Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27131 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27131 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ROMA il 16/04/1973
avverso la sentenza del 06/12/2024 della CORTE di APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 6 dicembre 2024 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa il 23 aprile 2024 dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con la quale l’imputato COGNOME era stato dichiarato colpevole dei reati di furto aggravato di un portafoglio e di indebito utilizzo della carta postapay, contenuta nel suddetto portafoglio, concedeva all’imputato i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando cinque motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva mancanza, illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione in relazione all’individuazione dell’imputato quale autore dei reati contestati.
Assumeva in particolare che la Corte territoriale aveva utilizzato ai fini della decisione esclusivamente le proprie percezioni, effettuando una comparazione empirica fra la ritrazione fotografica dell’imputato e le immagini, acquisite al processo, tratte dal sistema di videosorveglianza allocato sui luoghi del reato, e non aveva esplicitato le ragioni per le quali aveva ritenuto di discostarsi dalla valutazioni tecniche effettuate da personale dei Carabinieri del R.I.S., che aveva ritenuto non praticabile un accertamento tecnico antropometrico sulle dette immagini.
con il secondo motivo deduceva mancanza, illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità dell’individuazione fotografica effettuata dalla parte offesa, evidenziando che le immagini utilizzate per l’individuazione erano state tratte da filmati estrapolati dalla medesima parte offesa, così che non rispondeva al vero la circostanza che quest’ultima, per effettuare l’individuazione fotografica, avesse esaminato le dette immagini per la prima volta; assumeva che la Corte di merito aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell’attendibilità del riconoscimento, il fatto ch vittima avesse già in precedenza preso visione delle immagini, senza rendere una motivazione sul punto.
Con il terzo motivo deduceva erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., nonché mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, assumendo che, a fronte di un motivo di appello che aveva fondato la richiesta del beneficio in parola sul lieve disvalore penale del fatto, la Corte d’Appello aveva motivato il diniego esclusivamente con riferimento alla mancata indicazione da parte della difesa di elementi da valutarsi positivamente per l’imputato.
Deduceva inoltre che la motivazione era contraddittoria nella parte in cui, da un lato, aveva negato la concessione delle attenuanti generiche ritenendo la gravità del fatto e, dall’altro, aveva applicato una pena prossima al minimo
edittale, ciò che implicava necessariamente un giudizio di non particolare gravità del fatto.
Con il quarto motivo deduceva mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte effettuato un generico riferimento all’art. 133 cod. pen. senza indicare, fra i paramenti oggettivi e soggettivi previsti dalla norma, quelli presi in considerazione per giustificare il discostamento dal minimo edittale; deduceva, sotto altro profilo, che tale discostamento risultava in contraddizione con la concessione del beneficio della non menzione della condanna di cui all’art. 175 cod. pen., che si fondava su una prognosi favorevole circa il futuro comportamento dell’imputato, elemento positivo che la Corte avrebbe dovuto valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
Con il quinto motivo deduceva erronea applicazione degli artt. 81, 132 e 133 cod. pen. nonché mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione riguardo agli aumenti di pena applicati in relazione ai resti satellite, assumendo che sul punto, ancora una volta, i giudici di merito si erano limitati a un generico richiamo all’art. 133 cod. pen., e inoltre non avevano individuato, prima di quantificare l’aumento di pena, la pena in concreto applicabile al reato satellite, avendo infine applicato un aumento di pena incongruo e sproporzionato rispetto alla pena inflitta per il reato base.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi devono essere trattati congiuntamente in quanto involgono la medesima questione, relativa all’adeguatezza della motivazione resa in relazione alla ritenuta attendibilità del riconoscimento dell’imputato quale autore dei reati contestati.
La Corte d’Appello ha reso, sul punto, una motivazione immune da vizi; ha richiamato, in particolare, la motivazione resa dal primo giudice che aveva “dato ampiamente conto delle ragioni per le quali l’identificazione dell’imputato deve ritenersi evidente, elencando una serie di elementi che connotano la fortissima somiglianza tra le immagini dell’uomo ritenuto essere l’autore dell’azione delittuosa e il Monteleone (taglio sottile degli occhi, arcata sopracciliare molto arcuata, bocca sottile, naso lungo, sagoma del viso)” (v. pag. 4 della sentenza impugnata), e ha considerato anche l’ulteriore elemento costituito dal riconoscimento effettuato dalla persona offesa NOME
I
osservando congruamente che “la pregressa plurima visione delle immagini delle videoregistrazioni da parte della querelante prima di procedere all’individuazione non è, ad avviso del Collegio, elemento sufficiente ad inficiare la valenza probatoria dell’atto, poiché risulta accertata la credibilità della COGNOME, la quale si è detta certa dell’identificazione operata” (v. pag. 5 del provvedimento impugnato), ciò ancor più considerando che la COGNOME aveva avuto un contatto diretto con il ricorrente, che poco prima del furto aveva avuto modo di servire al bancone del bar dove la stessa lavorava, circostanza quest’ultima opportunamente evidenziata dalla Corte territoriale in quanto ritenuta particolarmente significativa ai fini della valutazione dell’attendibilit del riconoscimento.
La Corte ha anche considerato che la descrizione dell’uomo che con la carta postapay sottratta aveva acquistato delle stecche di sigarette, effettuata del gestore della tabaccheria ove era stato effettuato l’acquisto, corrispondeva anch’essa alla persona ritratta dalle telecamere.
Non risponde, pertanto, al vero quanto sostenuto in ricorso circa il fatto che il giudice del merito avrebbe fondato la statuizione di condanna sulla sola propria percezione personale, avendo la Corte di merito cosiderato anche gli ulteriori elementi testé richiamato.aì
A fronte di tali plurimi elementi, congruamente valorizzati dalla Corte d’Appello e dai quali la stessa ha tratto conseguenze del tutto logiche in punto di individuazione del Monteleone quale autore del furto, perde di significato il dato relativo alla impossibilità di effettuare un esame antropometrico sulla base delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza allocato sui luoghi del rea
La Corte territoriale, invero, si è espressamente confrontata con le fondamentali deduzioni difensive e l’omessa specifica valutazione degli altri dati richiamati nel ricorso non configura il vizio denunciato: va ribadito, infatti, che il giudice di appello, in presenza di una “doppia conforme” (è il caso di specie) nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593; Sez. 3, n. 8065 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841; di recente v. Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811, non mass. sul punto).
2. Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il terzo motivo, avente aggetto la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, dovendosi ritenere che la Corte d’Appello abbia reso sul punto una motivazione immune da vizi, evidenziando congruamente l’assenza di elementi da valutarsi positivamente per l’imputato e osservando che il fatto non poteva essere considerato di rilevanza minima – in tal modo rispondendo alla specifica doglianza dedotta con l’atto di appello – poiché denotante “una spregiudicatezza e una spiccata volontà delittuosa, avendo il COGNOME agito in una situazione di oggettiva pericolosità, rischiando di essere colto sul fatto” (v. pag. 6 della sentenza impugnata), e ancora considerando che il COGNOME non aveva mostrato segni di resipiscenza e che il danno alla vittima doveva essere rapportato anche alla perdita dei documenti, e non solo agli aspetti patrimoniali.
Deve, in proposito, osservarsi che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, condiviso da questo Collegio, in tema di circostanze, ai fini del diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a que ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato (v., ex multis, Sez. 3,Sentenza n. 2233 del 17/06/2021, COGNOME, Rv. 282693 – 01).
Quanto, infine, alla dedotta contraddittorietà fra il diniego delle attenuanti generiche e l’applicazione di una pena prossima al minimo edittale deve osservarsi che la Corte di merito, dopo aver dato conto degli elementi fondanti la statuizione del diniego del detto beneficio, ha anche congruamente motivato in relazione alla dosimetria della pena, nella specie prossima al minimo edittale, rilevandone la congruità e adeguatezza in relazione alla gravità del fatto (v. in tema, ex multis, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01, secondo cui non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media).
3. Del pari inammissibili in quanto manifestamente infondati sono il quarto e il quinto motivo, che devono essere trattati congiuntamente in quanto
entrambi aventi ad oggetto la dosimetria della pena.
Ritiene il Collegio che in punto di trattamento sanzionatorio la Corte territoriale abbia reso una motivazione immune dai vizi denunciati, facendo
riferimento all
‘ adeguatezza e alla congruità della sanzione, sia con riferimento alla pena base che riguardo all
‘ aumento applicato a titolo di continuazione (v., ex multis,
Sez. 2 n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME e altro, Rv. 256464 – 01, secondo cui nel caso in cui venga irrogata
una pena prossima al minimo edittale, l
‘obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchè è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel
quale sono impliciti gli elementi di cui all
‘art. 133 cod. pen.).
Né vi è contraddizione tra la concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, da un lato, e il
discostamento dal minimo edittale della pena inflitta, dall
‘ altro, dovendosi considerare che tale discostamento, come detto, risulta essere minimo, così che entrambe le statuizioni – quella relativa alla concessione dei detti benefici e quella relativa alla dosimetria della pena – trovano la medesima giustificazione nella ritenuta non eccessiva gravità del fatto.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità “, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle <. < ···I 14-1 spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle Lu P- o 31 2 ai ammende. GLYPH < z cd.
Così deciso il 15/05/2025
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