Ricorso per Cassazione Patteggiamento: Quando è Ammissibile?
Il ricorso per cassazione patteggiamento rappresenta una delle questioni più tecniche e dibattute della procedura penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 12427 del 2024, offre un chiarimento fondamentale sui limiti di questo strumento di impugnazione, confermando un orientamento ormai consolidato. Analizziamo insieme la decisione per comprendere quali sono gli unici motivi per cui è possibile contestare una sentenza di applicazione della pena su richiesta davanti alla Suprema Corte.
I Fatti del Caso: La Decisione del GIP e il Ricorso degli Imputati
Il caso nasce dal ricorso presentato da due imputati contro una sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Arezzo, con la quale era stata applicata la pena su loro richiesta (il cosiddetto ‘patteggiamento’). Gli imputati, attraverso i loro difensori, avevano sollevato questioni relative al vizio di motivazione della sentenza. Nello specifico, uno dei ricorrenti lamentava un’errata valutazione nel bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti, mentre l’altro contestava la motivazione sia sull’affermazione di responsabilità sia sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche nella loro massima estensione. In sostanza, entrambi criticavano il modo in cui il giudice di merito aveva quantificato la pena.
Limiti al Ricorso per Cassazione Patteggiamento: La Normativa
La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, basando la propria decisione sulla chiara dizione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, ha ristretto notevolmente le maglie per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La legge stabilisce che il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione patteggiamento solo ed esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi legati all’espressione della volontà dell’imputato: ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza: se il giudice ha emesso una decisione che non corrisponde a quanto concordato tra le parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo giuridicamente scorretto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata: se la sanzione irrogata è contraria alla legge (ad esempio, superiore al massimo edittale o di un tipo non previsto).
La Valutazione della Corte
La Corte ha sottolineato come le doglianze dei ricorrenti non rientrassero in nessuna delle categorie sopra elencate. Le critiche mosse alla sentenza del GIP riguardavano esclusivamente il merito della valutazione del giudice sulla quantificazione della pena, un aspetto che attiene alla sfera discrezionale del giudicante e che, a seguito della riforma, non può più essere oggetto di sindacato in sede di legittimità per le sentenze di patteggiamento.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
I giudici della Suprema Corte hanno ribadito che le censure relative al vizio di motivazione sulla quantificazione della pena, sul bilanciamento delle circostanze (ex art. 69 c.p.) o sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche (ex art. 62 bis c.p.) sono doglianze non consentite nel giudizio di legittimità avverso le sentenze di applicazione della pena. La scelta del legislatore del 2017 è stata quella di deflazionare il carico della Cassazione, limitando le impugnazioni a vizi procedurali o a errori di diritto di particolare gravità, escludendo le valutazioni di merito che presuppongono un accordo tra accusa e difesa.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: chi accede al rito del patteggiamento accetta un ‘pacchetto’ che include la pena concordata e rinuncia, in larga parte, alla possibilità di contestare le valutazioni del giudice in un grado di giudizio superiore. Il ricorso per cassazione patteggiamento rimane uno strumento eccezionale, esperibile solo per vizi macroscopici e tassativamente previsti dalla legge. Di conseguenza, i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle Ammende.
È sempre possibile fare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso è consentito solo per motivi specifici e tassativi, come un difetto nella volontà dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Contestare la motivazione del giudice sulla quantificazione della pena è un motivo valido per il ricorso in Cassazione dopo un patteggiamento?
No. Secondo questa ordinanza, il vizio di motivazione sulla quantificazione della pena, incluso il bilanciamento delle circostanze, non rientra tra i motivi tassativamente previsti dalla legge per poter ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la persona che lo ha presentato viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che in questo caso specifico è stata fissata in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12427 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12427 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME (CUI 03REUMB) nato il DATA_NASCITA
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) nato a MONTECCHIO EMILIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/10/2023 del GIP TRIBUNALE di AREZZO
7 Ldato avviso alle parti; , udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
I ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cpp (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) sono inammissibili.
Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura sicurezza.
Nel caso in esame i ricorrenti hanno dedotto il vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della pena ivi compreso il bilanciamento ex art. 69 cod.pen. (NOME) e il vizio di motivazione sull’affermazione della responsabilità e sul diniego d riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze ex art. 62 bis cod.pen. non nella massima estensione (NOME) e non hanno posto a sostegno de176 ricorso alcuna della ipotesi per le quali è attualmente consentito il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta, non avendo sollevato questioni attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tr richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità d pena o della misura di sicurezza.
Si tratta di doglianze non consentite, nel giudizio di legittimità avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta.
Rilevato che pertanto che i ricorsi deve essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2024
Il Consi GLYPH r estensore
Il Presidente