Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6972 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 6972  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/11/2023
SENTENZA,
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. udito il difensore, l’AVV_NOTAIO, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 22/11/2022, ha confermato la sentenza di condanna a mesi sei di reclusione pronunciata all’esito del processo celebrato con il rito abbreviato dal Tribunale di Termini lmerese il 29/10/2020 nei confronti di COGNOME NOME NOME NOME reato di cui all’art. 424 cod. pen.
NOME COGNOME è stato rinviato a giudizio e processato c:ome le forme del rito abbreviato per il reato di danneggiamento seguito da incendio della ringhiera di un locale sito a Cerda.
Il giudice di primo grado ha fondato l’affermazione di responsabilità sul riconoscimento dell’imputato effettuato dai Carabinieri della locale stazione in base alle immagini estrapolate dalle riprese di una telecamera sita nelle vie adiacenti all’esercizi commerciale. Prova questa che, secondo il giudice di merito, sarebbe confermata dal comportamento successivamente tenuto dallo stesso imputato e dall’esistenza di motivi di risentimento tra il fratello dell’imputato e il titolare del bar, che non aveva versato la qu in denaro da questa richiesta per organizzare un evento.
Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la difesa deducendo, in prima battuta, la nullità della sentenza in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto e non si sarebbe confrontato con gli esiti di una consulenza tecnica prodotto dalla difesa in allegato a una memoria nella quale si evidenziava che le immagini non erano tali da consentire alcun riconoscimento. Nel merito, poi, la difesa, sempre facendo riferimento alla scarsa attendibilità del riconoscimento, ha censurato il ragionamento probatorio posto a fondamento della decisione.
La Corte territoriale, ritenuto che la consulenza tecnica non potesse essere considerata in quanto il processo era stato celebrato con le forme del rito abbreviato c.d. secco e questa non era stata oggetto di specifica produzione, ha ripercorso e condiviso il ragionamento seguito dal primo giudice e, anche facendo riferimento al comportamento tenuto dall’imputato successivamente al fatto (si era recato in due occasioni nel locale chiedendo come proseguivano le indagini e aveva tenuto un comportamento piuttosto sospetto cercando di capire se c’erano delle telecamere), ha confermato la sentenza di condanna.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
3.1. Violazione di legge e vizio di motivazione, anche con riferimento al travisamento della prova, in relazione agli artt. 424 cod. pen., 441, comma 5 cod. proc. pen., 24 e 111 cost., 125, comma 3 cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa censura il ragionamento seguito dalla Corte territoriale soprattutto in relazione alla mancata valutazione dell “perizia” che sarebbe stata depositata nel corso dell’udienza del 24 gennaio 2019, prima di procedere alla conversione del rito. Prova di natura scientifica che il primo giudic avrebbe del tutto omesso di considerare e che il secondo giudice avrebbe inopinatamente ritenuto essere non ammessa e pertanto valutabile esclusivamente nei termini della memoria incorrendo, peraltro, nel vizio di motivazione in quanto il percorso logico posto a fondamento della decisione sarebbe comunque monco poiché i giudici di merito non si sarebbero confrontati con gli argomenti proposti dalla difesa, che ha evidenziato argomenti di natura tecnica per cui sarebbe da escludere che dalle immagini si possa individuare il ricorrente. Sotto tale profilo, pertanto, considerato che l’affermazione di responsabilità non
potrebbe fondarsi sulle sole “percezioni” degli operanti, gli elementi considerati, in assenza di prove scientifiche e a fronte delle indagini sommarie svolte, non sarebbero idonei a superare il ragionevole dubbio. Del tutto inconferente, poi, sarebbe il riferimento a presunto movente, l’essere il padre del ricorrente un esponente mafioso e l’esistenza di motivi di risentimento tra il titolare del bar e il fratello dell’imputato. Ciò anche conside che né il padre né il fratello, in tal modo ritenuti mandanti dell’azione, sono mai sta sottoposti a indagini.
3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 424 cod. pen., 121 e 233, comma 1, cod. proc. pen., 3, 24. 27 e 111 cost., 125, comma 3 cod. proc. pen. e conseguente nullità della sentenza ex art. 178, comma 1, lett. C), cod. proc. pen. Nel secondo motivo, con argomentazioni che sono anche in parte sovrapponibili a quelle esposte nel precedente motivo, la difesa evidenziai che la sentenza sarebbe nulla in quanto i giudici di merito avrebbero del tutto omesso di valutare la “perizia” depositata (cfr verbale dell’udienza del 24/1/2019 allegato al ricorso) e ciò anche volendo solo considerare il contenuto di questa alla stregua di argomenti esposti in una memoria. Nella sostanza, quindi, i giudici di merito, e da ultimo la Corte territoriale, non confrontandosi con elementi e con gli argomenti evidenziati dalla difesa attraverso la consulenza e nella successiva memoria depositata il 29/10/2019, sarebbero incorsi in una violazione del diritto di intervento e di assistenza difensiva dell’imputato che comporterebbe la nullità della sentenza.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e alla quantificazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e I vizio di motivazione, anche con riferimento al travisamento della prova, in relazione agli artt. 424 cod. pen., 441, comma 5 cod. proc. pen., 24 e 111 cost., 125, comma 3 cod. proc. pen. quanto all’affermazione di responsabilità. Nello specifico il ricorrente censura la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale in relazione alla questione sollevata in merito alla mancata valutazione da parte del giudice di primo grado della “perizia” depositata nel corso dell’udienza del 24 gennaio 2019, prima cioè di procedere alla conversione del rito. Secondo la difesa, infatti, tale prova di natura scientifica avrebbe dovuto essere attentamente considerata tquesta, diversamente da quanto fatto dal giudice di appello, non avrebbe potuto essere valutata alla stregua di una memoria. Sotto altro profilo e in
generale, d’altro canto, la motivazione sarebbe carente perché si fonderebbe sulle “percezioni” degli operanti in assenza di un effettivo riscontro della congettura secondo la quale assumerebbe rilievo il fatto che il fratello, mai sottoposto a indagini, aveva motivi d risentimento con la offesa ovvero il fatto che il padre era un esponente mafioso.
La doglianza è infondata.
2.1. Ai sensi dell’art. 233, comma 1, cod. proc. pen. le parti, quando non è stata disposta la perizia, possono nominare fino a due consulenti tecnici c:he possono esporre al giudice il loro parere, anche presentando memorie ex art. 121 cod. proc. pen.
In una corretta prospettiva interpretativa, d’altro canto, è necessario distinguere due diverse ipotesi in quanto la consulenza tecnica effettuata fuori dai casi della perizia può avere due diversi contenuti (per una distinzione tra attività c.d. percipiente e attivi c.d. deducente cfr. incidentalmente Sez. U, n. 14426 del 28/01/201.9, Pavan, Rv. 275112 – 01 in motivazione a pag. 12 nonché Sez. 3 Civ.’ n. 3717 del 08/02/2019, Rv. 652736 01; Sez. L, Sentenza n. 1149 del 19/01/2011, Rv. 616225 – 01, CaSS. civ., n. 13401 del 22/6/2005, Rv. 582060 – 01).
Il consulente, infatti, può limitarsi a esporre un proprio parere tecnico – scientifi a sostegno degli argomenti sostenuti dalla difesa in ordine, ad esempio, alla valutazione di una prova o alle modalità utilizzate per l’acquisizione della stessa.
Il consulente, d’altro canto, può svolgere un’attività più articolata che comporta anche il reperimento e l’analisi di documenti o fonti di prova non presenti in atti.
Nel primo caso -quando, cioè il consulente non fa riferimento ad allegati documentali o a fonti o mezzi di prova ulteriori e diversi da quelli già acquisiti- la pa non introduce attraverso la consulenza un novum probatorio così che l’elaborato scritto è un atto che ha contenuto “rappresentativo e valutativo” degli elementi di prova già disponibili ed è pertanto equiparabile a una memoria (Sez. 1, n. 3:3435 del 30/03/2023, Abbate, Rv. 285017 – 01; Sez. 2, n. 15248 del 24/01/2020, COGNOME, Rv. 279062 – 01; Sez. 5, n. 42821 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 262111 – 01), che può essere presentata al giudice in ogni stato e grado
Nel secondo caso, invece, la consulenza (sia l’elaborato scritto che la dichiarazione resa nel corso dell’esame), per i nuovi elementi che introduce, mirando a un accrescimento delle conoscenze disponibili per il giudizio, è una prova nuova e ulteriore e come tale deve essere acquisita nei limiti, tempi e modi previsti dal codice di rito (Sez. 1, n. 33435 de 30/03/2023, Abbate, Rv. 285017 – 01).
2.2. L’art. 438 cod. proc. pen. prevede che il giudizio abbreviato sia definito allo stato degli atti e ai fini della deliberazione il giudice, ai sensi dell’art. 442, comma 1 bis cod. proc. pen., e salva l’ipotesi di cui all’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., deve utilizza gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, la documentazione successivamente
pervenuta ai sensi di cui all’art. 419, comma 3, cod. proc. pen. e quella acquisita sino alla data dell’ordinanza che dispone la conversione del rito.
Nell’ipotesi in cui il rito alternativo sia disposto in udienza preliminare, durante quale ai sensi degli artt. 421, 421 bis e 422, cod. proc. pen. le parti possono produrre atti e documenti e il giudice può procedere ad attività di integrazione probatoria, quindi, devono essere utilizzate anche le prove acquisite nel corso dell’udienza atteso che la parte può presentare la richiesta sino alla formulazione delle conclusioni (Sez. 5, n. 6777 del 09/02/2006, Paolone, Rv. 233829 – 01).
Nel caso in cui il rito abbreviato sia richiesto a seguito di citazione diretta a giudiz di contro, il compendio probatorio può essere costituito esclusivamente dagli atti trasmessi dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 553 cod. proc. pen. e di quelli urgent eventualmente assunti dal giudice per le indagini preliminari ex art. 554 cod. proc. pen. Nel procedimento instaurato con il decreto emesso dall’organo dell’accusa, infatti, la richiesta deve essere presentata nel corso dell’udienza di comparizione predibattimentale, fissata e tenuta ai sensi degli artt. 554 bis e 554 ter cod. proc. pen., norme che non prevedono alcuna attività di integrazione probatoria. L’attuale disciplina, così come modificata dal D.Lgs 150 del 2022, d’altro canto, è analoga a quella che era in vigore alla data di conversione del rito nell’attuale processo in quanto secondo la normativa allora vigente l’imputato doveva richiedere che si procedesse con le forme dell’abbreviato nei termini di cui all’art. 555, comma 2, cod. proc. pen., prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, cioè in una fase nella quale non era previsto che le parti producessero atti o documenti né era attribuito al giudice, salvo il caso degli atti urgenti, alcun pot di integrazione probatoria.
2.3. Nel caso di specie la Corte territoriale si è conformata i principi ermeneutici indicati.
Come correttamente evidenziato dal giudice d’appello l’elaborato depositato dalla difesa, impropriamente chiamato “perizia” ma costituito da una consulenza, era equiparabile a una memoria e come tale è stato acquisito.
L’atto, nel quale sono esposte delle considerazioni tecniche a sostegno degli argomenti della difesa, secondo la quale dalla videoripresa non era riconoscibile l’imputato, infatti, non conteneva alcun novum probatorio idoneo ad accrescere il compendio probatorio già acquisito.
Lo stesso, d’altro canto, qualora avesse comportato l’introduzione di nuovi e ulteriori elementi di prova rispetto a quelli contenuti nel fascicolo trasmesso dal pubblic ministero, non avrebbe potuto essere acquisito.
Ciò in quanto, come in precedenza evidenziato, non era allora, come non lo è ora, ammessa la produzione di atti e documenti o l’integrazione delle prove nella fase
immediatamente precedente la conversione in rito abbreviato del processo instaurato con il procedimento a citazione diretta.
2.4. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire quanto alla c:ensura sollevata dalla difesa in ordine alle conseguenze che sarebbero derivate dalla mancata valutazione degli argomenti contenuti nella consulenza tecnica depositata, ciò peraltro pure se questa fosse stata impropriamente acquisita e considerata non come memoria ma come prova.
Diversamente da quanto sostenuto del ricorso, infatti, la carenza anche assoluta di motivazione della sentenza di primo grado non determina la nullità della sentenza pronunciata.
Ciò in quanto, come evidenziato dalla Corte territoriale, l’eventuale mancanza di motivazione non rientra tra i casi tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen. per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmetter gli atti al primo giudice, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (così testualmente Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, NOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
2.5. Sotto altro profilo, d’altro canto, la mancata considerazione nella motivazione degli elementi indicati e degli argomenti contenuti in una memoria o nell’impugnazione, con i quali il giudice del controllo è tenuto a confrontarsi, può determinare un vizio motivazione deducibile in cassazione (Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277667 con riferimento alla fase di merito).
Al fine della verifica dell’effettiva esistenza in concreto di tale vizio, però, si fare riferimento al criterio decisorio tipico della fase e alla decisività del tema introd dalla difesa, che deve appunto essere tale da risultare idoneo a destrutturare la conclusione cui il giudice è pervenuto proprio sulla base dello standard probatorio applicato (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, Forzini, Rv. 277220).
L’onere che il giudice ha di confrontarsi con gli argomenti della difesa, infatti, risent della specificità del criterio decisorio e degli standard probatori cui deve attenersi il giudi Ciò anche perché il giudice, a maggior ragione poi quello del controllo, non è comunque tenuto a prendere in considerazione ogni argomentazione proposta dalle parti, essendo sufficiente che nella motivazione indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto così presente ogni fatto decisivo, tanto che l’ipotizzabilità d una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali non costituisce vizio di motivazione valutabile in sede di legittimità (Sez. 1, n. 6128 del 07/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259170, con specifico riferimento all’onere di motivazione in ordine alle considerazioni contenute nella consulenza tecnica cfr. Sez. 2, n. 15248 del 24/01/2020, COGNOME, Rv. 279062 – 01; Sez. 5, n. 42821 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 262111 – 01).
2.6. Alla luce di tali parametri ermeneutici nel caso di speche il vizio dedotto non sussiste neanche sotto tale profilo.
La Corte territoriale, infatti, facendo riferimento agli elementi specifici evidenzi dalla polizia quanto alle ragioni poste alla base del riconoscimento, ha dato adeguato e coerente conto dei motivi per i quali ha ritenuto di condividere la c:onclusione del giudice di primo grado in merito alla responsabilità dell’imputato, ciò anche considerato che questa è formulata all’esito di una valutazione complessiva del compendio indiziario, costituito pure dal comportamento tenuto dal ricorrente successivamente al fatto.
Il ragionamento così seguito, nel quale i giudici hanno mostrato di avere tenuto conto degli argomenti della difesa nell’ambito di una valutazione complessiva nella quale hanno evidenziato come la validità del riconoscimento effettuato prescinda dalla qualità delle immagini e dalla indicata impossibilità di effettuare una individuazione sulla base di parametri “tecnici”, non è sindacabile in questa sede.
La motivazione resa sul punto, infatti, esposte le ragioni per le quali le osservazioni del consulente non sono decisive (Sez. 2, n. 10968 del 18/12/2018, dep. 2019, Picchiottino, Rv. 275769 – 01, cfr. anche Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, dep. 2023, Casà, Rv. 284058 – 02), risulta conforme alla pacifica ciiurisprudenza di legittimità per la qual «il riconoscimento informale operato dalla polizia giudiziaria sulla base di una fotografia dell’indagato costituisce una prova atipica la cui affidabilità deriva dalla credibilità d dichiarazione di chi, avendo esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione» (così Sez. F, n. 37012 del 29/08/2019, COGNOME, Rv. 277635 – 01 e anche, specifica quanto al riconoscimento effettuato dagli operanti, Sez. 2, n. 42041 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277013 – 01 nel senso che «il riconoscimento dell’imputato nel soggetto ripreso in un filmato registrato dalle telecamere di sicurezza presenti sul luogo di consumazione del delitto, operato dai personale di polizia giudiziaria, ha valore di indizio grave e preciso a suo carico, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito»; anche, recentemente, Sez. 2, n. 41375 del 05/07/2023, COGNOME, Rv. 285160 – 01; Sez. 3, n. 16977 del 22/03/2022, COGNOME, Rv. 283069 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 34211 del 25/11/2020, COGNOME, Rv. 280236 – 01).
Nel terzo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza e alla quantificazione della pena.
La doglianza è manifestamente infondata.
La sentenza impugnata, con riferimento alla misura della pena inflitta all’imputato, contenuta – per altro – entro limiti prossimi al minimo edittale, fa buon governo della legge penale e dà conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex artt. 132 e 13:3 cod. pen. della Corte di merito, e ciò anche in relazione giudizio di bilanciamento tra le circostanze e all quantificazione della pena, tenuto conto, quanto tali aspetti, alle modalità della condotta,
caratterizzata dall’uso di tre stracci imbevuti e dal conseguente elevato pericolo di diffusione dell’incendio, che è stato scongiurato solo per l’intervento di soggetti terzi.
Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena (Sez. Un. n. 1.2602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818).
La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen. e i criteri applicati ai fini di effettuare il giudizio di bilanciamento con le cont aggravanti, d’altro canto, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014 NOME, RV. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, RV. 248244; n. 42688 del 24/09/ 2008, COGNOME, RV 242419).
Il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale deve quindi motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo così che riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la valutazione in ordine alla equivalenza o prevalenza delle stesse rispetto alle aggravanti può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri, disattesi o superati da tale valutazione.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso 1’8 novembre 2023.