. Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori giustizia:
–COGNOME NOME ha affermato che COGNOME era intraneo al clan COGNOME e che, secondo quanto riferito da NOME COGNOME, “era un gran tifoso dei COGNOME di NOME“. Il predetto ha, poi, riferito, che non conosceva il ruolo del ricorrente all’interno d clan COGNOME e che, dopo che gli avevano trovato l’arsenale si era allontanato;
–COGNOME riconosceva COGNOME in una foto;
– COGNOME e COGNOME riferivano che l’indagato era implicato nel narcotraffico per conto del clan “Li Bergolis”.
A sostegno della attendibilità delle propalazioni dei collaboratori di giustizia vengono indicati, genericamente, come riscontro, gli esiti delle indagini, senza specificare quali.
L’indagato non è mai stato coinvolto in nessuna delle numerose indagini di polizia che, nel corso degli anni, hanno riguardato le compagini delinquenziali in questione a partire dalla storica operazione Medioevo fino alle più recenti.
Appare logicamente poco plausibile che l’indagato possa essere intraneo a due gruppi criminali contrapposti, ovvero che possa fuoriuscire da un gruppo per passare a quello rivale senza correre il rischio di pesanti rappresaglie.
I precedenti penali del ricorrente non possono, poi, essere di supporto alla tesi accusatoria, posto che lo stesso è gravato da una condanna per tentato omicidio non aggravato dal metodo mafioso nonché da due evasioni. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale del riesame, relativamente alla vicenda del ritrovamento dell’arsenale di armi, per il quale fu condannato COGNOME COGNOME l’odierno ricorrente non fu neppure indagato.
L’identificazione dell’indagato non può essere ritenuta certa: le intercettazioni sono su utenze non intestate al COGNOME e vengono captate in celle distanti centinaia di chilometri da Vieste: solo in alcune si parla di “Libero”, ma ciò non basta per ritenere che ci si riferisca all’indagato.
Inoltre, nel corso delle indagini non sono state rinvenute tracce di stupefacente sulla persona dell’indagato né presso la sua abitazione; non sono stati individuati i luoghi ove la sostanza sarebbe stata custodita; non è stata verificata la disponibilità di denaro compatibile con i proventi delle attività illec non è stata attestata la frequentazione dell’indagato con i referenti del sodalizio criminale.
Non vi sono, infine, verbali di O.C.P. o captazioni che avvalorino acquisti di droga dal sodalizio di COGNOME o la partecipazione ad altre attività delittuose oggetto del programma associativo, tranne quella contestata al capo 27) dell’incolpazione provvisoria.
Quanto alla partecipazione di COGNOME al delitto di tentata estorsione, la presunta vittima è soggetto descritto dagli stessi inquirenti come vicino al clan “Li Bergolis” e dalle intercettazioni non emerge alcuna violenza o minaccia perpetrata dall’indagato.
La contestazione dell’incolpazione “dal 2009 in permanenza” appare sproporzionata e generica rispetto alla condotta delittuosa emergente dagli atti, dal momento che le captazioni sono limitate e terminate al marzo 2021.
Ciò rileva anche in ordine alla presunzione assoluta di adeguatezza della misura carceraria. Il tribunale del riesame non ha argomentato sulla attuale persistenza o immanenza delle esigenze cautelari che dovrebbero giustificare la disposta misura carceraria, soprattutto in considerazione del fatto che la condotta del ricorrente risale al 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
Il primo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Lo stesso, nel riprodurre – onde poi assoggettarla a critica – la motivazione con cui il Tribunale di Bari ha rigettato l’eccezione di nullità, che è alla bas dell’impugnazione in esame, ha nondimeno omesso di riportare l’incipit della motivazione medesima, là dove il giudice distrettuale della cautela pone in evidenza, rimarcando il carattere preliminare e prioritario dell’osservazione, che la difesa del prevenuto ha svolto una censura generale del profilo in esame senza prendere specificamente in considerazione le singole parti della ordinanza impugnata che trattano dell’indagato e degli addebiti a lui specificamente mossi.
Occorre ribadire, a questo proposito, che, in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti de libertate, qualora la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione, da parte del Giudice per le indagini preliminari, dei requisiti previsti dall’art. 292 cod. proc. pen. sia solo genericamente eccepita – in quanto carente di indicazioni relative ai passi dell’ordinanza che richiamano o ricalcano la richiesta cautelare o alle ragioni per cui la dedotta omissione avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario tali da condurre a conclusioni diverse – , il tribunale del riesame, nel rigettare tale eccezione, non è tenuto a fornire una motivazione più articolata e ad indicare specificamente le pagine ed i passaggi del
provvedimento impugnato in cui rinvenire detta autonoma valutazione (Sez. 2, n. 42333 del 12/09/2019, COGNOME, Rv. 278001 – 01).
Laddove l’eccezione di nullità, come nel caso in esame, sia generica e consista nel lamentare l’assenza di autonoma valutazione del G.i.p., senza indicare i passaggi dell’ordinanza genetica che ricalcano o richiamano la richiesta cautelare, o senza indicare le ragioni per cui tale omissione avrebbe impedito valutazioni alternative di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate, non si rende, quindi, necessario per il Tribunale fornire una motivazione più articolata, indicando in modo specifico le pagine e i passaggi in cui è dato rinvenire la detta valutazione autonoma, poiché una diversa interpretazione finirebbe con il porre a carico del Tribunale un onere motivazionale eccessivamente gravoso e ingiustificato.
Anche il ricorso per cassazione è generico, posto che il ricorrente avrebbe dovuto produrre la parte della richiesta di misura cautelare del Pubblico e quella dell’ordinanza del G.i.p. che avrebbe ricopiato, senza autonoma valutazione, la prima, mentre, invece, si è limitato a sostenere assertivamente tale circostanza.
Deve, in ogni caso, osservarsi che, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, a pag. 189 della ordinanza genetica, che si integra reciprocamente con l’ordinanza impugnata, viene evidenziato che:
la contestazione a carico di COGNOME si fonda sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME e sul contenuto delle intercettazioni. Dalle dichiarazioni del COGNOME si ricava che quest’ultimo, che vanta una conoscenza diretta del COGNOME per avere trascorso con lui un periodo di detenzione nel 2013, lo ha collocato all’interno del clan COGNOME;
-le dichiarazioni del collaboratore hanno trovato riscontro in numerosissime intercettazioni nel corso delle quali il COGNOME si è dimostrato uno dei più fedeli accoliti di COGNOME. E, invero, COGNOME era uno dei sodali che durante la detenzione domestica nel 2017 accedeva all’interno dell’abitazione del COGNOME, come ripreso anche dalle videocamere. Inoltre, più di ogni altro, si prodigava per assicurare il mantenimento del COGNOME e il pagamento delle spese legali dello COGNOME. Tanto si desume dalle dichiarazioni di COGNOME NOME COGNOME dalle affermazioni di COGNOME e dalle dichiarazioni confessorie di COGNOME per come captate nel corso delle sue frequentissime conversazioni con COGNOME e COGNOME. Il ricorrente, infatti, rimarcando costantemente la propria fedeltà al clan, si lamentava del disinteresse degli altri soda li.
L’ordinanza genetica ha, altresì, sottolineato la disponibilità di COGNOME nell’attività di detenzione e spaccio di stupefacenti nonché nell’attività estorsiva.
Quanto alle esigenze cautelari, l’ordinanza del G.i.p. e quella impugnata hanno rimarcato puntualmente che il ricorrente:
era uno dei più fedali sodali del COGNOME, tanto da essersi indebitato personalmente per assicurare il suo mantenimento durante la detenzione;
nel corso delle intercettazioni pianificava di frequente intimidazioni e raccoglieva direttive da COGNOME
I Giudici della cautela hanno correttamente ritenuto che ciò denoti il grado di compenetrazione nel tessuto associativo e la solidità dell’affectio societais e che entrambi i rilievi fondino un giudizio di sicura attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato.
Il secondo motivo è inammissibile perché aspecifico.
La gravità del panorama indiziario evocato a sostegno della misura, e scrutinato in termini di adeguatezza dal Giudice del riesame cautelare, deve ritenersi congruamente sostenuta dall’apparato motivazionale su cui si radica l’impugnato provvedimento, che ha correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni che giustificano l’epilogo del relativo percorso decisorio. Entro la prospettiva tracciata da sequenze argomentative linearmente esposte, deve rilevarsi come l’impugnata ordinanza abbia fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia in esame, puntualmente replicando alle obiezioni difensive e ponendo in evidenza – sulla base delle numerose emergenze investigative ivi compiutamente rappresentate – che , al di là dell’errore fatto da COGNOME nel riferire che il sequestro dell’arsenale fu a caric del ricorrente e non invece del padre, tutti i collaboratori di giustizia hanno reso dichiarazioni convergenti sul fatto che COGNOME faceva parte del gruppo di COGNOME ed era a disposizione del gruppo per gli sbarchi di sostanza stupefacente.
Quanto alla identificazione dello stesso, l’ordinanza impugnata richiama puntualmente l’intercettazione nel corso della quale NOME dice al figlio di inviare un messaggio a “Libero” contattandolo mediante il profilo di NOME COGNOME, la quale è, per l’appunto, la moglie del ricorrente.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 11 aprile 2025
DEPOSITATO IN CANCELLERIA