Patteggiamento: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile?
Il ricorso in Cassazione dopo un patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, caratterizzata da limiti ben precisi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire quali sono i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le implicazioni pratiche per l’imputato che sceglie questo rito alternativo.
I fatti del processo e i motivi del ricorso
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato dal Tribunale di Verona per il reato di illecita detenzione di eroina. La sentenza era stata emessa a seguito di un accordo tra l’imputato e la pubblica accusa, secondo il rito del patteggiamento.
Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando due principali censure:
1. L’omessa motivazione riguardo alla possibile applicazione delle cause di proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p. (la cosiddetta “evidenza dell’innocenza”).
2. Un vizio di motivazione relativo alla quantificazione della pena irrogata.
In sostanza, il ricorrente lamentava che il giudice di merito non avesse adeguatamente considerato la sua potenziale non colpevolezza e non avesse giustificato a sufficienza la pena applicata, nonostante questa fosse frutto di un accordo.
La decisione della Corte: i rigidi limiti del ricorso in Cassazione patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme che disciplinano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, in particolare il comma 2-bis dell’art. 444 del codice di procedura penale.
Le ragioni dell’inammissibilità
La Corte ha ricordato che, a seguito delle recenti riforme, il legislatore ha drasticamente limitato i motivi per cui è possibile presentare un ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Questi motivi sono tassativi e circoscritti a:
* Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
* Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa dal giudice.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
I motivi sollevati dal ricorrente, relativi alla mancata valutazione di cause di proscioglimento e al vizio di motivazione sulla pena, non rientrano in questo elenco. Pertanto, la Corte non ha potuto nemmeno esaminare nel merito le doglianze, dovendosi fermare a una valutazione puramente procedurale.
L’onere di motivazione per l’appellante
Un altro punto toccato dalla Corte riguarda la censura relativa all'”erronea qualificazione giuridica del fatto”. Sebbene questo sia uno dei motivi ammessi, i giudici hanno sottolineato come il ricorrente si fosse limitato a enunciare tale vizio senza fornire alcuna argomentazione a supporto. Una semplice affermazione, priva di un’adeguata articolazione motivazionale, è stata ritenuta insufficiente e, di conseguenza, inammissibile.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si basano sulla natura stessa del patteggiamento, che è un accordo processuale. Accettando il patteggiamento, l’imputato rinuncia a contestare nel merito l’accusa in cambio di uno sconto di pena. Questa rinuncia si estende anche al diritto a un’impugnazione ampia. Il legislatore, nel limitare i motivi di ricorso, ha voluto dare stabilità a queste sentenze, evitando che il patteggiamento si trasformi in una strategia per ottenere uno sconto di pena per poi tentare di rimettere tutto in discussione in Cassazione su basi non consentite. La Corte, citando un precedente (Cass. n. 28742/2020), ha confermato che le doglianze dell’imputato esulavano completamente dal perimetro tracciato dalla norma, rendendo il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile.
Le conclusioni
Questa ordinanza è un chiaro monito: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica con conseguenze significative, tra cui una forte limitazione del diritto di impugnazione. Chi opta per questo rito deve essere consapevole che potrà contestare la sentenza in Cassazione solo per vizi specifici e proceduralmente rilevanti, e non per questioni attinenti alla valutazione del merito o alla motivazione della pena concordata. La presentazione di un ricorso basato su motivi non ammessi comporta non solo la sua dichiarazione di inammissibilità, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, come avvenuto nel caso di specie.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi previsti dalla legge, come problemi nel consenso dell’imputato, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.
Quali sono i motivi NON validi per un ricorso in Cassazione dopo patteggiamento?
Secondo questa ordinanza, non è possibile fare ricorso per lamentare la mancata valutazione di cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.) o per un presunto vizio di motivazione sulla misura della pena concordata tra le parti, poiché questi motivi non rientrano nell’elenco tassativo dell’art. 444, comma 2-bis, c.p.p.
Cosa succede se si presenta un ricorso in Cassazione per motivi non consentiti dopo un patteggiamento?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che la Corte non esamina il merito della questione. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26680 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26680 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME AYMEN TARGA_VEICOLO nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 del TRIBUNALE di VERONA
ya a t o avviso alle partg udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
•
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che il ricorrente COGNOME NOME (NUMERO_DOCUMENTO), imputato del reato di illecita detenzione di eroina, deduce l’omessa motivazione rispetto alla mancata valutazione delle cause di proscioglimento di cui all’art. 129 cod. proc. pen, nonché il vizio di motivazione in ordine alla pena irrogata, avverso sentenza di applicazione della pena emessa in data 22/11/2023, dal Tribunale di Verona, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.;
Rilevato che tali doglianze sono state proposte avverso una sentenza di applicazione della pena richiesta dopo l’entrata in vigore del comma 2-bis dell’art. 444 cod. proc. pen., che consente il ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegal della pena o della misura di sicurezza» (sul punto, cfr. da ultimo Sez. Fer., ord. n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761 – 01);
Ritenuto altresì che l’ulteriore riferimento alla “erronea qualificazione giuridica del fatto” sia privo di ogni consistenza, difettando qualsiasi articolazione motivazionale della censura, meramente enunciata;
Ritenuto che, pertanto, il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 19 aprile 2024
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Il Presidente