Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25411 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma;
NOME COGNOME – di fiducia;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il giorno 31/10/1970 rappresentato ed assistito dall’avv. nel processo penale anche contro:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il giorno 27/06/1973 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza in data 16/10/2024 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso del Procuratore generale di Roma con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata, nonché la declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato nell’interesse dell’imputato;
udito il difensore della parte civile NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso associandosi alle richieste del Procuratore generale ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese della quale ha chiesto la liquidazione; udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso formulato nell’interesse del proprio assistito ed il rigetto del ricorso del Procuratore generale; udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del Procuratore generale.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 16 ottobre 2024 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza in data 18 dicembre 2017 del Tribunale della medesima città, ha:
assolto con la formula ‘per non avere commesso il fatto’ NOME COGNOME e NOME COGNOME del reato di concorso in rapina aggravata commessa in data 8 ottobre 2013 ai danni di NOME COGNOME alla quale veniva sottratta una borsa (capo A della rubrica delle imputazioni);
-confermato l’affermazione della penale responsabilità nei confronti del solo NOME COGNOME in relazione al reato di ricettazione di un telefono cellulare IPhone provento di furto ai danni di NOME COGNOME accertato in data 16 ottobre 2013 (capo B) con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dello stesso.
Al COGNOME era stata contestata la recidiva reiterata e specifica e al COGNOME la recidiva reiterata infraquinquennale.
Ricorrono per cassazione avverso la predetta sentenza il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma (nei confronti di entrambi gli imputati) nonché il difensore dell’imputato COGNOME deducendo:
2.1. Ricorso del Procuratore generale:
2.1.1. Violazione di legge in tema di individuazione fotografica: artt. 189, 213 e 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Rileva il ricorrente che la Corte di appello avrebbe errato nello svalutare l’individuazione fotografica degli imputati avvenuta nella fase delle indagini preliminari che aveva trovato piena conferma in dibattimento attraverso l’escussione della persona offesa , ciò in quanto la portata probatoria della dichiarazione di conferma non può essere inficiata in alcun modo dal mancato rispetto delle formalità della individuazione indicate ne ll’art. 213 cod. proc. pen.
2.1.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110, 628 cod. pen. e 192, 546 e 605 cod. proc. pen.
Osserva parte ricorrente che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere l’inattendibilità della persona offesa partendo dal dato infondato della natura asseritamente suggestiva delle domande poste alla stessa dal Pubblico Ministero in sede dibattimentale.
Prosegue il ricorrente evidenziando come la Corte di appello ha:
apoditticamente affermato che il riconoscimento operato dalla persona offesa è fallace avendo la stessa affermato che il malvivente che si appropriò della sua borsa aveva il casco, mentre non era certa che anche il secondo uomo lo indossasse, essendo per contro emerso che entrambi i rapinatori indossavano un casco;
erroneamente escluso la valenza probatoria del riconoscimento effettuato dalla persona offesa sulla considerazione che quest’ultima avrebbe fornito come unico elemento per l’identificazione degli autori dell’azione delittuosa una età anagrafica degli stessi affatto rispondente al vero, ciò in quanto tale dato non è l’unico fornito dalla COGNOME la quale ha fornito anche altri elementi descrittivi dei soggetti che ebbero a consumare l’azione delittuosa;
errato nel non tenere in debito conto il fatto che i due imputati, qualche giorno dopo la consumazione del reato in contestazione sono stati fermati nei pressi di un supermercato in un atteggiamento che preludeva alla consumazione di un reato con modalità analoghe a quelle di cui è processo.
Infine, secondo parte ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe carente sotto il profilo della motivazione in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte rispetto al Tribunale.
2.2. Ricorso nell’interesse dell’imputato COGNOME:
2.2.1. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 62bis , 65, 133, 99 cod. pen. e 192, 597 e 546 cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente della dosimetria del trattamento sanzionatorio avendo la Corte di appello affermato che le circostanze attenuanti generiche sono state ritenute equivalenti alla contestata recidiva che, invece, era già stata esclusa dal Tribunale.
A ciò si aggiunge che il Tribunale aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti del reato di rapina (art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen.) reato per il quale è però intervenuta pronuncia assolutoria.
Ne consegue -prosegue la difesa del ricorrente -che la pena da irrogarsi per il reato di cui al capo B non avrebbe potuto superare la misura di anni 1 e mesi 4 di reclusione oltre alla multa, mentre la Corte di appello, in assenza di aggravanti contestate in relazione al reato per il quale è intervenuta condanna, avrebbe operato una reformatio in peius della sentenza di primo grado.
2.2.2. Violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 648 e 62 n. 4, cod. pen. e 192 e 546 cod. proc. pen.
Si duole la difesa del ricorrente dell’avvenuta affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di ricettazione , nonché del mancato riconoscimento sia della fattispecie attenuata di cui al comma 2 dell’art. 648 cod. pen., sia della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., situazione nella quale vi sarebbe una assenza di motivazione se non con riguardo al valore, peraltro non accertato, del bene di cui all’imputazione.
A ciò si aggiunge -prosegue la difesa del ricorrente -che vi sarebbe una totale carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine agli elementi oggettivo e soggettivo del reato per il quale è intervenuta la pronuncia di condanna, soprattutto in assenza di indagini sul punto.
Il Tribunale aveva, infatti, ritenuto sussistente una presunta connessione tra il reato di rapina e quello di ricettazione non tenendo conto della diversità del locus commissi delicti , sia del tempus commissi delicti .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Pubblico Ministero è fondato.
Deve, infatti, essere immediatamente evidenziato che il Tribunale, ricostruendo gli elementi probatori, aveva indicato un insieme di elementi in forza dei quali era giunto alla logica affermazione della penale responsabilità di entrambi gli imputati ed in particolare che la persona offesa:
«esaminando l’album fotografico sottopostole in visione dagli agenti, riconosceva tra le foto ivi inserite quelle degli odierni imputati che indicava ‘con certezza’ quali autori della rapina consumata ai suoi danni» (pag. 4 della sentenza di primo grado);
nel corso del dibattimento ha confermato il suddetto riconoscimento;
«vedeva da vicino il rapinatore che, infatti, pur indossando il casco, aveva il volto scoperto. Nel contatto ravvicinato che c’era tra loro NOME COGNOME aveva modo di notare gli ‘occhi di ghiaccio’ dell’uomo, molto intensi, che le rimanevano impressi» (pag. 5);
«… in precedenza aveva avuto modo di osservare anche il volto del secondo soggetto rimasto accanto al ciclomotore, a breve distanza dall’autovettura e, p er tale ragione, una volta convocata presso gli uffici di polizia per la individuazione fotografica, effettuava anche in relazione ad esso un riconoscimento fotografico in termini di certezza» (pag. 5);
«… trascorso un breve lasso temporale dai fatti, ha riconosciuto con certezza, senza alcun tentennamento, entrambi i soggetti, nelle fotografie che li ritraggono, inserite all’interno di un album fotografico contenente le foto -segnaletiche di altri individui con tratti somatici molto simili a quelli degli odierni imputati» (pag. 6);
«… tale riconoscimento appare affidabile, non solo perché presenta carattere di certezza, ma perché risulta ancorato non a mere rappresentazioni o sensazioni del dichiarante, ma ad elementi oggettivi quali le caratteristiche somatiche degli imputati, la cui focalizzazione da parte dell’offesa traeva origine da uno stretto contatto visivo della predetta con gli autori della rapina …» (pag. 6).
A ciò si aggiungono altri due elementi sempre evidenziati dal Tribunale ed altresì sottolineati dal Procuratore generale ricorrente, e precisamente:
il fatto che la persona offesa ha indicato altre caratteristiche somatiche dei rapinatori e che i Giudici di primo grado hanno indicato come le stesse coincidono con gli elementi risultanti dai cartellini fotosegnalatici degli imputati;
il fatto che gli imputati, insieme tra loro, sono stati sorpresi «in un atteggiamento che preludeva alla commissione di altri analoghi fatti delittuosi», circostanza che «attribuisce maggior forza al suddetto riconoscimento congiunto operato dalla parte lesa» (sempre pag. 6 della sentenza del Tribunale).
Osserva l’odierno Collegio che, a fronte di una siffatta serie di elementi e considerazioni logiche indicati dal Tribunale, la Corte di appello ha ribaltato la sentenza di condanna degli imputati per il reato di rapina sulla base di due sole considerazioni relative al dato testimoniale:
il fatto che alla persona offesa sarebbe stata fatta una domanda suggestiva -che tale non appare essere -relativa alla circostanza se i due rapinatori indossassero un casco;
il fatto che, pur avendo la persona offesa confermato di avere riconosciuto fotograficamente con certezza gli autori dell’azione delittuosa, la stessa non aveva tuttavia fornito alcuna previa descrizione somatica degli stessi eccetto che con riguardo al l’età.
Non sfugge che la sentenza della Corte di appello presenta evidenti carenze di motivazione nella valutazione della portata della testimonianza della persona offesa in quanto non indica alcuna ragione per la quale l’individuazione fotografica
che la COGNOME ha reiteratamente affermato di avere operato ‘con certezza’ non sarebbe attendibile.
A ciò si aggiunge che la Corte di appello, al fine di scardinare l’impianto accusatorio, non risulta avere preso in considerazione gli altri elementi sopra evidenziati dal Tribunale.
Se infatti è ben vero che il giudice d’appello, in caso di riforma in senso assolutorio della sentenza di condanna di primo grado, non è tenuto, come nel caso di sovvertimento di una sentenza assolutoria, a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, tuttavia questa Corte ha chiarito che lo stesso deve comunque svolgere una critica argomentata che abbia una rigorosa forza persuasiva, elemento che difetta nel caso in esame e la cui mancanza si traduce in vizio di motivazione per contraddittorietà e illogicità (v., in tal senso, Sez. 5, n. 7815 del 08/01/2025, N., Rv. 287634 -01).
A ciò si aggiunge che la Corte di appello nella sentenza impugnata risulta avere di fatto ritenuta viziata l’individuazione fotografica operata dalla persona offesa (al punto da indebolirne l’attendibilità) solo perché non risulta che la stessa sia stata preceduta dalla descrizione delle persone da eventualmente individuare, trascurando il principio enunciato da questa Corte di legittimità secondo il quale «L’individuazione fotografica non deve essere necessariamente preceduta, ai fini della sua validità, dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona» (Sez. 4, n. 7287 del 09/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280598 -02; conformi, Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, Panarese, Rv. 263302 -01; Sez. 1, n. 47937 del 09/11/2012, Palumbo, Rv. 253885 -01).
Del resto, ferma restando la piena validità dell’individuazione fotografica operata, non è dato comprendere dalla lettura della sentenza di appello come la mancata previa descrizione delle persone da individuare possa avere inciso sulla valutazione di attendibilità di quanto dichiarato dalla persona offesa che -lo si ribadisce -ha affermato di avere riconosciuto ‘con certezza’ gli autori dell’azione delittuosa ai suoi danni.
Quanto detto impone l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato di rapina di cui al capo A della rubrica delle imputazioni con riguardo ad entrambi gli imputati e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo giudizio sul punto.
Rileva, poi, l’odierno Collegio che il primo motivo di ricorso formulato dalla difesa dell’imputato COGNOME con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio è fondato.
E’ , infatti, indubbio che il contenuto della sentenza del Tribunale presenta una evidente contraddizione tra la parte motiva ed il dispositivo.
Infatti, a pag. 8 della propria sentenza il Tribunale, dopo avere iniziato a trattare la posizione dell’imputato COGNOME così si esprime: «si ritiene di poter escludere la recidiva in quanto la reiterazione degli illeciti, avuto riguardo all’epoca risalente dei precedenti penali, non appare indice di una accentuata pericolosità del soggetto. In relazione al COGNOME si stima invece equo irrogare la pena …».
Alla luce di tale dicitura sembrerebbe che la circostanza aggravante della recidiva -che, va ricordato, era stata contestata ad entrambi gli imputati -sia stata esclusa al COGNOME ma non al COGNOME per il quale non si fa alcuna menzione al riguardo.
Tuttavia, nel dispositivo della sentenza del Tribunale ed in contrasto con la parte motiva è dato leggere testualmente: «visti gli artt. 533, 535 cod. proc. pen. dichiara COGNOME NOME e COGNOME NOME, colpevoli dei reati loro rispettivamente attribuiti, esclusa, per COGNOME, la recidiva e riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate, riuniti i fatti, per COGNOME, per continuazione, condanna …».
La sentenza della Corte di appello si limita (pag. 2) a riportare il solo dispositivo della sentenza di primo grado e quindi appare dare per scontato che l’esclusione della recidiva riguarda il COGNOME e non il COGNOME tanto è vero che nella parte motiva riguardante la determinazione del trattamento sanzionatorio relativo al reato di cui all’art. 648 cod. pen. non menziona più la recidiva e così si esprime: «… lo stesso va condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 516,00 ovvero il minimo edi ttale previsto per il delitto di cui all’art. 648, comma 1, cod. pen. …». Nel dispositivo, poi, così si esprime: «Ridetermina la pena nei confronti del COGNOME, in ordine al residuo reato, con le già concesse attenuanti generiche equivalenti alla ritenuta recidiva, in …».
In sostanza, la Corte di appello non risulta avere chiarito con idonea motivazione la rilevante questione relativa all ‘ applicazione della recidiva nei confronti del COGNOME che il Tribunale aveva affrontato in modo contraddittorio.
Quanto osservato impone l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti dell’imputato COGNOME anche con riguardo al reato di ricettazione di cui al capo B della rubrica delle imputazioni limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo giudizio sul punto.
Il secondo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME risulta assorbito dall’annullamento di cui al punto che precede in quanto involge in
generale il trattamento sanzionatorio nei confronti dell’imputato sul quale incide l’eventuale sussistenza (o meno) della recidiva.
Per solo dovere di completezza deve peraltro ricordarsi che la Corte di appello ha dato correttamente atto che nessun motivo di impugnazione è stato formulato in ordine alla configurabilità del reato di ricettazione di cui al capo B con la conseguenza che la difesa del ricorrente non può dolersi del fatto che la Corte territoriale non abbia motivato in ordine alla sussistenza del reato di ricettazione di cui al capo B della rubrica delle imputazioni, peraltro ritenuta tale dal Tribunale con motivazione adeguata e corrispondente ai principi di diritto che regolano la materia e che altrettanto è a dirsi con riguardo alle circostanze attenuanti di cui all’art. 648, quarto comma e 61 n. 4 cod. pen. il riconoscimento delle quali non risulta invocato in sede di appello.
La richiesta liquidazione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile non può allo stato essere accolta stante l’intervenuto annullamento della sentenza impugnata relativamente al capo A della rubrica delle imputazioni che vede come persona offesa la signora NOME COGNOME e deve, pertanto, essere rimandata alla definitiva conclusione del procedimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di COGNOME NOME in relazione al reato di rapina aggravata di cui al capo a) e nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di ricettazione di cui al capo b) limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sui punti ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Spese della parte civile Arsene Steluta rimesse al definitivo.
Così deciso il giorno 1 luglio 2025.