Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3994 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 3994  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
AVV_NOTAIO Generale presso la Corte di appello di Brescia avverso la sentenza n. 36/23 del G.i.p. del Tribunale di Brescia del 12/01/2023 nel procedimento nei confronti di NOME
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza limitatamente al calcolo della pena da cornminare, ferma la decisione sulla responsabilità dell’imputato
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata il G.i.p. del Tribunale di Brescia ha dichiarato l’imputato NOME responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cod. pen., 73, commi 1 e 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e 99, quarto comma, cod. pen., condannandolo alla pena di otto anni di reclusione e 20.000 euro di multa, applicata la contestata recidiva, ritenuta la continuazione ed applicata, infine, la diminuente per il rito abbreviato secondo cui si è svolto il processo.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso diretto per cassazione il AVV_NOTAIO Generale presso la Corte di appello di Brescia, deducendo inosservanza degli artt. 99, quarto comma e 81, quarto comma, cod. pen.
Lamenta in primo luogo il ricorrente che – nell’operare l’aumento di due terzi della pena base fissata in sette anni di reclusione e 27.000 euro di multa ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen. – il G.i.p., pur correttamente determinando la pena detentiva in anni undici e mesi otto di reclusione, non ha operato alcun aumento sulla pena pecuniaria, attestata a 27.000 euro.
Deduce, inoltre, che a mente dell’art. 81, quarto comma, cod. pen., l’aumento a titolo di continuazione non poteva essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, essendo l’imputato già stato dichiarato recidivo ai sensi dell’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Nel concreto il giudicante ha fissato la pena per il reato più grave di cui al capo 1 in sette anni di reclusione e 27.000 euro di multa, quantificando l’aumento complessivo per la continuazione con i reati concorrenti in soli due mesi di reclusione.
La pena finale, prima della diminuzione per il rito, è stata così stabilita in dodici anni di reclusione (calcolo comunque erroneo per eccesso di due mesi) e 30.000 euro di multa, non comprendendosi se l’aumento di 3.000 euro di multa sia stato imputato a titolo di recidiva o di continuazione, in entrambi i casi comunque errato per difetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’art. 569, comma 1, cod. proc. pen. sancisce la facoltà di scelta della
parte che ha diritto ad appellare la sentenza a proporre in alternativa ricorso diretto per cassazione.
L’esercizio della facoltà presuppone, pertanto, la sussistenza del diritto della parte a proporre appello, in assenza del quale resta la possibilità di ricorrere per violazione di legge, giusta la previsione di cui all’art. 111, comma 7 della Costituzione.
Nel caso in esame il ricorso del AVV_NOTAIO Generale distrettuale è stato proposto avverso una sentenza emessa dal giudice di primo grado all’esito di giudizio condotto secondo le forme del rito abbreviato.
L’art. 443, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di condanna pronunciate secondo il rito a prova contratta, salvo che si tratti di pronuncia che modifica il titolo del reato.
In termini più generali, l’art. 593, comma 1, cod. proc. pen. prevede che il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di condanna solo quando esse modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.
Ne consegue che anche ove si volesse ipotizzare l’applicabilità dell’art. 593, comma 1 in luogo dell’art. 443, comma 1, cod. proc. pen., costituente norma speciale più restrittiva dettata per il rito abbreviato, l’appello non sarebbe stato comunque possibile nel caso in esame.
Il ricorrente ha, allora, qualificato come altrettante violazioni di legge gli error peraltro evidenti, commessi dal giudicante nella concreta determinazione della pena, ma senza che ad essi siasi accompagnata modifica del titolo del reato o che sia stata esclusa la sussistenza (v. dispositivo) della contestata recidiva, costituente a tutti gli effetti circostanza aggravante ed effetto speciale o che sia stata applicata pena di specie diversa da quella prevista dalla legge.
La ricorrenza di dette situazioni avrebbe, infatti, permesso tanto la proposizione dell’appello quanto la presentazione del ricorso diretto in sede di legittimità per i corrispondenti motivi, mentre solo ragioni di diversa natura (ad es. mancato rispetto del principio del contraddittorio) avrebbero potuto sorreggere il ricorso in cassazione secondo la citata previsione costituzionale.
Del tutto fuori perimetro da un eventuale appello sarebbe, invece, stata l’impugnazione riguardante l’errore di determinazione della pena per aumento dovuto a titolo di continuazione (art. 81 cod. pen.), con conseguente effetto preclusivo anche del ricorso per cassazione
3. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile perché basato su
motivi non consentiti al ricorrente in sede di legittimità.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso, 4 dicembre 2023
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