Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35641 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35641 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PAGANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/02/2024 del GIP TRIBUNALE di NOCERA INFERIORE dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale è stata applicata la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen deducendo vizio di motivazione e violazione di legge con un primo motivo in relazione agli artt. 129 e 444 cod. proc. pen. per non avere il giudice di merito proceduto ad una verifica sostanziale della qualificazione giuridica del fatto e con il secondo motivo ordine alle ragioni poste a fondamento della confisca del danaro in sequestro, lamentando «violazione della legge penale in relazione all’art. 111 co. 7 Cost., 448 co. 2 bis c.p.p. art. 12 sexies I. 356/92 240bis cod. pen.».
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
2. Il proposto ricorso è inammissibile.
2.1. Ed invero, quanto al primo motivo prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità. Ciò in quanto, è agevole rilevare che al di là della mera enunciazione di un motivo di ricorso, formalmente consentito, la contestazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto risulta inconsistente e si risolve in una formula vuota di contenuti, non risultando in alcun modo evidenziati gli elementi di fatto, giustificativi di un diverso inquadramento giuridico del fatto, neppure indicato, o sostanzianti l’erronea qualificazione giuridica attribuita al fatto e ritenuta in sentenza.
Condivisibilmente, questa Corte di legittimità ha affermato -e va qui ribaditoche l’erroneità della qualificazione giuridica del fatto, meramente enunciata, scherma la richiesta di una sentenza di proscioglimento, parimenti immotivata, che, in sostanza, elude i limiti normativi (Sez. 6, ord. n. 2721 del 8/1/2018, Bouaroua, Rv. 272026). E, in ogni casc, che a seguito dell’introduzione dell’art. 448 comma 2 bis cod. proc. pen. la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in una sentenza di patteggiamento è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo del ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (così sez. 6 ord. 3108 dell8.1.2018, Antoci, Rv 272252); e, del pari, è stato affermato che in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, co. 2 bis, cod. proc. pen. l’erronea qualificazione del fatto contenuto
in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi, in diritto, che non risultino evidenti testo del provvedimento impugNOME (Sez 1 n. 15553 del 20/03/2018 Rv 272619). In applicazione dell’orientamento giurisprudenziale appena enunciato, questo Collegio ritiene che le doglianze poste con il primo motivo di ricorso siano del tutto generiche e, per questo, manifestamente infondate.
2.2. In punto di ammissibilità del secondo motivo di ricorso va ricordato che la sentenza di patteggiamento che abbia applicato una misura di sicurezza è ricorribile per cassazione nei soli limiti di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., solo ove la misura sia stata oggetto dell’accordo tra le parti, il che non è accaduto nel caso che ci occupa, diversamente essendo ricorribile per vizio di motivazione ai sensi della disciplina generale prevista dall’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. Un. n. 21368 del 26/09/2019, NOME, Rv. 279348).
Tuttavia, il proposto motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto opina il ricorrente, con un motivo che sul punto si palesa assolutamente generico ed aspecifico ed eccentrico rispetto al contenuto della sentenza impugnata, il giudice del patteggiamento non ha disposto la confisca ai sensi dell’art. 240bis cod. pen., bensì dell’art. 240 cod. pen.
Ciò in quanto sono in contestazione non solo ipotesi di detenzione al fine di spaccio, ma anche numerose ipotesi di cessione a soggetti ben specificati, con indicazione dei relativi corrispettivi, per cui, come si dà atto in sentenza, pure a fronte di un’ipotesi ricondotta al fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma d.P.R. 309/90, il danaro poteva essere sequestrato sui rilievo che si tratta del profitto delle condotte di cessione dello stupefacente.
L’art. 240 cod. pen. – va ricordato- prevede la confisca delle cose che costituiscono il profitto del reato, che è costituito dal lucro, cioè dal vantaggio economico che si ricava, direttamente o indirettamente, dalla commissione del reato (Sez. Un. 3/7/1996, Chabrui, Rv. 205707). È pertanto certamente ammessa la confisca del denaro che costituisca provento del reato di vendita di sostanze stupefacenti quando tale sia il reato per cui si procede.
La sentenza sul punto opera un corretto governo del richiamato principio affermato da S.U. 42415/2021.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 dei 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2024