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Riconoscimento fotografico: prova valida anche con video?

Un imputato, condannato per furto aggravato, ha contestato in Cassazione la validità del suo riconoscimento a causa della pessima qualità delle immagini di videosorveglianza. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che il riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia giudiziaria è una prova atipica. La sua validità non dipende dalla qualità del video, ma dalla credibilità e certezza espresse nella testimonianza dell’agente che ha eseguito l’identificazione. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento Fotografico da Video: Quando è una Prova Valida?

Il riconoscimento fotografico di un sospettato da parte delle forze dell’ordine è un tema cruciale nel processo penale, specialmente nell’era della videosorveglianza diffusa. Ma cosa succede se le immagini sono di bassa qualità? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce la piena validità di tale prova, ancorandola non alla nitidezza del video, ma alla credibilità della testimonianza dell’agente che ha effettuato l’identificazione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato, condannato in primo e secondo grado per il reato di furto aggravato. La difesa ha basato il proprio ricorso per Cassazione su un unico motivo: la mancanza di motivazione della sentenza d’appello riguardo alla pessima qualità delle immagini registrate dalle telecamere di sorveglianza. Secondo il ricorrente, tale scarsa qualità avrebbe reso impossibile e quindi inattendibile il riconoscimento fotografico effettuato dalla Polizia Giudiziaria.

La Decisione della Corte e il Valore del Riconoscimento Fotografico

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: l’individuazione fotografica di un soggetto da parte della polizia giudiziaria costituisce una ‘prova atipica’. Questo significa che la sua efficacia probatoria non deriva dal semplice atto del riconoscimento in sé, ma da un altro elemento fondamentale: la deposizione resa in dibattimento dall’operatore di polizia che ha visionato le immagini e si è detto certo della sua identificazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha spiegato che il fulcro della prova non è il fotogramma o il video, ma la testimonianza dell’agente. È la credibilità di quest’ultimo, valutata dal giudice durante il processo, a conferire valore probatorio all’identificazione. Se l’agente, esaminato in aula, conferma con certezza di aver riconosciuto l’imputato, tale dichiarazione diventa una prova a tutti gli effetti, sulla quale il giudice può fondare il proprio convincimento.

Citando numerosi precedenti conformi, la Cassazione ha sottolineato che non vi è alcun obbligo per il giudice di procedere all’esame diretto dei fotogrammi o dei video. La difesa dell’imputato, infatti, aveva sostenuto che il giudice avrebbe dovuto visionare personalmente le immagini per valutarne la qualità. La Corte ha rigettato questa argomentazione, chiarendo che la prova si forma attraverso la testimonianza dell’operatore che ha materialmente eseguito il riconoscimento. Di conseguenza, l’eccezione difensiva è stata ritenuta infondata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La decisione ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce che la contestazione sulla bassa qualità di un video di sorveglianza non è, di per sé, sufficiente a invalidare un’accusa basata sul riconoscimento fotografico. La strategia difensiva, in questi casi, deve concentrarsi non tanto sulla critica tecnica delle immagini, quanto sul minare la credibilità e la certezza della testimonianza dell’agente che ha effettuato l’identificazione.

In definitiva, la sentenza rafforza il valore probatorio della testimonianza della Polizia Giudiziaria, confermando che l’affidabilità di un operatore esperto può superare i limiti tecnici di un filmato. Per l’ordinamento, ciò che conta è la certezza dell’identificazione espressa da chi l’ha compiuta, una volta che questa sia stata sottoposta al vaglio del contraddittorio processuale.

Un’identificazione basata su video di sorveglianza di bassa qualità è una prova valida in un processo?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è una ‘prova atipica’ pienamente valida. La sua efficacia non dipende dalla qualità tecnica delle immagini, ma dalla testimonianza dell’agente che ha effettuato il riconoscimento.

Cosa determina l’affidabilità di un riconoscimento fotografico effettuato dalla polizia?
L’affidabilità deriva dalla credibilità della deposizione dell’operatore di polizia che, dopo aver visionato le immagini, si dichiara certo dell’identificazione dell’imputato. È questa testimonianza che costituisce la prova.

Il giudice è obbligato a visionare direttamente i filmati della sorveglianza se la difesa ne contesta la qualità?
No, la sentenza chiarisce che il giudice non ha l’obbligo di esaminare direttamente i fotogrammi, poiché la prova si fonda sulla testimonianza dell’operatore che ha proceduto all’identificazione, la quale è soggetta al vaglio dibattimentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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