Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20206 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20206 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 01/01/1988
avverso la sentenza del 16/12/2024 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in esito a giudizio abbreviato, ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, emessa il 9 aprile 2024, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione ai reati di rapina impropria aggravata di un telefono cellulare e lesioni personali.
Ricorre per cassazione Ossama COGNOME, deducendo:
violazione di legge per avere il primo giudice ammesso l’imputato al rito abbreviato senza rilevare il difetto di legittimazione del difensore di fiducia che aveva proposto l’istanza, il quale non era munito di procura speciale;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità. La Corte ed il Tribunale avrebbero errato nel considerare certa l’individuazione del ricorrente come autore del fatto, conferendo maggiore attendibilità all’individuazione fotografica effettuata dalla persona offesa il giorno successivo alla rapina rispetto all’esito negativo della ricognizione formale di persona svoltasi in incidente probatorio, attribuendo ingiustificato rilievo in danno del ricorrente anche alla individuazione informale effettuata dall’agente di polizia che aveva visionato le immagini delle telecamere installate sul luogo ove si era verificato il delitto e che aveva riconosciuto il ricorrente quale autore di esso in quanto soggetto “noto all’ufficio”.
Al termine della ricognizione, effettuata a soli tre mesi dal fatto, la persona offesa aveva ritenuto di riconoscere “al 99%” altro soggetto diverso dall’imputato ed in ciò, non sarebbe stata fuorviata dal difensore dell’imputato, il quale si era limitato ad affermare, “percependo la difficoltà nella persona offesa di riconoscere l’aggressore, si è rifatto i capelli” (fg. 12 del ricorso);
violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte concesso la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, invocata con i motivi aggiunti all’atto di appello a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 13 maggio 2024;
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi in parte manifestamente infondati e, in parte generici.
Quanto al primo motivo, deve ricordarsi, in punto di diritto, che la celebrazione del giudizio di primo grado con il rito abbreviato, in assenza del consenso dell’imputato, non comparso, e di una valida procura speciale ex art. 438, comma 3, cod. proc. pen., configura una causa di nullità di ordine generale, per la riduzione delle garanzie della difesa derivanti dalla scelta del rito speciale, ma non rientra nelle ipotesi di cui all’art. 179 cod. proc. pen., sicchè la relativa eccezio deve essere formulata ai sensi dell’art. 180 cod. proc. pen. nei motivi di appello o comunque deve essere rilevata, anche d’ufficio, nel corso del giudizio di secondo grado, verificandosi altrimenti la preclusione prevista dalla disposizione citata. (Sez. 5, n. 15047 del 04/02/2019, P., Rv. 275101-01; Sez. 4, n. 34151 del 07/06/2012, COGNOME, Rv. 233516-01).
Nel caso in esame, l’eccezione non era stata formulata con i motivi di appello.
Peraltro, dall’esame degli atti risulta che l’imputato, pur presente all’udienza di celebrazione del processo in primo grado, nulla aveva eccepito (sul punto, Sez. 3, n. 1946 del 27/04/2016, dep. 2017, Salerno, Rv. 268922-01, secondo cui, è legittima l’instaurazione del giudizio abbreviato a seguito di richiesta formulata dal difensore, pur privo di procura speciale, qualora l’imputato sia presente e nulla eccepisca. In motivazione la Corte ha precisato che nell’ipotesi in questione il difensore agisce non nella qualità di procuratore di fatto ma come mero “nuncius” della volontà dell’imputato presente) Sez. 3, n. 1946 del 27/04/2016, dep. 2017, Salerno, Rv. 268922-01).
2. In ordine al secondo motivo, il ricorso non tiene conto della dettagliata motivazione offerta da entrambi i giudici di merito a giustificazione della non attendibilità della ricognizione personale effettuata dalla persona offesa, a fronte di una doppia individuazione fotografica positiva della persona dell’imputato (fgg. 3 e 4 della sentenza di primo grado), delle interferenze verbali del difensore durante l’atto di ricognizione (che avevano fuorviato la persona offesa a proposito del taglio di capelli del ricorrente rispetto al rapinatore) e della precisa descrizion del malvivente ad opera della vittima, in senso conforme all’età ed alle fattezze fisiche del ricorrente, il quale, peraltro, non aveva negato neanche di essere un frequentatore del luogo ove si era verificato il delitto.
Si deve, pertanto ritenere che la Corte ed il Tribunale abbiano adottato una statuizione priva di vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede.
3. Quanto al terzo motivo, se è vero che nei motivi aggiunti all’atto di appello il ricorrente aveva richiesto la concessione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 13 maggio 2024 – istanza che non avrebbe potuto avanzare precedentemente tenuto conto della data di deposito della sentenza di primo grado – è anche vero che la richiesta era del tutto generica con riguardo alle ragioni a sostegno di essa ed a fronte di una valutazione della Corte di appello che ha ritenuto la condotta del ricorrente connotata da particolare violenza verso la persona offesa, che aveva riportato anche lesioni personali (fg. 5 della sentenza impugnata).
Ne consegue che la richiesta non era meritevole di alcuna risposta e le statuizioni contenute in sentenza si rivelano incompatibili con la possibilità di ritenere il fatto di lieve entità.
Deve ricordarsi il principio di diritto secondo cui, il dovere di motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice del merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata (Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, Schowick, Rv. 250105).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 24/04/2025.