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Riconoscimento fotografico: prova valida anche senza video

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto in abitazione. La sentenza conferma che il riconoscimento fotografico effettuato dalle forze dell’ordine, basato sulla loro pregressa conoscenza del soggetto, costituisce una prova sufficiente anche in assenza dei filmati originali delle telecamere. Inoltre, la Corte ha chiarito l’inefficacia di una remissione di querela presentata senza rispettare le formalità di legge e per un reato procedibile d’ufficio.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento fotografico: quando è prova sufficiente per una condanna?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di prove penali: il riconoscimento fotografico effettuato dalle forze dell’ordine può costituire un elemento di prova decisivo, anche quando i filmati originali da cui è tratto non sono più disponibili. Questa pronuncia offre spunti cruciali sulla valutazione della prova e sui limiti dei ricorsi in Cassazione.

I fatti del processo: dal furto in abitazione al ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una condanna per furto aggravato e furto in abitazione aggravato. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando di non doversi procedere per il furto aggravato a causa della mancanza di querela, ma confermando la condanna per il furto in abitazione, ricalcolando la pena.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le prove a suo carico fossero insufficienti. La difesa ha evidenziato come l’unica prova fosse la testimonianza di un agente di polizia giudiziaria che lo aveva identificato visionando i filmati di una telecamera di sicurezza, filmati che erano andati perduti. Secondo il ricorrente, tale elemento, a distanza di anni dai fatti, non poteva essere considerato una prova certa di colpevolezza.

L’analisi della Corte: perché il riconoscimento fotografico è valido?

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non in grado di scalfire la logicità della motivazione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno affrontato due questioni centrali.

L’inefficacia della remissione di querela

Prima di analizzare il merito del ricorso, la Corte ha esaminato una remissione di querela presentata dalla parte offesa. L’atto è stato giudicato inefficace per due motivi:

1. Vizi di forma: La remissione non era stata formalizzata secondo le rigide procedure previste dal codice di procedura penale (artt. 339 e 340 c.p.p.), che richiedono una dichiarazione resa a un pubblico ufficiale (come un ufficiale di polizia giudiziaria o un notaio) o tramite un procuratore speciale.
2. Vizi di sostanza: Anche se formalmente corretta, la remissione sarebbe stata comunque inutile. Il reato per cui era intervenuta la condanna, il furto in abitazione (art. 624-bis c.p.), è perseguibile d’ufficio. Ciò significa che l’azione penale prosegue indipendentemente dalla volontà della persona offesa, anche dopo la Riforma Cartabia.

La piena affidabilità del riconoscimento fotografico

Il cuore della decisione riguarda la validità del riconoscimento fotografico. La Cassazione ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui l’identificazione di un imputato, effettuata da un agente di polizia giudiziaria che lo conosceva già per precedenti, rappresenta un indizio grave, preciso e concordante.

La Corte ha sottolineato che la testimonianza dell’operante che ha effettuato il riconoscimento è una prova a tutti gli effetti. La sua attendibilità non deriva dal mero atto di riconoscimento, ma dalla deposizione resa in giudizio, durante la quale l’agente conferma, sotto giuramento, di essere certo dell’identità della persona ripresa nel filmato.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello logica, congrua e giuridicamente corretta. I giudici di merito avevano correttamente spiegato che la distruzione dei fotogrammi era irrilevante, poiché la prova si fondava sulla testimonianza qualificata degli agenti. Essi avevano una conoscenza personale pregressa dell’imputato, il che rendeva il loro riconoscimento pienamente affidabile. Il ricorso dell’imputato, invece, si limitava a riproporre le stesse censure già respinte in appello, senza formulare una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, risultando così generico e aspecifico.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza consolida alcuni punti fermi nel processo penale:
1. Valore probatorio del riconoscimento: L’identificazione fatta da agenti di P.G. che conoscono l’indagato è una prova solida, anche se il supporto video originale viene meno. La prova cruciale diventa la loro testimonianza in tribunale.
2. Formalismo della remissione di querela: Per essere valida, la remissione di querela deve seguire scrupolosamente le forme previste dalla legge. In assenza di tali formalità, l’atto è privo di effetti.
3. Limiti del ricorso in Cassazione: Non è possibile utilizzare il ricorso in Cassazione per chiedere una nuova valutazione delle prove già esaminate dai giudici di merito. Il ricorso deve evidenziare vizi di legittimità (violazione di legge o motivazione illogica), non può essere una semplice riproposizione delle proprie tesi difensive.

Il riconoscimento fotografico fatto dalla polizia è una prova valida se il video originale non c’è più?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il riconoscimento effettuato da personale di polizia giudiziaria che ha una pregressa conoscenza personale dell’imputato ha valore di indizio grave e preciso. La prova non è il video in sé, ma la testimonianza dell’agente che conferma l’identificazione in giudizio.

La remissione della querela è sempre efficace per estinguere un reato?
No. È efficace solo per i reati perseguibili a querela della persona offesa. Per i reati procedibili d’ufficio, come il furto in abitazione, la remissione è ininfluente e il processo prosegue. Inoltre, deve essere fatta rispettando le forme previste dalla legge, altrimenti è invalida.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando è generico, aspecifico, o si limita a riproporre questioni di merito già valutate nei gradi precedenti senza evidenziare una reale violazione di legge o un vizio logico nella motivazione della sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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