Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29934 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29934 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME CASA
COGNOME NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 13/02/2025 della Corte d’appello di Roma lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza con la quale NOME COGNOME chiedeva, ex art. 673 cod. proc. pen., la revoca della sentenza della Corte di appello di Roma del 26/04/2022, di riconoscimento della sentenza emessa dalla Corte di appello di Alba Iulia (Romania) – che aveva condannato COGNOME per il delitto di traffico di influenze – per abolitio criminis .
In particolare, la sentenza della corte romana, di riconoscimento della sentenza penale straniera, dopo avere rilevato che il reato per cui era intervenuta la condanna costituiva illecito penale anche in Italia, essendo previsto e punito dall’art. 346bis cod. pen., disponeva, in conformità alla richiesta formulata dal condannato, che la residua pena espianda (anni 2, mesi 5, giorni 23 di reclusione) fosse espiata dal Chebutiu in Italia.
La Difesa del condannato aveva quindi avanzato richiesta di revoca della sentenza di riconoscimento di sentenza straniera emessa dalla Corte di appello di Roma evidenziando in sintesi che: il delitto di traffico di influenze illecite Ł stato parzialmente abrogato dalla legge 9 agosto 2024 n. 114; parimenti Ł stato abrogato il delitto di millantato credito; la condotta per la quale COGNOME ha subito condanna dall’A.G. rumena avrebbe dovuto essere ritenuta corrispondente al delitto di millantato credito, dal momento che, al momento della commissione (febbraio-marzo 2012), in Italia non esisteva ancora il delitto ex art. 346bis cod. pen.; tra il delitto ex art. 346bis cod. pen. ed il delitto di millantato credito non sussiste continuità normativa, come chiarito dalle Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286304 – 01.
Il Giudice dell’esecuzione respingeva la richiesta di revoca della sentenza di riconoscimento della sentenza penale straniera, osservando come la condotta del Chebutiu,
– Relatore –
Sent. n. sez. 1944/2025
accertata con la sentenza definitiva rumena, potesse essere ricompresa nella piø ampia categoria della truffa (avendo il condannato, nella sua qualità di avvocato, fatto credere alla p.o., dietro ottenimento di una somma di denaro, di poter ottenere che i tecnici incaricati dell’istituto di medicina legale potessero falsificare i risultati dell’analisi clinica tossicologica ed alcolemica sui campioni della medesima p.o.); aggiungeva la Corte come proprio la truffa rientrasse nell’elencazione di reati di cui all’art. 8, comma 1, legge n. 69 del 2005, per i quali il riconoscimento della sentenza straniera non richiede, quale presupposto, la doppia incriminazione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore avv. NOME COGNOME che articola un unico motivo con il quale denuncia, ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., nonchØ degli artt. 733, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., 346bis , 640 cod. pen., 10 e 11 d. lgs. n. 161 del 2010.
Il Giudice dell’esecuzione, nell’affermare che la condotta del Chebutiu poteva essere qualificata come truffa, ha violato il giudicato formatosi in relazione alla sentenza della Corte di appello di Roma del 26/04/2022, che aveva espressamente qualificato i fatti contestati al condannato ai sensi dell’art. 346bis cod. pen.
Peraltro, non sussiste continuità normativa nØ tra il reato di traffico di influenze e la truffa, nØ tra l’abrogato millantato credito e la truffa; reato quest’ultimo che non Ł mai stato contestato, e non sarebbe potuto essere ritenuto sussistente, a carico del COGNOME, in difetto di elementi necessari ai fini della sua configurabilità oltre che della sua procedibilità.
Essendo quindi venuto meno il reato di cui all’art. 346bis cod. pen. ex art. 733, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il Giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto revocare la sentenza di riconoscimento; la Corte di appello di Roma ha, inoltre, violato l’art. 733, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., atteso che, al momento della commissione del fatto (febbraio 2012), il reato di traffico di influenze di cui all’art. 346bis cod. pen. non era previsto nell’ordinamento italiano, essendo stato introdotto solo con legge 6 novembre 2012 n. 190; all’epoca esisteva solo il millantato credito, successivamente abrogato.
Nella requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che contiene anche tratti di inammissibilità, Ł nel complesso infondato.
Emerge pacificamente dagli atti che NOME COGNOME subìva nel paese natìo una condanna (sentenza della Corte di appello di Alba Iulia) per il delitto di traffico di influenze, e che detta sentenza Ł stata riconosciuta in Italia, ex art. 12 d.lgs. n. 161 del 2010, agli effetti dell’esecuzione in Italia della residua pena, con sentenza della Corte di appello di Roma del 26/04/2022; con detta pronuncia, la Corte romana rilevava che il delitto per il quale era intervenuta condanna era previsto e punito anche in Italia, in particolare dall’art. 346bis cod. pen.
La circostanza che detto delitto non fosse previsto nel nostro Paese al momento della commissione del fatto (avvenuto in Romania nel 2012) – dal momento che il reato di traffico di influenze illecite Ł stato introdotto all’art. 346bis del codice penale dall’art. 1, comma 75, lett. r), della legge 6 novembre 2012, n. 190 – Ł deduzione inammissibile, e comunque irrilevante.
Inammissibile in quanto non risulta che il ricorrente ne abbia fatto oggetto di impugnazione avverso la decisione di riconoscimento adottata dalla Corte romana nel 2022. Costituisce, invero, principio di diritto ripetutamente affermato, che qui si condivide e si
ribadisce, quello secondo cui non possono essere dedotte con l’incidente di esecuzione le questioni relative al merito del giudizio di riconoscimento delle sentenze penali estere di cui agli artt. 730 e ss. cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 44601 del 15/09/2015, S., Rv. 265882 – 01; Sez. 6, n. 37496 del 16/09/2022, Pop, Rv. 283934 – 01).
In ossequio a detto principio, ogni questione attinente al difetto di doppia punibilità avrebbe dovuto essere proposta in sede di impugnazione avverso la pronuncia della Corte di appello di Roma del 26/04/2022, e non rientra tra quelle proponibili in sede esecutiva.
La questione Ł anche irrilevante, avendo la Corte romana, nel provvedimento oggi impugnato, correttamente evidenziato come il fatto contestato a Chebutiu possa essere ricompreso nell’ampio genus delle truffe.
4. Nella sua formulazione originaria l’art. 346bis cod. pen. sanciva che «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319, 319ter , sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sØ o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio Ł punto con la reclusione ad uno a tre anni». In tale formulazione, dunque, la condotta tipica si realizzava solo tramite lo sfruttamento di relazioni esistenti con il pubblico ufficiale e in ciò si differenziava nettamente dalla fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen., nella quale il reo millantava credito presso un pubblico ufficiale o un pubblico impiegato.
L’art. 1, 1° co., lett. t), n. 1, della legge 9 gennaio 2019, n. 3 ha riformulato la fattispecie del reato di traffico di influenze. In questa versione l’art. 346bis cod. pen. sanciva che «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322bis , sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis , indebitamente fa dare o promettere, a sØ o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, Ł punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità. La pena Ł aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sØ o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio. Le pene sono altresì aumentate se i fatti sono commessi in relazione all’esercizio di attività giudiziarie o per remunerare il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. Se i fatti sono di particolare tenuità, la pena Ł diminuita».
Il legislatore, nell’intento di dare compiuta attuazione alle previsioni sovranazionali che sollecitavano la punizione anche della compravendita di influenze millantate, ha, dunque, rimodulato estensivamente la fattispecie di reato in una triplice direzione: ha abrogato la fattispecie del reato di millantato credito, “fondendola” con il reato di traffico di influenze illecite; ha eliminato l’inciso contenuto nell’art. 346bis cod. pen. «in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio»; ha fatto venir meno la natura necessariamente “patrimoniale” del vantaggio dato o promesso al mediatore, individuando il corrispettivo ricevuto dal venditore di influenza con il generico
termine «utilità».
Le Sezioni unite di questa Corte, chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza insorto quanto ai rapporti tra la prima e la seconda formulazione della fattispecie di cui all’art. 346bis cod. pen., hanno statuito che non sussiste continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. t), legge 9 gennaio 2019, n. 3, ed il reato di millantato credito “corruttivo” di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge n. 3 cit., le cui condotte potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa, in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito “corruttivo”, purchØ siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi della relativa diversa fattispecie incriminatrice (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286304 – 01).
Da ultimo, l’art. 1, comma 1, lettera e), della legge 9 agosto 2024, n. 114, entrato in vigore il 25 agosto 2024, ha nuovamente riformato la formulazione dell’art. 346bis cod. pen., questa volta in termini maggiormente restrittivi. La disposizione attualmente sancisce che «chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322bis , utilizzando intenzionalmente allo scopo relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis , indebitamente fa dare o promettere, a sØ o ad altri, denaro o altra utilità economica, per remunerare un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis , in relazione all’esercizio delle sue funzioni, ovvero per realizzare un’altra mediazione illecita, Ł punito con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi. Ai fini di cui al primo comma, per altra mediazione illecita si intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322bis a compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato dal quale possa derivare un vantaggio indebito. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità economica».
La nuova formulazione riduce l’ambito della rilevanza penale della fattispecie di reato previgente sotto plurimi profili: per quanto di interesse nella presente sede, nella disciplina vigente l’art. 346bis cod. pen. si riferisce solo alle relazioni esistenti e, pertanto, non consente piø la punibilità del traffico di influenze millantate. Le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono, inoltre, essere effettivamente utilizzate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite).
Ebbene, ciò premesso, la Corte romana ha sottolineato come l’esame della sentenza rumena consentisse di inquadrare il fatto per il quale era intervenuta condanna del Chebutiu nella categoria della truffa.
Non coglie nel segno la denuncia di violazione del giudicato, sul punto inerente alla qualificazione giuridica del fatto, avanzata in seno al ricorso.
Il ricorrente infatti omette di confrontarsi con la specifica deduzione operata dalla Corte d’appello di Roma, che, muovendo dal dato testuale del d.lgs. 161 del 2010, evidenziava come, ai sensi del citato decreto legislativo, non Ł richiesto «che il riconoscimento avvenga sulla base di una espressa e specifica disposizione dell’ordinamento dello Stato di esecuzione, poichØ ciò che conta Ł che la condotta accertata con la sentenza di condanna sia penalmente rilevante anche nello stato di esecuzione, indipendentemente dalla denominazione» (pag. 5, provvedimento impugnato).
Ed infatti l’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 161 del 2010 dispone espressamente che «La Corte di appello riconosce la sentenza di condanna emessa in un altro Stato membro
dell’Unione europea, ai fini della sua esecuzione in Italia, quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: (…) e) il fatto Ł previsto come reato anche dalla legge nazionale, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato, salvo quanto previsto dall’articolo 11».
L’art. 11 cit. d. lgs., rubricato ‘Deroghe alla doppia punibilità’ dispone farsi luogo al riconoscimento, «indipendentemente dalla doppia incriminazione, se il reato per il quale Ł chiesta la trasmissione Ł punito nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria, e si riferisce a una delle fattispecie di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 69».
Rileva nel caso di specie la menzione contenuta nel citato art. 8comma 1, lett. v), alla seguente fattispecie: «indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sØ o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno».
Risulta, pertanto, corretta la disamina effettuata dalla Corte d’appello di Roma laddove evidenziava che il fatto per il quale COGNOME aveva subito condanna in Romania poteva essere inquadrato nella categoria della truffa, avendo il COGNOME «fatto credere alla vittima di avere, nella sua qualità di Avvocato, la possibilità di ottenere che gli impiegati dell’Istituto di Medicina Legale di Alba Iulia e di Cluj- Napoca falsificassero i risultati dell’analisi clinica tossicologica ed alcoolemica per far risultare in regola l’interessato» (pag. 5 provvedimento impugnato).
Il Giudice dell’esecuzione ha, a tale proposito, correttamente richiamato la pronuncia delle Sezioni Unite COGNOME, invocata dalla stessa Difesa, che ha chiarito che il delitto di truffa e quello di millantato credito, prima dell’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019 n. 3, realizzavano un concorso formale di reati, sempre che fossero sussistenti i requisiti specializzanti di entrambe le norme.
Del tutto fuori fuoco risultano le argomentazioni svolte in ricorso in ordine alla non configurabilità nel caso di specie del delitto di truffa secondo l’ordinamento rumeno. Dimentica il ricorrente come nell’ambito dell’ordinamento rumeno il fatto contestatoal condannato fosse stato qualificato come ‘traffico di influenze illecite’ e che l’inserimento, ad opera dell’interprete italiano, di tale fatto nell’ampio genus della truffa, non implichi alcun effetto in merito alla qualificazione secondo l’ordinamento rumeno: ai fini del riconoscimento di una sentenza straniera in Italia, non Ł infatti richiesto che il fatto per il quale Ł intervenuta condanna straniera debba essere qualificato in modo corrispondente nei paesi di emissione e di esecuzione, essendo invece previsto (peraltro con le deroghe di cuiall’articolo 8, comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 69) che inentrambi i paesi il fatto sia punito come reato.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 30/05/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME