Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13786 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13786 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 09/06/1974 a SAN SEVERO avverso la sentenza in data 26/02/2024 della CORTE DI APPELLO DI BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la nota dell’Avvocato NOME COGNOME che ha replicato alla requisitoria del pubblico ministero e ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
a seguito di trattazione con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co.8 d.l. N. 137/2020 e del successivo art. 8 d.l. 198/2022..
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 26/02/2024 della Corte di appello di Bari, che ha
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confermato la sentenza in data 07/10/2021 del Tribunale di Foggia, che lo aveva condannato per il reato di ricettazione.
Deduce:
1.1. Inosservanza di norma processuale, in relazione agli artt. 348, comma 1 e 3, 357, 361, 373, comma 3, 213-217 cod. proc. pen..
Il ricorrente evidenzia come sia totalmente viziata la formazione della principale prova accusatoria, attinente all’identificazione dell’imputato, eseguita dal Brigadiere Capo COGNOME GiuseppeCOGNOME
Osserva che il Brigadiere COGNOME dichiarava di riconoscere l’odierno ricorrente quale autore del reato, siccome effigiato in una fotografia del fascicolo fotografico predisposto dal Maresciallo Maggiore COGNOME COGNOME e dall’Appuntato COGNOME NOME.
Secondo la difesa, però, il Brigadiere COGNOME aveva già riferito al Maresciallo COGNOME il nominativo di COGNOME NOME, così che la predisposizione del fascicolo fotografico era inficiato nella sua genuinità, perché predisposto sulla base delle indicazioni dello stesso soggetto che doveva procedere al riconoscimento.
Vengono dunque riportate le dichiarazioni testimoniali rese dal Brigadiere COGNOME nel corso del dibattimento, al fine di dimostrare come il riconoscimento fotografico fosse viziato e, dunque, non utilizzabile.
1.2. Violazione di legge per la mancata riqualificazione del fatto in furto.
Secondo il ricorrente il fatto che lo spadino fosse ancora inserito nel cilindro di accensione della macchina al momento del controllo, avvenuto a pochi chilometri dall’asporto, quando il furto non era stato ancora denunciato e che un altro spadino fosse stato rinvenuto nella tasca dei pantaloni dell’imputato, sono tutti elementi univocamente conducenti nel senso che COGNOME fosse l’autore del furto.
Si assume, quindi, che la motivazione della Corte di appello risulta illogica sul punto, in quanto nega tale evenienza, peraltro in contraddizione con le dichiarazioni testimoniali rese dal Brigadiere COGNOME che, invece, sono valorizzate dai giudici ai fini dell’affermazione di responsabilità.
1.3. Violazione di legge per la mancata applicazione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale, in violazione della sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 2023 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di ogni divieto di prevalenza di qualsiasi attenuante rispetto alla recidiva di cui all’art. 69, ultimo comma, cod. pen..
1.4. Mancata assunzione di una prova decisiva.
Il ricorrente osserva che il tribunale revocava l’ordinanza istruttoria nella parte in cui aveva disposto la testimonianza dell’appuntato COGNOME
Si assume che questa testimonianza era da considerarsi decisiva attesa la confusione delle dichiarazioni rese dal Brigadiere COGNOME in relazione alle modalità di effettuazione del riconoscimento fotografico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di impugnazione è inammissibile perché manifestamente infondato.
Il ricorrente dubita della genuinità del fascicolo fotografico utilizzato nel corso delle indagini preliminari per il riconoscimento dell’imputato a opera del Brigadiere COGNOME che -si assume- aveva già riferito al Maresciallo COGNOME il nominativo di NOME COGNOME, appreso subito dopo il fermo del minore.
Tale obiezione, però, si riferisce all’attività svolta nel corso delle indagini preliminari, che deve intendersi superata dalla prova assunta in sede dibattimentale, nel contraddittorio delle parti.
A tale riguardo, infatti, è stato spiegato che «l’individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice» (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437 01).
Tale principio trova giustificazione nel fatto che non è possibile pervenire a una compiuta tipizzazione delle cautele procedinnentali che devono assistere l’assunzione di un atto di riconoscimento fotografico o personale effettuato dinanzi alla polizia giudiziaria, stante l’atipicità di detto strumento probatorio, sicchè la metodologia dell’assunzione del riconoscimento fotografico potrà influenzare la sua efficacia dimostrativa, sotto il profilo della valenza di attendibilità della dichiara zione attraverso la quale viene veicolato ed introdotto nel processo, ma non potrà certamente essere ritenuta idonea a generare nullità o inutilizzabilità di sorta, qualora non si avvicini o non ricalchi le sembianze procedimentali previste dall’art. 213 cod. proc. pen.., (Così, la sentenza dianzi citata, in motivazione).
Tanto vale a destituire di fondamento l’eccezione difensiva, atteso che manca la violazione di una norma posta a pena di inutilizzabilità e considerato che la prova non è costituita dal verbale di riconoscimento fotografico, ma dalle dichiarazioni rese dai militari COGNOME e COGNOME che, in sede dibattimentale e nel contraddittorio tra le parti, hanno riferito dei contenuti, delle modalità e dell’esito
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del riconoscimento fotografico, confermando di avere riconosciuto l’imputato nel soggetto posto alla guida dell’autovettura rubata.
Da ciò l’inammissibilità del primo motivo d’impugnazione, per manifesta infondatezza.
1.2. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto quale furto piuttosto che come ricettazione, deve osservarsi come la censura solleciti apprezzamenti di fatto che non sono consentiti alla Corte di cassazione.
La Corte di appello ha ritenuto che il fatto fosse riconducibile alla ricettazione in ragione della distanza spaziale (80 Km) e temporale (4 o 5 ore) rispetto al luogo e al tempo del furto; la difesa, al contrario, considera tali elementi significativi della responsabilità per il furto, valorizzando -altresì- gli spadini ritrov nel blocco di accensione dell’autovettura e nelle tasche di COGNOME, oltre che l’assenza di una denuncia al momento del rinvenimento dell’autovettura.
Tanto mostra come il motivo in esame prospetti alla Corte di cassazione la necessità di scegliere tra due opposte tesi che si fronteggiano nella ricostruzione dei fatti.
A fronte di tale evenienza, va ribadito che in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, dovendo piuttosto verificare la coerenza strutturale della sentenza alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Da qui l’inammissibilità del secondo motivo, perché prospetta questioni non scrutinabili in sede di legittimità.
1.3. Il motivo con cui il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva è manifestamente infondato.
Il ricorrente sostiene che la sentenza della Corte costituzionale n. 141 del 2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutti i divieti di prevalenza di tu le circostanze attenuanti sulla circostanza aggravante di cui all’art. 99, comma quarto, cod. pen., là dove, invece, la norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4), cod. pen. sulla recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen. e non in relazione a tutte le attenuanti e, segnatamente, con riguardo alle circostanze attenuanti generiche.
Da ciò l’inammissibilità del motivo per manifesta infondatezza.
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1.4. Con l’ultimo motivo d’impugnazione il ricorrente si duole della mancata assunzione di una prot.1va
decisiva, indicata nella testimonianza dell’Appuntato
).
Scelto Mandaglio, ossia ‘una prova dichiarativa.
Proprio dalla natura della prova richiesta discende l’inammissibilità del mo- tivo, dovendosi ribadire che «la prova decisiva, la cui mancata assunzione può
essere dedotta in sede di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod.
proc. pen., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può
consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine
di prospettare l’ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricor- rente» (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035 – 01; Sez. 5, n. 9069
del 07/11/2013, dep. 2014, Pavento, Rv. 259534 – 01).
Tanto induce all’inammissibilità del motivo di ricorso, non potendosi attri- buire natura di prova decisiva a un esame testimoniale, stante la sua natura di
fonte dichiarativa.
2. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/02/2025