Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17868 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17868 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME (alias NOME COGNOME, nato in Romania il 30/08/1988 avverso la sentenza del 05/03/2025 della Corte di appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bologna disponeva il riconoscimento, ai sensi del d.lgs. n. 161 del 2010, della sentenza definitiva di condanna a pena detentiva, emessa dalle autorità giudiziarie rumene nei confronti di NOME COGNOME (alias NOME COGNOME, e dichiarava eseguibile in Italia la pena residua da espiare, pari ad anni 9, mesi 2, giorni 1 di reclusione.
Con la suddetta sentenza COGNOME era stato condannato per reati di furto associazione per delinquere.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’interessato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione al mancato accertamento dell’esistenza del motivo di rifiuto previsto dall’art. 13, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 161 del 2010.
Dall’esame del certificato inviato dalle autorità rumene risulta una manifesta non corrispondenza con i reati oggetto della sentenza di condanna riconosciuta: è riportato nel certificato il reato di traffico di armi, per il quale il ricorrent prosciolto; il certificato non fa riferimento all’uso delle armi nel furto per il q ricorrente è stato condannato.
Questa difformità imponeva almeno la consultazione con l’autorità di emissione.
2.2. Violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 10, comma 5, d.lgs. n. 161 del 2010.
It calcolo della pena nella sentenza rumena è incompatibile con il nostro ordinamento: la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere reato più grave quello di cui all’art. 624-bis cod. pen. (e non quello associativo, come invece stabilito dall sentenza riconosciuta), adattando la pena al massimo edittale previsto all’epoca del fatto ex art. 2, quarto comma cod. pen., e poi applicare l’art. 81 cod. pen. per i restanti reati, secondo le regole dell’ordinamento italiano e la legge più favorevol al reo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente prospetta una interpretazione meramente formalistica del certificato, là dove il motivo di rifiuto deve riguardare situazioni in cui ci si sostanziale differenza tra il certificato (che sostituisce la tradizionale domanda cooperazione) e la sentenza da riconoscere, tale da rendere incerto l’oggetto della domanda.
Nella specie, tale incertezza non vi è stata, tanto che neppure il ricorrente lamenta ricadute della mancata corrispondenza sia sui diritti della difesa sia sull’esito del riconoscimento.
Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo.
Più volte questa Corte ha affermato in tema di riconoscimento per l’esecuzione in Italia della sentenza di condanna emessa in altro Stato membro dell’Unione ,)/
europea che è preclusa l’applicazione dell’istituto della continuazione, atteso che, d.lgs.7 settembre 2010, n. 161, il giudice
ai sensi dell’ad. 10, comma 1, lett.
f) , italiano è vincolato a rispettare la durata e la natura della pena stabilita nello Sta
di condanna, salvo un circoscritto potere di adattamento, entro i limiti stabiliti d comma 5 del medesimo decreto legislativo, qualora la pena sia incompatibile, per
natura e durata, con la legge italiana (Sez. 6, n. 52235 del 10/11/2017, Rv.
271578).
Nella specie, pertanto, correttamente la Corte di appello ha preso in considerazione la pena come determinata dalla sentenza da riconoscere e ha
verificato la sua compatibilità, per durata e natura, con la pena dttift1~41 prevista dalla legge italiana per reati simili.
E’ appena il caso da aggiungere che, ai fini della durata, va considerato il massimo edittale previsto dall’ordinamento italiano per reati simili al momento in
cui interviene la decisione del riconoscimento, secondo un principio più volte affermato in sede di legittimità in tema di cooperazione giudiziaria, non venendo
in applicazione l’art. 2 cod. pen. (Sez. 6, n. 23940 del 31/05/2023; in tema di doppia incriminabilità, Sez. 6, n. 13571 del 30/01/2020, Rv. 278811; Sez. 6, n. 3178 del 26/01/2022, Rv. 282748).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni previste dall’ad. 22, comma 5 I. n. 69 del 2005, richiamato dall’art. 12, comma 10, d.lgs. n. 161 del 2010.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’ad 22 comma 5, I. n. 69 del 2005.
Così deciso il 09/05/2025.