LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Ricorso furto aggravato: inammissibile se infondato

Un soggetto condannato per furto pluriaggravato presenta ricorso in Cassazione lamentando un’errata valutazione della pena e la mancanza della querela. La Suprema Corte dichiara il ricorso furto aggravato inammissibile, ribadendo la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena e confermando la presenza della querela agli atti. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Furto Aggravato: Quando la Cassazione dice ‘No’

L’esito di un processo penale non sempre soddisfa le parti coinvolte. Quando una condanna viene confermata in appello, l’ultima spiaggia per l’imputato è il ricorso alla Corte di Cassazione. Tuttavia, l’accesso al giudizio di legittimità è tutt’altro che scontato. Un’ordinanza recente della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio dei motivi per cui un ricorso furto aggravato può essere dichiarato inammissibile, delineando i confini invalicabili per le doglianze del ricorrente.

I Fatti del Caso

Il caso in esame riguarda un individuo condannato sia in primo grado che in appello per il reato di furto pluriaggravato, ai sensi degli articoli 624 e 625 del codice penale. Le aggravanti contestate erano l’uso di violenza sulle cose e la commissione del fatto su beni esposti alla pubblica fede. Ritenendo ingiusta la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a due specifici motivi.

I Motivi del Ricorso per Furto Aggravato

Il ricorrente ha basato la sua difesa su due pilastri principali:

1. Vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio: L’imputato sosteneva che i giudici di merito non avessero motivato adeguatamente la quantificazione della pena. A suo dire, la pena inflitta era sproporzionata, e la Corte d’Appello non aveva giustificato la sua decisione in conformità con i principi degli articoli 132 e 133 del codice penale.

2. Mancanza della condizione di procedibilità: In secondo luogo, veniva eccepita la presunta assenza della querela da parte della persona offesa, un atto indispensabile per poter procedere legalmente per il reato contestato in determinate circostanze.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi presentati e ha concluso per la loro manifesta infondatezza, dichiarando il ricorso inammissibile. Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente con una motivazione chiara e lineare.

Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di primo e secondo grado, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che la sentenza impugnata aveva adeguatamente giustificato la pena, posizionandola vicino al minimo edittale e tenendo conto sia della gravità del fatto che della personalità dell’imputato. Inoltre, erano state concesse le attenuanti generiche in regime di equivalenza con le plurime aggravanti, dimostrando un’attenta ponderazione.

Sul secondo motivo, la Corte lo ha liquidato come manifestamente infondato su base puramente fattuale. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, agli atti del processo era presente la querela regolarmente sporta dalla persona offesa in data 28 agosto 2017. L’affermazione del ricorrente era, quindi, palesemente smentita dalle carte processuali.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma due importanti lezioni. In primo luogo, criticare la quantificazione della pena in Cassazione è un’operazione complessa: non è sufficiente lamentare una presunta eccessività, ma è necessario dimostrare un vizio logico grave nella motivazione del giudice. In secondo luogo, fondare un ricorso su circostanze fattuali facilmente smentibili dagli atti processuali, come l’assenza di una querela, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria. La verifica attenta degli atti prima di intraprendere un’azione legale si conferma, ancora una volta, un passo fondamentale.

È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
No, non se la critica riguarda solo la valutazione del giudice. La determinazione della pena è un potere discrezionale del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo se la motivazione è mancante, illogica o contraddittoria, non per riesaminare l’adeguatezza della pena.

Cosa succede se un ricorso si basa su un’affermazione falsa smentita dai documenti del processo?
Il ricorso viene dichiarato manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Nel caso specifico, il ricorrente lamentava l’assenza della querela, ma la Corte ha verificato che essa era presente agli atti, rendendo il motivo di ricorso privo di ogni fondamento.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso penale viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, a titolo di sanzione, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati