Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7980 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7980 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN SEVERO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/10/2022 della CORTE APPELLO di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n. 137/20 s.m.i.
RITENUTO IN FATTO
NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 5/10/2022 che, in riforma della sentenza assolutoria del Tribunale di Firenze (del 3/01/2014), su appello del Pubblico ministero, ha condannato l’imputato in ordine ai reati di porto ingiustificato di arma impropria, così riqualificato il delitto di cui al capo B) della rubrica, nonché di rapi pluriaggravata, con le attenuanti generiche equivalenti e la diminuente per la scelta del rito abbreviato.
1.1. Con il primo motivo, la difesa deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 189, 192 cod. proc. pen. e 6 Convenzione EDU., nonché il vizio di motivazione. Si lamenta che la Corte territoriale – in violazione dei principi affermati dalla Corte EDU in materia – abbia proceduto alla riforma della sentenza assolutoria di primo grado arrestandosi ad una semplice lettura dei verbali delle prove dichiarative; invero, pur essendosi sentita in sede di rinnovazione della prova la persona offesa, non si era proceduto né ad una nuova individuazione dell’imputato come autore della rapina, né ad una ricognizione fotografica posto che la prova decisiva su cui si fondava l’appello del pubblico ministero fosse l’individuazione fotografica compiuta dalla parte lesa dinanzi alle forze dell’ordine un mese dopo il verificarsi dei fatti.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 189, 192 cod. proc. pen. e 6 Convenzione EDU., nonché il vizio di motivazione, con riferimento al giudizio di attendibilità dell’individuazione fotografica posta fondamento della pronuncia di condanna. Si lamenta, altresì, l’assenza di riscontri esterni all’individuazione operata e la presenza di numerose incongruenze che hanno caratterizzato l’espletamento dell’atto.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, con requisitoria del 27/12/2023, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, infatti, che la Corte di merito, in osservanza dei principi consolidati dettati dalla Corte Edu e dalle Sezioni Unite Patalano (n. 18620 del 19/01/2017, Rv. 269785 – 01), ha proceduto a rinnovare la prova dichiarativa decisiva, mediante l’esame della persona offesa, nel corso del quale sono stati puntualmente approfonditi tutti gli aspetti relativi alle modalit
del riconoscimento fotografico dell’imputato avvenuto dapprima consultando il relativo profilo sul social network Facebook, e, poi, successivamente operato dinanzi ai verbalizzanti con riguardo all’effige rappresentativa dell’imputato per come ricavata dalla p.g. da altro profilo privato e tra le più persone somiglianti a seguito di individuazione di album fotografico appositamente collazionato.
Peraltro, posto che l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, tanto che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 2, n. 3382 del 1997; 16902/2004), nessun ulteriore adempimento istruttorio rispetto all’esame del dichiarante era dovuto dalla Corte di merito.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, infatti, risulta corredata da congrua motivazione in punto di piena affidabilità del riconoscimento operato dell’imputato, quale autore della rapina, per come ripetutamente effettuato dalla persona offesa, essendosi al riguardo puntualmente indicati, per un verso, gli elementi di fatto che ne denotano genuinità e precisione, con esclusione, quindi, di qualsiasi paventata suggestione e, per altro, gli elementi che consentono di escludere l’esistenza di discrepanze e divergenze nell’atteggiamento della vittima che ha condotto successivamente al riconoscimento, nell’ambito anche di un richiamo di dati individualizzanti che confortano l’operata individuazione (vedi pagg. 3, 4 e 6).
L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude, in conformità all’orientamento consolidato di legittimità, la possibilità di rilevare d’ufficio, ai s degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione per prescrizione della contravvenzione di cui all’art. 4 I. n. 110/1975 maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso. (In motivazione la Corte ha precisato che l’art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione).(Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818 01).
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25/01/2024