Ricorso Dopo Patteggiamento: La Cassazione Chiarisce i Limiti di Ammissibilità
Il ricorso dopo patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate della procedura penale. Sebbene il patteggiamento sia un accordo tra accusa e difesa per definire il processo, la legge prevede dei casi limitati in cui la sentenza può essere impugnata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5930/2025) offre un’importante lezione sui requisiti di specificità e sui confini invalicabili di tale impugnazione, ribadendo che il ricorso non può trasformarsi in un tentativo di rimettere in discussione l’intero merito della causa.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da un procedimento penale a carico di due individui, accusati di detenzione di sostanze stupefacenti per un fatto di lieve entità. I due imputati avevano optato per il rito alternativo della pena concordata, comunemente noto come patteggiamento. Il Tribunale aveva quindi applicato le pene concordate con il Pubblico Ministero: due anni di reclusione e 4.000 euro di multa per il primo, e un anno e quattro mesi di reclusione e 2.700 euro di multa per il secondo.
Nonostante l’accordo raggiunto, i due condannati decidevano di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di legge. A loro dire, il giudice di primo grado avrebbe omesso di motivare le ragioni per cui non aveva pronunciato una sentenza di proscioglimento immediato, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.
Limiti e Specificità del Ricorso Dopo Patteggiamento
La difesa sosteneva che il giudice del patteggiamento avrebbe dovuto, prima di ratificare l’accordo, verificare attivamente l’esistenza di cause che avrebbero potuto portare a un’assoluzione nel merito. Questa argomentazione, tuttavia, si è scontrata con il rigido vaglio di ammissibilità della Suprema Corte.
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili per due ragioni fondamentali, strettamente connesse tra loro.
Le Motivazioni della Sentenza
In primo luogo, la Corte ha sottolineato la totale mancanza di specificità delle censure. I ricorrenti si erano limitati a una critica astratta, senza indicare alcun elemento fattuale concreto che avrebbe dovuto spingere il giudice a una valutazione diversa. La sentenza impugnata, al contrario, evidenziava elementi di segno opposto: gli imputati avevano tentato la fuga alla vista delle forze dell’ordine, avevano cercato di disfarsi della droga (oltre 26 grammi di cocaina) e avevano persino ammesso l’addebito in sede di dichiarazioni spontanee. Questi fatti rendevano palesemente infondata la pretesa di un proscioglimento.
In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, la Corte ha ribadito che i motivi del ricorso erano estranei al catalogo tassativo previsto dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita strettamente le ragioni per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento. Un ricorso dopo patteggiamento non può essere utilizzato per contestare la valutazione dei fatti o la colpevolezza dell’imputato, ma solo per vizi specifici come un errore nella qualificazione giuridica del fatto o un’applicazione illegale della pena.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione della Cassazione è un monito importante: il patteggiamento è una scelta processuale che comporta una sostanziale rinuncia a contestare nel merito l’accusa. Tentare di aggirare questa logica attraverso un ricorso generico e non ancorato ai motivi specifici consentiti dalla legge si traduce non solo in un insuccesso, ma anche in una condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle Ammende. L’ordinanza conferma che la via del ricorso dopo patteggiamento è stretta e percorribile solo in presenza di vizi palesi e legalmente tipizzati, non per un ripensamento tardivo sulla propria responsabilità.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
Sì, ma solo per i motivi tassativamente indicati dalla legge (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.), come ad esempio un errore nella qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena applicata. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti o la colpevolezza.
Perché in questo caso il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le doglianze erano generiche, non indicavano elementi concreti a sostegno della richiesta di proscioglimento e, soprattutto, sollevavano questioni non comprese tra i motivi per i quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle Ammende, a titolo di sanzione per aver promosso un’impugnazione infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5930 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5930 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 19/10/1991 NOME nato a NAPOLI il 23/11/2005
avverso la sentenza del 14/06/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME e COGNOME NOME, ai quali è stata applicata la pena concordata ex art. 444 e ss. cod. proc. pen., rispettivamente, di due anni di reclusione e d 4.000,00 euro di multa e di un anno e quattro mesi di reclusione e di 2.700,00 euro di multa, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, articolando entrambi un uni motivo di ricorso, deducono violazione di legge in relazione all’omessa indicazione delle ragion per le quali è stata esclusa la sussistenza delle condizioni per l’emissione di sentenza d proscioglimento a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., anche avendo riguardo alla finalità della detenzione della droga sequestrata;
Considerato che il motivo espone doglianze prive di specificità e comunque non consentite, perché le censure proposte non contengono alcuna indicazione degli elementi fattuali che avrebbero dovuto imporre una verifica in ordine alla eventuale sussistenza di cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen. (la sentenza impugnata, peraltro, rappresenta ch due imputati, agendo in concorso tra loro, alla vista delle forze dell’ordine hanno cercato di da alla fuga e di disfarsi della droga, sono stati poi colti in possesso di oltre 26 grammi di coc ed hanno ammesso l’addebito in sede di spontanee dichiarazioni), e comunque sono estranee al catalogo di quelle previste dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.;
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2024.