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Ricorso Cassazione patteggiamento: i motivi ammessi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento per furto. La decisione si fonda sui limiti tassativi imposti per il ricorso per cassazione patteggiamento dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p., che non include il vizio di motivazione tra i motivi ammessi. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Cassazione patteggiamento: i motivi ammessi

Quando si può impugnare una sentenza di patteggiamento? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili del ricorso per cassazione patteggiamento, chiarendo che i motivi di impugnazione sono limitati a un elenco tassativo previsto dalla legge. Analizziamo questa importante decisione per capire quali sono le regole e le conseguenze per chi non le rispetta.

Il Fatto all’origine della controversia

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Lecce. La condanna riguardava il reato di furto aggravato, commesso in violazione degli articoli 624 bis e 625 n. 2 del codice penale.

L’imputato, tramite il suo difensore, aveva contestato la sentenza non per questioni relative alla sua volontà o alla qualificazione giuridica del reato, bensì per un presunto vizio di motivazione. In particolare, il ricorso verteva sulla sostituzione della pena detentiva con una pena pecuniaria, ritenuta non adeguatamente giustificata dal giudice di primo grado.

La questione è quindi giunta all’esame della Suprema Corte, chiamata a valutare l’ammissibilità di un motivo di ricorso non espressamente previsto dalla normativa che disciplina l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.

Limiti al ricorso per cassazione patteggiamento: l’art. 448 c.p.p.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la propria decisione sull’interpretazione restrittiva dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 2017, ha lo scopo di deflazionare il carico della Cassazione, limitando drasticamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti.

I soli motivi ammessi

Secondo la disposizione citata, il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi della volontà: quando l’espressione del consenso dell’imputato è stata viziata.
2. Difetto di correlazione: se c’è una mancata corrispondenza tra la richiesta di pena e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: nel caso in cui il reato sia stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: qualora la sanzione applicata sia illegale, ovvero non prevista dalla legge o applicata al di fuori dei limiti edittali.

Qualsiasi altro motivo, inclusi i vizi di motivazione come quello sollevato nel caso di specie, è escluso dall’ambito del ricorso.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha sottolineato che il vizio di motivazione, relativo alla sostituzione della pena detentiva in pecuniaria, non rientra in alcuna delle categorie tassativamente indicate dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Si tratta di una scelta discrezionale del legislatore volta a conferire maggiore stabilità alle sentenze che recepiscono un accordo tra le parti, limitando il controllo di legittimità a profili di illegalità sostanziale o a vizi che inficiano la formazione del consenso.

Richiamando consolidati orientamenti giurisprudenziali, la Corte ha ribadito che l’elenco dei motivi di ricorso è tassativo e non suscettibile di interpretazione estensiva. Di conseguenza, dedurre vizi di violazione di legge diversi da quelli previsti comporta l’immediata dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Alla dichiarazione di inammissibilità è seguita, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende, non essendo emerse ragioni per un eventuale esonero.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione patteggiamento è uno strumento a critica vincolata. Chi intende impugnare una sentenza di questo tipo deve attenersi scrupolosamente ai motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La contestazione di vizi legati alla motivazione del giudice, anche se potenzialmente fondata, non è una via percorribile e conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con le relative conseguenze economiche per il ricorrente. La decisione rafforza la stabilità degli accordi processuali e l’efficienza del sistema giudiziario, ponendo un chiaro limite al sindacato della Corte di Cassazione sulle sentenze di patteggiamento.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per un vizio di motivazione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è inammissibile se si basa su un vizio di motivazione, in quanto non rientra tra i motivi tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi validi per un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi sono esclusivamente quelli attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in quattromila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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