Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3855 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PALERMO il 28/02/1950
avverso la sentenza del 31/05/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria difensiva; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610, comma 5, e 611, comma 1 bis, e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo in data 31/05/2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Sciacca che lo ha condannato alla pena di giustizia in ordine al reato di concorso in truffa, oltre al risarcimento de danni e delle spese di giudizio in favore della parte civile costituita.
La difesa affida il ricorso a tre motivi che, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Il Pubblico ministero, nella persona del sostituto P.G. NOME COGNOME con requisitoria del 17 dicembre 2024, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria del 3 gennaio 2025, la difesa del ricorrente ha replicato alle conclusioni di cui alla requisitoria del P.G., insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Con il primo motivo si deduce la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b), c), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 110 e 640 cod. pen. nonché agli artt. 125, 189, 192, 213, 214, 498, 499, 500, 514, 533 e 546 cod. proc. pen.
Il motivo attiene all’affermazione di responsabilità e riguarda l’utilizzabilità la rilevanza delle fonti di prova in forza delle quali il giudice del merito s pervenuto all’identificazione dell’imputato quale uno degli autori della truffa.
In particolare si censura il rilievo delle dichiarazioni rilasciate dalla p.o. corso dell’esame dibattimentale ai fini dell’identificazione dell’imputato quale uno degli autori della truffa; la mancata acquisizione col consenso della difesa del verbale di individuazione fotografica redatto dalla p.g. il 18/02/2017 sottoposto alla p.o. nel corso dell’esame e, peraltro, nelle stesse modalità con cui gli era stato mostrato nel corso delle indagini, circostanza che ne inficiava la genuinità e che avrebbe imposto, semmai, un diverso corredo fotografico redatto in forma anonima e con fotografie che fossero dell’epoca del commesso reato; l’utilizzabilità delle dichiarazioni della p.o. contenute nell’atto di querela – acquisito ai fi
esclusivi della procedibilità – senza il consenso della difesa; l’inutilizzabilità de dichiarazioni rese dalla p.o. nel corso dell’esame in quanto frutto di domande suggestive; il rispetto della regola dell’affermazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il motivo è inammissibile e/o manifestamente infondato.
Con riferimento alla censura mossa riguardo all’attendibilità della persona offese, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte secondo cui le dichiarazioni della persona offesa cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104).
Nel caso in esame, la Corte territoriale risulta essersi fatta carico di apprezzare le dichiarazioni della persona offesa in punto sia di attendibilità soggettiva che oggettiva, attraverso un rigoroso scrutinio che ha consentito di escludere qualsiasi decisiva interferenza tra il momento iniziale del dichiarato che i suoi successivi sviluppi processuali e dibattimentali, con riguardo alla persona dell’imputato reiteratamente indicato come uno degli artefici della truffa (v. pagg. 3-4).
Inoltre, non va trascurato che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che, come tale, non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in manifest contraddizioni che, per come osservato, non si evincono dalla lettura della sentenza impugnata (Sez. 2, n. 41505 del 24/09/2013, COGNOME, Rv. 257241).
Quanto ai rilievi in ordine all’utilizzabilità del verbale di individuazio fotografica, i giudici di merito risultano avere fatto corretta applicazione de principio dettato dalla Corte di legittimità a mente del quale l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria costituisce una prova atipica, la cui affidabilità deriva dalla credibilità della deposizione di chi, aven esaminato la fotografia, si dica certo della sua identificazione. Pertanto, le modalità dell’individuazione – concretatesi nella scelta delle immagini fotografiche effettuata dalla polizia giudiziaria – non riguardano la legalità della prova, dato l’enorme margine di opinabilità che accompagna ogni selezione, ma si riflettono sul suo valore, che richiede l’apprezzamento, in sede di scrutinio di legittimità, della congruenza del percorso argomentativo utilizzato dal giudice di merito a
fondamento dell’affidabilità del riconoscimento e, quindi, del giudizio di colpevolezza (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267562).
Pertanto, allorché il giudice del merito – come nel caso in esame (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) – abbia espressamente dato atto che quell’iniziale riconoscimento operato dalla p.o. dinanzi alla p.g. sia stato reiterato nel corso dell’esame, la fonte di prova decisiva ed esclusiva che regge l’affermazione di responsabilità va ravvisata nella testimonianza e non nell’utilizzazione del verbale di cui si lamenta l’utilizzazione.
Del tutto inconferente, poi, è il rilievo di inutilizzabilità del riconoscimen dibattimentale della p.o. sul rilievo della mancanza di una previa descrizione fisicosomatica degli autori della truffa, trattandosi di adempimento prescritto dal codice di rito per la ricognizione di persona e non per quello informale quale prova atipica.
Privo di decisività è, invece, il profilo di inutilizzabilità relativo alla quer sebbene di tale atto, per come denunziato dalla difesa, la Corte d’appello ne abbia fatto un uso non consentito per quanto si ricava a pagina 3 della motivazione ove si sottolinea che la p.o. “ha descritto abbastanza dettagliatamente gli autori della truffa, in sede di querela, id est in un frangente temporale antecedente alla stessa visione delle immagini” (v. pag. 3). Sebbene dalla querela il giudice non può trarre elementi di convincimento circa la valutazione di attendibilità della persona offesa, resta il fatto che all’individuazione dell’imputato quale autore della truffa si giunge a seguito delle dichiarazioni dibattimentali della persona offesa; peraltro, il dato costituito dall’assenza di alcuna distonia tra i primi e successivi riconoscimenti dell’imputato che sono stati operati nel corso delle indagini si coglie dalla conferma che la p.o. ha reso, al dibattimento, dell’individuazione fotografica operata dinanzi alla p.g. nel corso delle indagini.
Parimenti deve concludersi a proposito dell’ulteriore profilo di inutilizzabilità della prova testimoniale dedotto sul rilievo della violazione dell’art. 499, comma 2, cod. proc. pen., assumendosi la natura suggestiva delle domande avanzate dal pubblico ministero alla p.o. nel corso dell’esame testimoniale. Al riguardo, sebbene si tratti di tema dedotto con l’atto di appello e che non risulta essere stato affrontato dalla sentenza impugnata, va richiamato il principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive non comporta né l’inutilizzabilità, né la nullità della prova raccolta, non essendo una tale sanzione prevista dall’art. 499 cod. proc. pen., né potendo essere desunta dal disposto dell’art. 178 cod. proc. pen. (In motivazione, la Corte ha aggiunto che l’anzidetta violazione può tuttavia compromettere la genuinità della propalazione nel caso in cui abbia inciso sul
complessivo risultato probatorio in maniera da rendere il materiale raccolto globalmente inidoneo ad essere valutato; Sez. 3, n. 39482 del 02/07/2024, T., Rv. 287016 – 01). Con la conseguenza che l’omesso esame della doglianza da parte della Corte d’appello non determina alcun vizio di legittimità della sentenza impugnata, essendo inammissibile per carenza di interesse il motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263157 – 01).
Generica e priva della necessaria allegazione è, poi, l’ulteriore doglianza anche questa non esaminata dalla Corte territoriale – sollevata con riguardo alla risalenza nel tempo delle foto contenute nell’album fotografico mostrate alla p.o. rispetto all’epoca di commissione dei fatti reato contestati. Non trattandosi, infatti, di questione processuale a cui il Collegio può porre rimedio mediante la diretta consultazione degli atti, competeva alla parte darne compiuta allegazione al fine di dimostrarne la rilevanza. Peraltro, dalla lettura dei verbali delle udienze (che la difesa ha unito al ricorso) del 14/10/2019 e del 16/06/2022, in cui vennero esaminati rispettivamente la p.o. ed il teste di p.g. che aveva svolto le indagini e proceduto alla formazione dell’album fotografico, la questione non risulta essere stata eccepita dalla difesa, né avere formato oggetto di accertamento.
Valenza di merito, infine, assumono le ulteriori doglianze in quanto volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa lettura delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità.
L’esistenza di idoneo apparato argomentativo a sostegno dell’affermazione di colpevolezza, supportato dall’indicazione di continenti elementi probatori da entrambe le sentenze di merito, esclude la paventata violazione della regola del ragionevole dubbio posta dall’art. 533 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo si lamenta la mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b), c), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 157 e ss. cod. pen nonché all’art. 83, commi 4 e 9, d.l. n. 18 del 2020.
Si censura la sentenza impugnata per non avere la Corte di merito emesso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e, in particolare, per non avere riconosciuto l’insussistenza della sospensione Covid relativamente al periodo tra il 20 aprile e 1’11 maggio 2020 (pari a giorni 21) che il Tribunale aveva disposto a seguito del rinvio dell’udienza conseguente all’adozione di un
provvedimento organizzativo del capo dell’ufficio legato alla necessità di fronteggiare l’emergenza epidemiologica. Si eccepisce, altresì, l’intervenuta prescrizione nel corso del giudizio di legittimità.
Il motivo è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
Il reato, che la stessa difesa indica come consumato il 10 febbraio 2017, non era prescritto alla data della deliberazione della sentenza impugnata (31 maggio 2024), tenuto conto che il termine massimo di prescrizione del delitto di truffa è, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., di anni sette e mesi sei, maturato il 10 agosto 2024. E tanto a prescindere dal rilievo addotto con riguardo alla valenza sospensiva del rinvio dell’udienza – pari a giorni 21 – disposto nel corso del giudizio di primo grado a seguito del provvedimento del capo dell’ufficio per fronteggiare l’emergenza epidemiologica (sospensione ex art. 83, comma 9, D.L. 17/03/2020, n. 18, convertito con modificazioni nella legge 24/04/2020, n. 27, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 140 del 2021 della Corte costituzionale).
La sentenza di primo grado, poi, a pagina 3 dà espressamente conto del verificarsi, nel corso del giudizio, di altre e numerose cause legali di sospensione della prescrizione (pari ad un totale di 458 giorni; legittimo impedimento dell’imputato, dei difensori, adesione all’astensione indetta dalla camera penale di Sciacca), con cui il ricorrente omette di confrontarsi e che escludono il maturarsi della prescrizione anche in sede di legittimità. E tanto a prescindere dall’inammissibilità del ricorso proposto che, come noto, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità. (vedi Sez. 2, n. 28848 dell’8/05/2013, COGNOME, Rv. 256463; Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
Con il terzo motivo si denuncia l’apparente, contraddittorietà e illogica motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 lett. b), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen.
Il motivo è manifestamente infondato.
La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, COGNOME, Rv. 242419 -01), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferime a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, COGNOME, Rv. 249163 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, COGNOME, Rv. 271269 -01).
Nel caso in esame, si è fatto riferimento ai reiterati e consolidati precedenti penali gravi e specifici annoverati dall’imputato e alle particolari modalità concertate della condotta espressive di particolare disvalore e tanto basta ad escludere qualsiasi paventato vizio di legittimità.
Si tratta di indici pregnanti di disvalore che rendono del tutto recessivi i dati positivi, anche indimostrati (il riferimento è allo stato di difficoltà economica personale dell’imputato e alla circostanza che avrebbe sempre collaborato con l’a.g. nell’accertamento dei fatti), addotti dalla difesa a sostegno del riconoscimento degli invocati profili circostanziali.
– Alle stesse conclusioni deve giungersi con riguardo alla determinazione della pena, in quanto gli indici di disvalore indicati dalla sentenza impugnata a proposito del diniego delle circostanze attenuanti generiche sono stati apprezzati anche relativamente alla conseguente richiesta di riduzione della pena inflitta chiesta con i motivi di appello (v. sub 3 pag. 5 della sentenza impugnata), anche tenuto conto del principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui il giudice del merito, ai fini della determinazione della pena, può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesi del principio del “ne bis in idem”, in quanto legittimamente lo stesso elemento può essere rivalutato in vista di una diversa finalità. (Nella specie la Corte ha ritenuto immune da vizi la motivazione della Corte d’appello che ha fatto riferimento ai medesimi elementi indicativi della gravità del fatto per determinare la pena in misura superiore al minimo e per negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche). (Sez. 3, n. 17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 03; nello stesso senso, Sez. 2, n. 933 dell’11/10/2013, dep. 2014, Debbiche, Rv. 258011 – 01).
E tanto a prescindere pure dai profili di genericità della doglianza, in quanto il riferimento che il ricorrente opera alla “complessità del fatto” e alla “peculiari dei fatti” mal si concilia con la ricostruzione operata dalle sentenze di merito, finendo per porsi in una posizione di mero dissenso rispetto agli argomenti spesi dalla sentenza impugnata a corredo della conclusione raggiunta.
5. In conclusione, nulla aggiungendo di decisivo il contenuto della memoria
difensiva depositata il 3 gennaio 2025, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così stabilita in ragione dei profili di colpa ravvisabili nella determinazione delle cause di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Così deciso, il 16 gennaio 2025.