Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14079 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14079 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
del fatto che nel caso di specie non si poneva un problema di evidenza di prova delle cause di proscioglimento, ritenuta non sussistente, ma di verifica analitica delle condizioni di sussistenza del reato.
Infatti, con la suindicata decisione, le Sezioni Unite hanno anche affermato (Rv 244273 – 01) che, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del pubblico ministero proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Nel caso di specie, Ł indubbio che il principio di diritto applicabile Ł quello appena affermato e non quelli, pure enunciati in sentenza, che riguardano l’ambito della cognizione attribuita al giudice penale allorchØ sopravvenga una causa di estinzione del reato e non sia intervenuta pronuncia sulle statuizioni civili.
Ai principi appena ricordati si sono uniformate le sentenze successive (cfr. Sez. 6, n. 44685 del 23/9/2015, N, Rv. 26556101; Sez. 5, n. 3869 del 7/10/2014 (dep. 2015), COGNOME, Rv. 26217501; Sez. 2, n. 38049 del 18/7/2014, COGNOME, Rv. 26058601; Sez. 1, n. 42039 del 14/1/2014, COGNOME, Rv. 26050801; Sez. 6, n. 16155 del 20/3/2013, COGNOME e altri, Rv. 25566601; Sez. 6, n. 4855 del 7/1/2010, COGNOME e altro, Rv. 24613801), ribadendo la necessità, in caso di condanna in primo grado al risarcimento dei danni, di un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell’imputato.
La valutazione richiesta al giudice riguarda, dunque, per ciò che concerne le statuizioni civili, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale previa considerazione delle censure dedotte, perchØ la conferma della condanna al risarcimento del danno, ancorchØ generica, non può fondarsi sulla mera mancanza di prova dell’innocenza dell’imputato
Nel caso in esame, peraltro, poichØ vi era stata in primo grado condanna al risarcimento del
danno in favore delle parti civili, la Corte di appello, tenuto conto del tenore complessivo della sua motivazione, a prescindere dalla notazione in tema di art. 129 cod. proc. pen. (da ritenersi riferita agli effetti penali della decisione), non si Ł, in realtà, sottratta all’obbligo di motivazione impostogli dai summenzionati principi e ha nella sostanza, esaminato compiutamente i motivi di impugnazione, peraltro generici e volti ad una rilettura del compendio probatorio, compiendo un esauriente, sia pur estremamente sintetico, apprezzamento sulla responsabilità dell’imputato.
In particolare, la pronuncia ha ritenuto non fondato il rilievo secondo cui l’assenza di danno ai preesistenti creditori del fallito non consentirebbe di ritenere configurabile il reato. Al riguardo, infatti, la Corte d’appello ha posto in evidenza che il reato non richiede il danno alla massa dei creditori, ma l’esposizione a pericolo, rappresentato in concreto dalla complessa attività di recupero posta in essere dopo il fallimento dal curatore, con individuazione di assi patrimoniali capaci di neutralizzare le esposizioni passive (v. pag. 8).
Riguardo al dissesto, la Corte territoriale, richiamando sul punto la decisione di primo grado (si legga dalla pag. 3 alla pag. 11) ha ben illustrato quale fosse la realtà economica e finanziaria della società RAGIONE_SOCIALE, « che di fronte ad un trend ormai consolidato e in essere da anni non poteva non essere cognito dall’imputato, che ancora un anno prima, rispetto al verbale di assemblea del 3 settembre 2014, di scioglimento e messa in liquidazione della società RAGIONE_SOCIALE, con la scrittura del 7 agosto 2013 otteneva il differimento del termine per l’atto di verificata condizione dal 15 agosto 2013 al 31 gennaio 2014, termine poi procrastinato ad aprile e poi a giugno 2014. Risulta, infatti in modo incontrovertibile che i risultati di esercizio della Grillo dal 2006 al 2014 sono stati sempre negativi, che vi era un grave squilibrio tra la liquidità disponibile a breve termine e i debiti a breve scadenza, che la società Ł stata sempre caratterizzata da un forte squilibrio finanziario di breve periodo, che l’eccedenza delle passività sulle attività correnti ha assunto nel corso degli anni una consistenza irreversibile, che a partire dall’anno 2009 si Ł evidenziato anche un peggioramento degli indicatori di liquidità che hanno definitivamente scongiurato ogni possibilità di risanamento economico finanziario, che nel periodo dal 2006 al 2014, l’indice CCN era completamente negativo, per cui vi era incapacità di adempiere alle obbligazioni contrattuali nel breve termine ».
Tale motivazione appare piø che idonea a delineare lo stato di dissesto della società e circa l’elemento soggettivo del reato configurato.
Peraltro, la sentenza impugnata ha anche evidenziato che le parti civili non avevano avuto sentore dello stato di dissesto della società e di aver consentito ad ogni procrastinazione, sia della stipula, fino al passaggio di proprietà, e sia della corresponsione del prezzo, mai avvenuta, perchØ di ben altro tenore erano le giustificazioni al riguardo e soprattutto per i rapporti ‘finanche amicali con l’imputato’.
In questa sede va, poi, ribadito il principio affermato dalla Corte di legittimità a mente del quale il giudice del gravame di merito non Ł tenuto, inoltre, a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME ed altri, Rv. 254107 – 01; Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021, COGNOME, Rv. 281935 – 01; Sez. 2, n. 28547 del 20/06/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 27323 del 25/01/2023, COGNOME, non mass.).
Va, poi, rilevato che la doglianza relativa alla provvisionale Ł inammissibile, giacchØ, per orientamento consolidato di legittimità, non Ł deducibile con il ricorso per cassazione la questione relativa alla pretesa eccessività della somma di denaro liquidata a titolo di provvisionale, trattandosi
di statuizione che non passa in giudicato (cfr. ex plurimis , Sez. 4, n. 34791 del 23/6/2010, COGNOME, Rv. 248348 – 01; Sez . 2, n. 49016 del 2014 , Rv. 261054; Sez. 2, n. 44859 del 2019, Rv. 277773). In ogni caso anche su tale punto la sentenza della Corte di appello (pag. 11) risulta adeguatamente motivata.
Col terzo motivo di ricorso (poi ripreso anche nella memoria difensiva del 12 marzo 2025 e nella memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale datata 19 marzo 2025) il difensore deduce, ex art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., nullità della sentenza di primo grado; mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
La censura, relativa alla mutata qualificazione giuridica del fatto – operata già dal primo giudice – originariamente contestato come truffa aggravata nel reato di cui all’art. 218 L.F., Ł infondata.
Va, al riguardo, anzitutto osservato che, poichØ il principio di correlazione tra sentenza ed accusa Ł posto a tutela del diritto di difesa, per il suo rispetto occorre verificare che l’imputato possa avere chiara cognizione, ai fini della sua difesa, di ciò che gli viene contestato (Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011 – dep. 12/10/2011, Rv. 251081; Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, COGNOME, Rv. 253776).
PoichØ il “fatto” va definito come l’accadimento di ordine naturale, che viene trasfuso nell’imputazione che ne descrive le circostanze soggettive ed oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra loro, da cui vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, la violazione del principio di correlazione si realizza e si manifesta solo attraverso un’alterazione radicale della fattispecie concreta sì da pervenire ad un’incertezza effettiva sull’oggetto dell’imputazione della fattispecie ritenuta in sentenza rispetto a quella contestata; ne consegue che, secondo quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni unite, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non possa esaurirsi nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996 dep. 22/10/1996, COGNOME, Rv. 205619 – 01; Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 – 01).
In particolare, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 cod. proc. pen.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicchØ non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione del fatto storico originariamente contestato, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato.
In altri termini, poichØ la nozione strutturale di “fatto”, contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi.
Con la conseguenza che tale principio risulta violato solo quando il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, nØ consente di ricavarli in via induttiva (Sez. 6, n. 10140 del 18/2015, COGNOME, Rv 262802 – 10; Sez. 6, n. 54457 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268957 – 01; Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284713 – 02).
Tanto premesso, occorre rilevare che il fatto – contestato all’imputato come ‘reato p. e p. dall’art. 640, 61 n. 7 c.p.’, conteneva già tutti gli elementi propri del delitto di cui all’art. 218 L.F.,
facendo riferimento esplicito allo stato di dissesto finanziario della società RAGIONE_SOCIALE, alla successiva dichiarazione di fallimento, all’acquisto dei beni oggetto del contratto di compravendita e all’omesso pagamento del debito concernente il corrispettivo (v. pag. 2 della sentenza impugnata che riporta integralmente il capo di imputazione).
Correttamente, quindi, Ł stato ritenuto il delitto fallimentare per integrare il quale si richiede che il ‘ricorso al credito’ sia stato ottenuto mediante dissimulazione ai danni dell’ignaro creditore, che può quindi assumere il ruolo di persona offesa (Sez. 5, Sentenza n. 46689 del 30/06/2016, COGNOME, Rv. 268674 – 01; Sez. 5, n. 11218 del 24/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284373 – 01; Sez. 5, n. 22973 del 19/95/2022, Paradisi, non mass.).
Al riguardo, la Corte di legittimità ha affermato il principio – correttamente seguito dalla Corte territoriale che riporta ampi stralci di una delle relative pronunzie (v. pag. 8) – a mente del quale il delitto di ricorso abusivo al credito, a seguito della eliminazione della clausola di sussidiarietà prevista dall’art. 218 L.F., per effetto dell’art. 32, comma 1, l. 28 dicembre 2005 n. 262, non concorre con il reato di truffa, il cui disvalore deve ritenersi assorbito in quello del reato fallimentare, sussistendo tra le due fattispecie un rapporto di specialità ex art. 15 cod. pen.
In particolare, in motivazione si Ł precisato « che il delitto di cui all’art. 218 legge fall., in cui la condotta decettiva dell’imprenditore attiene alla dissimulazione del proprio stato di dissesto o di insolvenza, rispetto al delitto di truffa ha una piø ampia oggettività giuridica, essendo volto a tutelare l’interesse pubblico dell’economia nazionale, e presenta piø elementi specializzanti, consistenti nella particolare qualità che deve rivestire il soggetto, attivo e nella necessità che alla condotta segua la sentenza dichiarativa di fallimento ». (Sez. 5, n. 36985 del 24/06/2019, COGNOME Rv. 277532 – 01; Sez. 5, n. 38983 del 22/06/2023, COGNOME non mass.).
Ed ancora Sez. 5, n. 17769 del 15/02/2022, COGNOME, in motivazione a pag. 5, ove si Ł ulteriormente evidenziato « che il delitto di cui all’art. 218 legge fall., in cui la condotta decettiva dell’imprenditore attiene alla dissimulazione del proprio stato di dissesto o di insolvenza, rispetto al delitto di truffa ha una piø ampia oggettività giuridica, essendo volto a tutelare l’interesse pubblico dell’economia nazionale, e presenta piø elementi specializzanti, consistenti nella particolare qualità che deve rivestire il soggetto attivo, e nella necessità che alla condotta segua la sentenza dichiarativa dì fallimento ».
Sulla base di tale presupposto, non vi Ł stata alcuna lesione del diritto di difesa posto che l’imputato ha avuto pienamente modo di argomentare sulla mutata qualificazione giuridica del fatto, già in sede di appello.
Pertanto, la riconduzione del fatto al reato di cui all’art. 218 l. fall., di cui presenta tutti gli elementi costitutivi, anche di quelli specializzanti, non comporta alcuna modifica della condotta di cui all’imputazione inizialmente qualificata ai sensi dell’art. 640 cod. pen., rientrando pienamente nei poteri dell’organo giudicante la riqualificazione giuridica del fatto contestato con l’esatta attribuzione del nomen juris del reato, connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione.
Col quarto motivo, il difensore deduce, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., travisamento della prova costituita dai narrati dibattimentali resi dai testi COGNOME Cristiano, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME Giuelio e dalla prova documentale costituita dal giudicato civilistico portato dalla suprema Corte di cassazione, prima sezione civile, n. 4474/2021 dell’8 settembre 2020 e dalla relazione ex art. 33 della legge fallimentare, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., in relazione alla richiesta ex art. 603 cod. proc. pen.; mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Col quinto motivo, il difensore deduce, ex art. 606, comma 1, lett. d) ed e) cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 546, comma 1, lett. e) e in relazione ai numeri 1 e 2 cod. proc. pen.; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Tali ultimi due motivi del ricorso, che possono trattarsi congiuntamente in ragione della connessione delle questioni dedotte, appaiono generici e aspecifici, tenendo ad una rilettura delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità, oltre che manifestamente infondati.
La Corte d’appello, richiamando la pronuncia di primo grado, ha evidenziato che la pretesa insufficienza o contraddittorietà delle fonti orali, peraltro solo genericamente affermata, era in contraddizione con la coerenza e solidità delle dichiarazioni testimoniali, nel riferire la cronologia degli eventi, peraltro, supportata dai documenti, da cui desumere la loro buona fede e la scoperta tardiva del conclamato stato di decozione.
NØ sul punto si ricavano i denunciati vizi di travisamento della prova, non solo perchØ non risulta che vi sia stata utilizzazione una prova inesistente o un risultato di prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo (Sez. 6, n. 33435 del 4/05/2006, Rv. 234364), quanto perchØ le doglianze finiscono per porsi in contrapposizione col risultato che il giudice del merito ha assegnato alle fonti di prova e, dunque, finiscono per porsi all’esterno del sindacato di legittimità.
Pure la richiesta, formulata in sede di appello, di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per escutere i testi sopraindicati, Ł stata correttamente disattesa, perchØ tale acquisizione Ł stata motivatamente ritenuta superflua ai fini del decidere, in considerazione del fatto che il materiale probatorio già presente in atti non evidenziava profili di incertezza in ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa di cui si discute e al ruolo attivo in essa svolto dall’imputato.
La rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale rappresenta, invero, un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorchØ il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile l’integrazione, nel senso che non Ł altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione.
In sostanza, dinanzi a una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, fondata sull’indicazione di prova preesistente al giudizio di appello, al giudice Ł attribuito, ai sensi dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., il potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della “non decidibilità allo stato degli atti”, esplicitando, senza incorrere in vizi di manifesta illogicità, le ragioni della scelta operata (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 203574 – 01; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, COGNOME, Rv. 256968 – 01; Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228 – 01; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233391 – 01). E tanto basta ad escludere il paventato vizio di legittimità denunziato sul punto.
Da quanto sopra evidenziato circa l’infondatezza dei motivi proposti consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si Ł dato atto in premessa che tutte le parti civili hanno presentato conclusioni scritte e note spese delle quali hanno chiesto la liquidazione.
Si Ł altresì dato atto che nell’interesse delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME Ł stata anche depositata una memoria difensiva finalizzata a contrastare le argomentazioni proposte dalla difesa dell’imputato.
Dalla pronuncia di rigetto del ricorso dell’imputato ne discendono, pertanto, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME la cui liquidazione, tenuto conto del
grado di complessità della vicenda processuale e del fatto che nell’interesse delle stesse Ł stata presentata la menzionata memoria, viene operata secondo l’importo in dispositivo meglio enunciato.
Non può, invece, essere accolta la richiesta di rifusione delle spese del grado formulata nell’interesse delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Infatti, come da ultimo riaffermato nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Rv. 283886 in motivazione) già in precedente sentenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Rv. 226716-01) si era chiarito che nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale c.d. non partecipato, va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purchØ, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi.
Nel caso in esame, in applicazione di tale condiviso principio di diritto, costantemente enunciato in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME non Ł dovuta, perchØ dalle stesse non Ł stato fornito alcun contributo, essendosi la difesa delle predette parti civili limitata a richiedere il rigetto del ricorso dell’imputato, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
Infine, non può che rilevarsi l’irritualità e la conseguente inammissibilità della richiesta formulata in questa sede di legittimità dalla difesa delle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME finalizzata ad ottenere la confisca ai sensi dell’art. 240 cod. pen. del terreno compravenduto dalle parti civili, trattandosi chiaramente di provvedimento estraneo alle competenze della Corte di legittimità.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchŁ al pagamento delle spese processuali in favore delll parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 2.875, oltre agli oneri di legge. Nulla per le spese delle ulteriori parti civili.
Così deciso il 02/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME