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Riconoscimento sentenza straniera: se la condotta è reato

La Corte di Cassazione ha stabilito che per il riconoscimento di una sentenza straniera ciò che conta è la rilevanza penale della condotta nello Stato di esecuzione, non la corrispondenza del nome del reato. Nel caso specifico, una condanna rumena per traffico di influenze è stata riconosciuta in Italia inquadrando il fatto come truffa. La Corte ha rigettato il ricorso basato sulla presunta abolitio criminis, sottolineando che la normativa europea sul reciproco riconoscimento permette tale flessibilità, specialmente per reati come la truffa, per cui può essere derogato il principio della doppia incriminazione.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento Sentenza Straniera: La Sostanza Prevale sulla Forma

Il tema del riconoscimento di una sentenza straniera in Italia è al centro di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che chiarisce un principio fondamentale: ai fini dell’esecuzione di una condanna emessa in un altro Stato dell’Unione Europea, ciò che conta è la natura criminale della condotta, non la perfetta coincidenza del titolo di reato. Questa decisione sottolinea l’importanza della cooperazione giudiziaria europea e la necessità di un approccio sostanziale piuttosto che meramente formale.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da una condanna per il reato di “traffico di influenze” emessa dalla Corte di appello di Alba Iulia, in Romania. Successivamente, la Corte di appello di Roma aveva riconosciuto tale sentenza, ai sensi del d.lgs. 161/2010, per permettere al condannato di espiare la pena residua in Italia. La corte italiana aveva individuato la fattispecie corrispondente nell’ordinamento nazionale nel reato di traffico di influenze illecite, previsto dall’art. 346-bis del codice penale.

La Questione Giuridica: Abolitio Criminis e Diversa Qualificazione del Fatto

La difesa del condannato ha presentato un’istanza in fase esecutiva per la revoca della sentenza di riconoscimento. Le argomentazioni principali si basavano su due punti: in primo luogo, le modifiche legislative italiane avrebbero portato a un’abolitio criminis parziale del reato di traffico di influenze. In secondo luogo, al momento della commissione del fatto (2012), il reato previsto dall’art. 346-bis c.p. non esisteva ancora in Italia, e la condotta avrebbe dovuto essere inquadrata nel diverso e successivamente abrogato reato di millantato credito.

Il giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza, riqualificando la condotta del condannato (un avvocato che aveva fatto credere alla vittima di poter corrompere dei periti per falsificare analisi mediche) come truffa. Secondo la corte, per la truffa, il riconoscimento della sentenza straniera non richiede necessariamente il presupposto della doppia incriminazione, facilitando così l’esecuzione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici di legittimità hanno chiarito diversi aspetti cruciali in materia di riconoscimento di una sentenza straniera.

In primo luogo, qualsiasi contestazione relativa al difetto di doppia punibilità avrebbe dovuto essere sollevata impugnando la sentenza di riconoscimento originale, non in sede di esecuzione. Si tratta di un principio consolidato che mira a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie.

Nel merito, la Corte ha ritenuto corretta la valutazione del giudice dell’esecuzione. La normativa di riferimento (d.lgs. 161/2010) stabilisce che il riconoscimento avviene quando il fatto è previsto come reato anche dalla legge nazionale, “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato”. Ciò significa che non è necessaria una perfetta sovrapposizione tra le fattispecie criminose dei due Stati, ma è sufficiente che la condotta concreta sia punibile in entrambi.

Inoltre, la legge prevede specifiche deroghe al principio della doppia incriminazione per un catalogo di reati considerati particolarmente gravi, tra cui rientra la truffa. Di conseguenza, inquadrare il fatto, descritto nella sentenza rumena, nel più ampio genus della truffa è un’operazione legittima che consente di superare le differenze tra gli ordinamenti nazionali e di dare piena attuazione alla cooperazione giudiziaria europea.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione ribadisce con forza che, nell’ambito della cooperazione giudiziaria europea, l’obiettivo è garantire l’esecuzione delle decisioni penali attraverso un approccio flessibile e sostanziale. L’analisi non deve fermarsi al nomen iuris (il nome del reato), ma deve concentrarsi sulla condotta materiale. Se tale condotta è considerata reato in Italia, anche sotto una diversa qualificazione giuridica come la truffa, il riconoscimento della sentenza straniera è pienamente legittimo. Questa interpretazione favorisce l’armonizzazione e l’efficacia dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo.

È possibile riconoscere una sentenza penale straniera se il reato ha un nome diverso o è stato modificato nell’ordinamento italiano?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che per il riconoscimento di una sentenza emessa in un altro Stato UE, è sufficiente che la condotta sia prevista come reato dalla legge italiana, indipendentemente dalla corrispondenza degli elementi costitutivi o della denominazione del reato.

Il principio della doppia incriminazione può essere derogato nel riconoscimento di sentenze estere?
Sì. Per un elenco di reati specifici (tra cui la truffa), il D.Lgs. 161/2010, in attuazione di una Decisione Quadro UE, prevede che si possa procedere al riconoscimento anche in assenza del requisito della doppia incriminazione, a condizione che nello Stato di emissione il reato sia punito con una pena di almeno tre anni.

Può il giudice italiano in fase di esecuzione riqualificare il fatto per cui è intervenuta una condanna all’estero?
Sì. Il giudice dell’esecuzione può inquadrare la condotta descritta nella sentenza straniera in una diversa fattispecie di reato prevista dall’ordinamento italiano (nel caso di specie, la truffa) al fine di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento, senza che ciò costituisca una violazione del giudicato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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