Ricorso Cassazione Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Legge
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione, Sezione Penale, offre un’importante chiarificazione sui limiti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. Affrontando un caso relativo a reati in materia di stupefacenti, la Corte ribadisce quando un ricorso per cassazione patteggiamento può essere considerato ammissibile, in particolare per il motivo dell’erronea qualificazione giuridica del fatto. Questa pronuncia è fondamentale per comprendere la portata della riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017 e le sue implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta (il c.d. “patteggiamento”) emessa dal Tribunale. La condanna riguardava una violazione dell’art. 73 del d.P.R. 309/90, la norma che punisce la produzione e il traffico illecito di sostanze stupefacenti. La ricorrente, tramite il suo legale, lamentava un’erronea qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che la sua condotta avrebbe dovuto essere inquadrata non come reato, ma come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 75 dello stesso Testo Unico, che sanziona il solo uso personale di droghe.
La Decisione sul ricorso per cassazione patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno basato la loro decisione su una rigorosa interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017), ha ristretto notevolmente i motivi per cui è possibile presentare ricorso in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento.
I Limiti Specifici del Ricorso
La Corte ha ricordato che, a seguito della riforma, l’imputato può impugnare la sentenza di patteggiamento solo per motivi specifici e tassativi:
1. Vizi della volontà: Problemi legati all’espressione del consenso dell’imputato al patteggiamento.
2. Difetto di correlazione: Mancata corrispondenza tra la richiesta di pena formulata e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica: Errore nell’inquadramento legale del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Applicazione di sanzioni non previste dalla legge o in misura superiore al consentito.
Nel caso in esame, la ricorrente si appellava al terzo punto, l’erronea qualificazione giuridica.
L’Errore Manifesto come Unica Via d’Accesso per il ricorso per cassazione patteggiamento
Il punto cruciale della decisione della Corte è la specificazione del concetto di “erronea qualificazione giuridica”. Citando una consolidata giurisprudenza (in particolare la sentenza n. 14377 del 2021), la Cassazione ha chiarito che non è sufficiente una semplice divergenza interpretativa. Il ricorso è ammissibile solo in presenza di un “errore manifesto”.
Questo errore si configura solo quando la qualificazione giuridica data dal giudice di merito risulta, con “indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità”, palesemente eccentrica rispetto ai fatti descritti nel capo di imputazione. In altre parole, l’errore deve essere così evidente da balzare agli occhi senza necessità di complesse argomentazioni.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato l’inammissibilità del ricorso rilevando che le argomentazioni della ricorrente non dimostravano un errore di tale macroscopica evidenza. Le sue erano piuttosto “doglianze” generiche contro la decisione del giudice, che non rientravano nelle ipotesi tassative previste dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La richiesta di riqualificare il fatto da reato a illecito amministrativo implicava una valutazione del merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità su una sentenza di patteggiamento, a meno che, appunto, non emerga un errore manifesto. Poiché tale circostanza è stata esclusa nel caso di specie, il ricorso è stato giudicato al di fuori dei binari consentiti dalla legge.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento restrittivo e rigoroso della Cassazione sull’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La scelta di questo rito speciale comporta una sostanziale rinuncia a contestare nel merito l’accusa, in cambio di uno sconto di pena. L’impugnazione è quindi un’eccezione, permessa solo per vizi gravi e palesi. Per gli avvocati e i loro assistiti, ciò significa che la decisione di patteggiare deve essere ponderata attentamente, essendo le vie di ricorso estremamente limitate. Contestare la qualificazione giuridica del fatto in Cassazione è una strada percorribile solo in presenza di errori evidenti e non di semplici interpretazioni alternative dei fatti.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per errata qualificazione giuridica del fatto?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. limita questa possibilità ai soli casi di “errore manifesto”, ovvero quando la qualificazione giuridica è palesemente ed indiscutibilmente errata rispetto ai fatti descritti nell’imputazione.
Cosa intende la Cassazione per “errore manifesto” nella qualificazione giuridica?
Per “errore manifesto” si intende un errore che risulta con immediata evidenza e senza alcun margine di opinabilità. Deve essere una qualificazione palesemente eccentrica rispetto ai fatti contestati, non una semplice interpretazione diversa o discutibile.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18795 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18795 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME natii a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/10/2023 del TRIBUNALE di NAPOLI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RG. n.
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME, nei cui confronti è stata emessa sentenza di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 309/90, deduce la violazione di legge in relazione all’erronea qualificazione giuridica del fatto;
Ritenuto che il ricorso avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile, atteso che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per Cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza;
Considerato che, nel caso in esame, la ricorrente ha dedotto vizi che attingono la sentenza di applicazione della pena unicamente per la mancata riqualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 75, TU Stup., ma non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi richiamate per le quali è attualmente consentito il ricorso per Cassazione e che conseguentemente si tratta di doglianze avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta non consentite nel giudizio di legittimità;
Rilevato, in particolare, che per pacifica giurisprudenza di questa Corte, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, Rv. 281116 – 01), circostanza da escludersi nel caso di specie;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
GLYPH
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 1° marzo 2024
GLYPH
Il consigli e estensore
Il Presidente