Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35875 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35875 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a BRANCALEONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per l’imputata, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 novembre 2023 dalla Corte di appello di Reggio Calabria, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza del Tribunale di Locri che aveva riconosciuto la penale responsabilità di COGNOME NOME per il reato di furto in abitazione, commesso in danno di NOME NOME.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputata – in concorso con COGNOME NOME e altre persone non identificate – si sarebbe resa responsabile del furto di svariati monili, sottratti alla persona offesa, che li custodiva all’interno di un armadio della camera da letto della propria abitazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un unico motivo, deduce il vizio di motivazione e la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
La ricorrente rappresenta che il giudizio di responsabilità si basa esclusivamente sulla testimonianza resa dal figlio della persona offesa, COGNOME NOME, che, durante le indagini, aveva anche riconosciuto, nella fotografia dell’imputata, la raffigurazione del volto di una delle persone che aveva commesso il furto.
Il teste, in particolare, aveva riferito che: aveva visto COGNOME NOME uscire dall’abitazione all’interno della quale era stato perpetrato il furto; la don aveva raggiunto un’auto, condotta dalla COGNOME, all’interno della quale si trovavano anche altre due persone; gli autori del reato, poi, si erano dati alla fuga, allontanandosi repentinamente dal luogo del delitto, a bordo della vettura.
Tanto premesso, la ricorrente contesta la testimonianza del NOME e l’attendibilità del riconoscimento fotografico da lui effettuato.
In primo luogo, rappresenta che, in dibattimento, il teste inizialmente aveva riferito che la donna alla guida dell’auto aveva circa 45 anni e i capelli biondi e che, solo a contestazione della difesa, il teste aveva confermato le precedenti dichiarazioni: ossia che la donna aveva circa 35 anni e aveva i capelli chiari.
Al riguardo, il ricorrente evidenzia che l’imputata al momento della commissione del reato aveva già 49 anni e non aveva i capelli biondi.
La ricorrente sostiene che il teste non avrebbe potuto avere una chiara percezione del viso della donna che era al volante dell’auto, atteso che: il fatto era accaduto quando era già buio; i rei si erano repentinamente allontanati dal luogo del delitto.
In considerazione di tali elementi, la ricorrente sostiene che la Corte di appello sarebbe caduta in un vero e proprio travisamento di prova, nel ritenere che il teste avesse individuato «senza ombra di dubbio» l’imputata.
Sotto altro profilo, evidenzia che: l’autovettura che era stata utilizzata per il furto era stata ritrovata dai Carabinieri; tale veicolo non risultava mai appartenuto all’imputata.
La ricorrente, infine, contesta il riconoscimento fotografico effettuato dal test durante le indagini preliminari, evidenziando che: non era stato possibile stabilir quando la fotografia dell’imputata fosse stata inserita nell’album sottoposto al teste; non era stato acquisito al fascicolo del dibattimento il verbale relativo riconoscimento fotografico; non era stato possibile ripetere il riconoscimento in dibattimento, in quanto il COGNOME aveva apposto la propria firma sulle foto utilizzate durante le indagini preliminari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. L’unico motivo di ricorso è inammissibile.
Esso, invero, è completamente versato in fatto, avendo il ricorrente articolato censure che sono all’evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di appello (Sez. U, n. 6402 d 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME). Egli, in realtà, non deduce alcun effettivo travisamento della prova o una manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma offre al giudice di legittimità elementi frammentari che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti. Al riguardo, deve essere ribadito che esula «dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME).
Deve essere completamente escluso il dedotto travisamento della prova.
Il vizio di “travisamento della prova” (o di contraddittorietà processuale come lo qualifica la dottrina più attenta) chiama in causa, in linea generale, le ipotes infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio.
Tre sono le figure di patologia della motivazione riconducibili al vizio in esame: la mancata valutazione di una prova decisiva (travisamento per omissione); l’utilizzazione di una prova sulla base di un’erronea ricostruzione del relativo “significante” (cd. travisamento delle risultanze probatorie); l’utilizzazione di una prova non acquisita al processo (cd. travisamento per invenzione).
I questi casi non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano.
Invero il vizio di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, COGNOME, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, COGNOME, Rv. 234605). L’elemento travisato deve assumere portata decisiva.
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non ha dedotto che gli elementi di prova sulla base dei quali i giudici di merito avevano fondato la loro decisione non sussistessero, ma ha chiesto una loro rivalutazione. Egli, infatti, non ha posto in discussione il fatto che il teste avesse riconosciuto l’imputata, ma contesta la valutazione di attendibilità del riconoscimento e più in generale delle dichiarazion rese dal COGNOME.
Va poi evidenziato che la circostanza che non era stato possibile ripetere il riconoscimento in dibattimento non assume rilievo determinante, atteso che, per il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile e idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, atteso che la sua “forza probatoria” discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale (Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, COGNOME, Rv. 275585; Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270181).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2024
Il Consigliere estensore
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