Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28132 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28132 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a IVREA il 11/02/1986
avverso la sentenza del 04/12/2024 della Corte d’appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Biella del 27.09.2023, che aveva condannato NOME COGNOME in concorso con NOME COGNOME alla pena ritenuta
di giustizia, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, e ritenuta la continuazione, per due reati di furto in concorso, in pertinenza di abitazione, l’uno semplice e il secondo aggravato, commessi il 18 e il 22 luglio 2017, mediante l’introduzione all’interno delle cantine di pertinenza delle rispettive abitazioni delle persone offese, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ubicate all’interno di un medesimo condominio, con impossessamento dei beni ivi custoditi.
La identificazione della imputata avveniva sulla base delle immagini dei filmati del sistema di videosorveglianza, installato frontalmente al condominio, in cui si erano verificati i furti in oggetto, che venivano consegnate ai Carabinieri dalla persona offesa COGNOME COGNOME, ritraenti due individui, un uomo ed una donna, che utilizzavano una vettura intestata al coniuge, convivente, della ricorrente, e che venivano riconosciuti con certezza, in sede di individuazione fotografica dal figlio della persona offesa, COGNOME COGNOME. Questi, alcuni giorni dopo, aveva notato i medesimi individui, in circostanza analoga, nei pressi dello stesso condominio, dopo che avevano asportato una bici dalla cantina della abitazione di Urdis Enrico, cercando di trattenerli, riuscendo a fornire agli agenti il numero di targa dell’auto in uso ai due. In dibattimento, COGNOME COGNOME non riconosceva la imputata, limitandosi a confermare il precedente riconoscimento della ricorrente. Ulteriore elemento veniva desunto dalla presenza nell’abitazione della imputata, in sede di perquisizione domiciliare, del coimputato COGNOME soggetto che veniva riconosciuto, con certezza, dal teste COGNOME COGNOME, anche in dibattimento.
2. Contro l’anzidetta sentenza la imputata, propone ricorso, affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta inosservanza o erronea applicazione di legge, ed inosservanza delle norme processuali a pena di nullità, in relazione all’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., in punto di identificazione dell’imputata. Si deduce la illegittimità del riconoscimento in quanto la Corte territoriale avrebbe ritenuto provata la identificazione della ricorrente sulla base di un riconoscimento fotografico, compiuto, nel corso delle indagini preliminari, da COGNOME COGNOME, in relazione al furto commesso il 22 luglio 2017, ai danni di COGNOME NOME, ma non confermato in dibattimento, e di una valutazione della prima dichiarazione, in assenza delle condizioni di cui all’art. 500, comma 4, cod. proc. pen., richiamando la sentenza di questa Corte, Sez. II, n.10249 del 3/02/2021, che, in tale ipotesi, ha ritenuto utilizzabile il riconoscimento soltanto nel caso in cui risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l’esito dell’att ricog n itivo.
Il difensore ha depositato memoria anche in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, con la quale reitera le deduzioni contenute nel ricorso sul quale insiste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto limitatamente al reato furto in danno di COGNOME NOME, contestato al capo 1) della imputazione perché estinto per prescrizione.
Riguardo al reato contestato al capo 2), il ricorso è infondato.
2.1 Occorre, in primo luogo, mettere in evidenza che i giudici di merito non hanno fatto applicazione dell’art. 500, comma 4, c.p.p., che attribuisce rilevanza al riconoscimento fotografico effettuato nella fase delle indagini preliminari, non reiterato o non confermato nel corso del dibattimento, soltanto nel caso in cui risulti da elementi concreti che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità con la finalità di condizionare l’esito dell’atto ricognitivo.
La ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 10249 del 03/02/2021, Rv. 280772 – 01; Sez. F, Sentenza n. 43285 del 08/08/2019, Rv. 277471 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 43294 del 02/10/2015, Rv. 265078 – 01) sul caso di mancata conferma del precedente riconoscimento, che predilige il risultato negativo della ricognizione, come acquisito nel dibattimento (pur dopo una ricognizione positiva effettuata nelle indagini preliminari), solo quando l’esito rimanga negativo e difforme rispetto a quello delle indagini preliminari (in tal caso facendosi eccezione per il caso di comprovata minaccia ex art.500, comma 4, cod. proc. pen.).
Diverso è, invece, il caso oggetto di giudizio, in cui, su contestazione, il teste ha fatto proprio e reiterato, confermandolo, il riconoscimento effettuato, con certezza in sede di indagini preliminari.
2.1.1 La Corte di appello ha chiarito, con motivazione immune da vizi e censure, che, in dibattimento, l’identificazione, compiuta nel corso delle indagini preliminari, veniva confermata dal teste, sia pure a seguito di contestazione da parte del Pubblico Ministero.
La valutazione è corretta. Invero, dopo una prima dichiarazione di non essere in grado di riconoscere la ricorrente, nelle fotografie che gli venivano mostrate, COGNOME COGNOME a fronte della contestazione del Pubblico Ministero, che gli ricordava
di aver riconosciuto la imputata, con certezza, al 100%, nel corso delle indagini, due giorni dopo l’avvistamento, confermava senza esitazione tale circostanza.
Ne discende che non sussiste la violazione della norma invocata, né, in generale delle regole per l’acquisizione delle prove.
Quanto alla attendibilità intrinseca del riconoscimento, la Corte d’appello, con motivazione immune da vizi e censure, ha spiegato le ragioni della ritenuta attendibilità ed idoneità della individuazione fotografica ad assicurare il riconoscimento degli autori del fatto, per la descrizione dettagliata della imputata fornita dal teste.
Va osservato che i giudici di merito hanno fatto buon governo del principio già affermato più volte da questa Corte, secondo cui l’individuazione diretta di persona effettuata nei locali della polizia giudiziaria dalle persone offese trova il su paradigma nella prova dichiarativa proveniente da un soggetto che, nel corso delle informazioni, dichiara di avere accertato direttamente l’identità personale dell’imputato. Tale prova deve essere tenuta distinta dalla ricognizione personale, disciplinata dall’art. 213 cod. proc. pen., essendo inquadrabile tra quelle non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 cod. proc. pen., e pienamente utilizzabile, ferma restando la facoltà del giudice di apprezzarne liberamente le risultanze (Sez. 2, n. 16773 del 20/03/2015, Osas, Rv. 263767; vedi anche Sez. 5 n. 18057 del 13.1.2010, Rv. 246862). Posto, quindi, che in una situazione, quale quella di specie, l’accertamento della responsabilità dell’imputata non si fonda su una ricognizione in senso tecnico, la cui validità formale è condizionata all’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 213 e ss. cod. proc. pen., bensì sulla ritenuta attendibilità, attribuita alla deposizione di colui che ha effettuato riconoscimento, entrambi i giudici di merito (soprattutto quello di primo grado la cui sentenza integra quella impugnata dando luogo ad un unico complesso argomentativo) hanno congruamente motivato in ordine alla credibilità del teste COGNOME COGNOME evidenziando che questi aveva potuto vedere in volto, al momento del fatto, entrambi gli autori del furto (un uomo ed una donna), in quanto aveva tentato di trattenerli sul posto, mentre portavano una bicicletta, asportata da una pertinenza del condominio, per caricarla nell’auto, della cui fisionomia aveva fornito una dettagliata descrizione, quando si era recato a denunciare il delitto presso la stazione dei Carabinieri, e che non aveva avuto alcuna esitazione a riconoscere nella ricorrente uno degli autori del reato dato che erano passati solo due giorni dal fatto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Invero, il riconoscimento fotografico, operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, può essere legittimamente assunto come prova, in quanto costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’art. 189 cod. proc pen. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015,
Verde, Rv. 266023) e catalogabile, dunque, nel novero delle cd. prove atipiche. La certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come strumento probatorio in sè, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Sez. 6, n. 17103 del 31/20/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275548; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267562; Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, COGNOME, Rv. 228043).
E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità l’inquadramento dell’atto di individuazione (personale o fotografica), compiuto nel corso delle indagini preliminari, nella categoria generale delle manifestazioni riproduttive di una percezione visiva; in quanto tale, esso «rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 4, n. 1867 del 21/2/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258173), e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice» (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437 – 01). Si tratta, dunque, di prova non espressamente disciplinata dal codice di rito, utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Verde, Rv. 266023 – 01).
Sia che l’atto di individuazione entri a far parte del patrimonio probatorio, rilevante per il giudizio, per effetto della scelta processuale della definizione allo stato degli atti, sia che di esso riferisca il testimone, escusso nell’istruttor dibattimentale, (richiamando quanto avvenuto nel corso delle indagini preliminari, oppure quando l’individuazione avvenga direttamente nel corso del dibattimento), i criteri di valutazione di tale prova devono essere quelli propri dei risultat dichiarativi acquisiti: ciò comporta che «l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice» (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262908 – 01).
Né ha rilievo dirimente la circostanza che la ricorrente non sia stata riconosciuta con la stessa certezza in dibattimento.
Se la conferma durante il dibattimento dell’operata individuazione, nel corso delle indagini, da parte del testimone, mediante un nuovo atto positivo di individuazione, assicura un elevato grado di attendibilità della dichiarazione complessiva, al cui interno si colloca la frazione dell’attestazione, riguardante la percezione visiva riferita dal testimone, possono darsi ipotesi in cui, mentre nel corso delle indagini il testimone ha eseguito l’attività di individuazione, con esiti di
corrispondenza tra il soggetto individuato e la persona dell’imputato, nell’istruttoria dibattimentale il riconoscimento mediante individuazione non avviene con la stessa modalità e negli stessi termini.
Questa Corte, a tal proposito, ha affermato che in tema di prove non disciplinate dalla legge, ove all’individuazione fotografica effettuata in fase di indagini preliminari non faccia seguito, in fase dibattimentale, la ricognizione personale dell’imputato presente in termini di “assoluta certezza”, la prova dell’identificazione del predetto può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettivi, eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza (Sez. 2, Sentenza n. 25122 del 07/03/2023, Rv. 284859 – 01).
Nel caso di specie, l’identificazione fotografica è stata accompagnata dalla identificazione, nei filmati, dell’autovettura usata dagli imputati (la ricorrente ed i COGNOME, non appellante) e trova conferma anche nella circostanza che il coimputato – sulla cui identificazione non è proponibile alcun dubbio processualmente rilevante – era presente con la COGNOME al momento della perquisizione domiciliare, all’interno della abitazione di quest’ultima.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello, e prima ancora il giudice di primo grado, con lineari e coerenti argomentazioni, hanno svolto il dovuto vaglio di attendibilità del figlio della persona offesa, che ha effettuato il riconoscimento dell’imputato, dalla visione delle immagini delle videoriprese, presso la caserma dei Carabinieri, attestandone la particolare convinzione sulla certezza dell’individuazione della imputata, che veniva inquadrata direttamente nel volto. Sulla base della richiamata dichiarazione testimoniale, la Corte di merito ha ritenuto valido il riconoscimento, effettuato, senza ombra di dubbio, in sede di indagini preliminari, poi, confermato, in dibattimento, dal teste COGNOME COGNOME che dichiarava di avere visto la imputata chiaramente in volto, ed ha evidenziato come debba essere riconosciuta maggiore valenza probatoria all’atto compiuto nella fase delle indagini (Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, COGNOME, Rv. 265813; Sez. 2, Sentenza n. 41375 del 05/07/2023, Rv. 285160 – 01).
Al riguardo, deve osservarsi che l’individuazione di un soggetto – sia personale sia fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione. Ne consegue che tale dichiarazione è assoggettata al medesimo regime delle dichiarazioni testimoniali, con la conseguenza che vale anche per essa la regola che la conferma, a seguito di contestazione, nel corso del dibattimento, acquisisce al patrimonio cognitivo del giudice, con piena utilizzabilità, la circostanza narrata (Sez. 5, n. 44373 del 29/04/2015, COGNOME Rv. 265813-01; Sez. 2, Sentenza
n. 55420 del 23/11/2018 Rv. 274470 – 01). Come di recente ritenuto da questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 25122 del 07/03/2023, Rv. 284859 – 01), la prova dell’identificazione può essere raggiunta anche mediante la valutazione della precedente dichiarazione confermativa dell’individuazione fotografica, verificando l’esistenza di dati obiettivi, eventualmente anche riferiti dal testimone, che forniscano spiegazione del mancato ricordo in termini di sicura concordanza.
Correttamente il Tribunale ha valorizzato il primo ed unico riconoscimento, avvenuto nel corso delle indagini preliminari e nell’immediatezza del fatto e, quindi, in un contesto di superiore e rafforzata credibilità.
Nella specie, la Corte di appello ha confermato la bontà di tali argomentazioni, evidenziando che il teste non ha escluso di avere effettuato, nel corso delle indagini, il positivo riconoscimento dell’imputata, in termini di certezza (al 100%), ma si è limitato ad esprimere un diverso giudizio, che appare giustificato dall’affievolirsi del ricordo in ragione del tempo decorso (cinque anni), e che, comunque, ha confermato, a seguito di contestazione, il precedente riconoscimento.
Non va, peraltro, trascurato che la Corte territoriale ha sottolineato come il riconoscimento fotografico non è l’unica prova della responsabilità dell’imputata, poiché assieme a questo concorrono alcuni elementi indiziari che si rafforzano reciprocamente, quali, la intestazione del mezzo, utilizzato per la fuga, ad un componente il nucleo familiare della ricorrente, a conferma del collegamento diretto tra il veicolo e la imputata; la presenza, all’interno della abitazione della Palamara, all’atto della perquisizione, di un uomo la cui fisionomia corrispondeva esattamente alla descrizione fornita dal teste, riconosciuto con certezza nel coimputato COGNOME sia in sede di indagini che in dibattimento.
In verità la difesa mira a proporre una valutazione atomistica e parcellizzata del compendio probatorio, che invece concorre a comporre un quadro robusto e univoco a sostegno del giudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputata che, peraltro, non ha fornito alcuna spiegazione alternativa che possa sostituirsi alla prospettazione accusatoria, fondata su argomentazioni logiche e congrue al compendio probatorio.
Tutto ciò premesso, in ordine al materiale probatorio acquisito a sostegno di entrambe le contestazioni, deve rilevarsi che per una di esse, quella relativa al reato di furto commesso il 18/07/2017, contestato al capo 1), è maturata la prescrizione, dopo la sentenza d’appello.
Sulla scorta di tali considerazioni, ne consegue che il ricorso, comunque, non è inammissibile e può, pertanto, essere dichiarata la prescrizione maturata dopo l’appello, non ricorrendo l’ipotesi di cui all’art.129 cod. proc. pen.
3. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, limitatament al reato di furto in danno di COGNOME NOME perché estinto per prescrizio
eliminata la relativa pena di mesi uno di reclusione ed euro 50 di multa. Nel re il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di furto i danno di COGNOME NOME perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa
di mesi uno di reclusione ed euro 50 di multa. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 14/05/2025.