Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30631 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30631 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 06/05/1976
avverso l’ordinanza del 12/11/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
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RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME proponeva incidente di esecuzione davanti alla Corte di appello di Napoli premettendo:
che in data 4 novembre 2022 era stato emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli ordine di esecuzione per la carcerazione n. 2068/2022 SIEP in relazione alla sentenza n. 24/2022, resa dalla suddetta Corte di appello in data 6 ottobre 2022, irrevocabile il 12 ottobre 2022;
che tale sentenza n. 24/2022, pronunciata nell’ambito del procedimento di mandato di arresto europeo con rifiuto di consegna del POPA all’autorità rumena, aveva riconosciuto nell’ordinamento italiano la sentenza n. 807 del 13 maggio 2019, con la quale il Tribunale di Bucarest aveva condannato l’imputato alla pena complessiva di undici anni e sei mesi di reclusione (decisione divenuta definitiva a seguito della sentenza resa in data 13 maggio 2022 dalla Corte di appello di Bucarest);
che la Corte di appello di Napoli, con la citata sentenza di riconoscimento, aveva inquadrato le condotte ascritte all’imputato nell’alveo dei reati di cui agli artt. 110, 416, 318 e 319 cod. pen., commessi dal 2013 fino al 2015 in Romania.
Tanto premesso, l’istante:
rilevato che l’autorità giudiziaria rumena lo aveva condannato anche per condotte punite dagli articoli 323 (numeri 6 e 7 dell’elenco) e 346-bis del codice penale italiano (numero 2 dell’elenco);
che con l’entrata in vigore della legge n. 114 del 9 agosto 2024 il reato di abuso di ufficio era stato abrogato e che il reato di traffico di influenze era stat modificato sì da non poter ad esso ricondursi le condotte ascritte a esso istante;
chiedeva al giudice dell’esecuzione la eliminazione, in quanto illegale, della porzione di pena inflitta per i suddetti reati.
Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava “il ricorso” proposto nell’interesse del POPA.
La Corte di merito, dopo ampia digressione sugli effetti del riconoscimento delle sentenze penali straniere ai sensi degli artt. 730 e ss. cod. proc. pen., osservava, in conclusione, in sintonia con il parere del RG., che le condotte per le quali l’istante aveva riportato condanna erano state qualificate unitariamente ai sensi degli artt. 416, 318 e 319 cod. pen. e non ai sensi degli artt. 323 e 346-bis cod. pen.
In ogni caso, eventuali censure avverso la qualificazione operata dal giudice italiano avrebbe dovuto dedursi con gli ordinari strumenti di impugnazione, ovvero con ricorso per cassazione.
Ha proposto ricorso l’interessato, per il tramite del difensore, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 666 – 673 cod. proc. pen., laddove la Corte di appello di Napoli non aveva inteso valutare, nel merito, l’istanza difensiva, rilevando le preclusioni di cui agli artt. 730 e ss. cod. proc. pen.
La Corte territoriale, nel rigettare l’istanza difensiva in presenza di ritenute preclusioni ostative a un’analisi nel merito, avrebbe offerto una motivazione contraria ai principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità, alla l dei quali il giudice dell’esecuzione, ove riscontri vizi del titolo esecutivo, ha potere-dovere di intervenire, ponendo rimedio a tali vizi e, con riguardo alla pena, impedendo che il suo riconoscimento abbia corso nel caso in cui sia stato operato senza osservare i limiti stabiliti dall’ordinamento interno (cita Sez. 6, n. 3324 del 12 dicembre 2022).
La difesa del POPA aveva introdotto l’incidente di esecuzione, dolendosi della illegalità della pena e della necessità di una sua rideterminazione.
La Corte di appello sarebbe incorsa in errore nell’omettere una valutazione nel merito dell’istanza difensiva.
Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto reiterativo di censure già adeguatamente confutate dalla Corte di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
Giova premettere che l’art. 10 d. Igs. 7 settembre 2010, n. 161 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea) individua una serie di condizioni per il riconoscimento delle sentenze di condanna emesse in un altro Stato membro dell’Unione europea, ai fini della loro esecuzione in Italia.
L’articolo citato recita:
«1. La corte di appello riconosce la sentenza di condanna emessa in un altro Stato membro dell’Unione europea, ai fini della sua esecuzione in Italia, quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
la persona condannata ha la cittadinanza italiana;
la persona condannata ha la residenza, la dimora o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero deve essere espulsa verso l’Italia a motivo di un ordine di espulsione o di allontanamento inserito nella sentenza di condanna o in una
decisione giudiziaria o amministrativa o in qualsiasi altro provvedimento adottato in seguito alla sentenza di condanna;
la persona condannata si trova nel territorio dello Stato o in quello dello Stato di emissione;
la persona condannata ha prestato il proprio consenso alla trasmissione, salvo quanto previsto dal comma 4;
il fatto è previsto come reato anche dalla legge nazionale, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato, salvo quanto previsto dall’articolo 11;
la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emissione sono compatibili con la legislazione italiana, salva la possibilità di un adattamento nei limiti stabiliti dal comma 5.
La corte di appello procede altresì al riconoscimento quando ricorrono congiuntamente le condizioni di cui al comma 1, lettere c), d), e), ed f) e il Ministro della giustizia ha dato il consenso all’esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa nei confronti di una persona che non ha la cittadinanza italiana, ai sensi dell’articolo 12, comma 2.
Se la corte di appello ritiene di poter procedere al riconoscimento parziale, ne informa immediatamente, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di emissione e concorda con questa le condizioni del riconoscimento e dell’esecuzione parziale, purché tali condizioni non comportino un aumento della durata della pena. In mancanza di accordo, il certificato si intende ritirato.
Il consenso della persona condannata non è richiesto se ricorrono congiuntamente le condizioni di cui al comma 1, lettere a) e b), ovvero se la persona condannata è fuggita in Italia o vi è altrimenti ritornata a motivo del procedimento penale o a seguito della condanna e il Ministro della giustizia ha autorizzato l’esecuzione in Italia ai sensi dell’articolo 12, comma 2.
Se la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate con la sentenza di condanna sono incompatibili con quelle previste in Italia per reati simili, la corte di appello procede al loro adattamento. La durata e la natura della pena o della misura di sicurezza adattate non possono essere inferiori alla pena o alla misura di sicurezza previste dalla legge italiana per reati simili, né più gravi di quelle applicate dallo Stato di emissione con la sentenza di condanna. La pena detentiva e la misura di sicurezza restrittiva della libertà personale non possono essere convertite in pena pecuniaria».
Sulla base delle descritte coordinate normative si è formato un consolidato orientamento di legittimità, secondo il quale, in tema di riconoscimento per l’esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro
dell’Unione europea, la Corte d’appello deve preliminarmente verificare a quale fattispecie astratta di reato, prevista dall’ordinamento interno, sia riconducibile i fatto giudicato dalla sentenza da eseguire, per poi accertare che la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza inflitta siano compatibili con quelle previste in Italia per reati similari (Sez. 6, n. 3075 del 22/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272125 – 01).
Analogamente, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di vaglio, si è affermato che, in tema di mandato di arresto europeo, la Corte d’appello che rifiuta la consegna ai sensi dell’art. 18-bis, lett. c), della legge 22 aprile 2005, n. 69, disponendo l’esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano o di altro paese dell’Unione legittimamente residente o dimorante in Italia, è tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il m.a.e. secondo quanto previsto dal d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161 e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana (Sez. 6, n. 29865 del 26/10/2020, COGNOME, Rv. 279957 – 01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto compatibile con l’ordinamento italiano la pena di quattro anni di reclusione inflitta dall’autori giudiziaria della Romania a una cittadina rumena per più furti pluriaggravati, valutandola coerente con quella prevista in Italia per gli stessi reati).
È stato, inoltre, di recente, statuito, sempre in tema di rapporti giurisdizionali con Autorità straniere, che la Corte di appello, nel riconoscere la sentenza irrevocabile di condanna ai fini della sua esecuzione in Italia, deve far riferimento solo alle categorie di reato indicate nella lista della decisione quadro 2008/909/GAI, indipendentemente dalla doppia punibilità del reato per cui è richiesto il riconoscimento, come previsto dall’art. 11 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, che ha dato attuazione all’indicata decisione quadro, essendole, purtuttavia, consentita la verifica dell’eventuale ricorrenza di un errore manifesto circa la categoria di reato indicato nel certificato emesso dall’Autorità richiedente (Sez. 6, n. 10395 del 27/02/2025, COGNOME, Rv. 287711 – 01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che non rientrassero nella categoria di reato del “traffico illecito di stupefacenti”, fatta propria dalla decisione quadro sopra indicata 2008/909/GAI, le condotte tenute dagli autori al solo fine del consumo personale di droga).
Alla luce dell’appena tratteggiato quadro normativo e giurisprudenziale, l’odierno ricorso e, ancor prima, il presupposto incidente di esecuzione, devono considerarsi affatto eccentrici.
Ed invero, in entrambi, si prospetta un’ipotesi di parziale illegalità della pena inflitta con la sentenza emessa dall’autorità rumena, poi riconosciuta in Italia, in quanto conseguente a condotte riconducibili a fattispecie normative del codice penale italiano – quelle di abuso di ufficio e traffico di influenze – che nel nost Paese sono state, medio tempore, con I. n. 114 del 2024, o abrogate o rivisitate.
Tale prospettazione, tuttavia, non si confronta con la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Napoli in data 6 ottobre 2022, con la quale, rifiutata la
consegna del POPA alle competenti autorità dello Stato della Romania in esecuzione del m.a.e. n. 27 emesso in data 13 maggio 2022 dal Tribunale di
Bucarest nel procedimento n. 42389/2015, è stata riconosciuta, ai fini dell’esecuzione in Italia, ai sensi degli artt. 12, 13 e 24 d.lgs. n. 161 del 2010, l
sentenza penale n. 807 del 13 maggio 2019 resa dal Tribunale di Bucarest, irrevocabile,
“per i reati di associazione per delinquere, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, puniti dal dirit
interno dagli artt. 416, 110, 318, 319 c.p., commessi in Romania tra il 2013 e il
2015″.
Dunque, nella richiamata decisione di riconoscimento manca, all’evidenza, ogni riferimento ai reati, indicati dal ricorrente, previsti e puniti dagli articoli
e 346-bis del codice penale italiano.
Posto che la Corte di appello ha dovuto necessariamente determinare a quali fattispecie astratte di reato fossero nell’ordinamento interno riconducibili le
condotte ascritte all’imputato in Romania, “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione” (così, testualmente, l’art. 10, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 161 del 2010), qualsivoglia tipo di contestazione riguardo all’operata qualificazione avrebbe dovuto essere eventualmente veicolata con lo strumento del ricorso per cassazione avverso la sentenza di riconoscimento della decisione penale emessa dall’autorità rumena e non con lo strumento dell’incidente di esecuzione, che si rivela del tutto inappropriato.
Per le esposte considerazioni, il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile, dal che discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della ulteriore somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ur GLYPH 0 i O – ammende.
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