Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17434 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17434 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 08/08/1987
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto udito il difensore E’ presente l’avvocato COGNOME del foro di MILANO in difesa di: NOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 20 settembre 2024, ha assolto NOME COGNOME dal reato ascrittogli nel capo C), confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Milano del 17 febbraio 2022, che lo aveva dichiarato colpevole dei reati di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 73 D.P.R 309/90, rideterminando la pena inflitta in anni 8, mesi 9 di reclusione ed euro 39.500,00 di multa.
All’imputato era stato contestato di aver illecitamente ceduto, in concorso con altro soggetto, con più azioni esecutive dello stesso disegno criminoso ed in più occasioni, sostanza stupefacente del tipo metamfetamina cloridrato a Moron Delgado José Gregorio.
Con l’atto di appello si contestava l’ordinanza con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato l’eccezione difensiva di nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e di tutti gli atti successivi per l’omesso tempestivo deposito da parte del PM dell’annotazione di PG, acquisita dal Tribunale ec art. 430 cod. proc. pen. ma già disponibile per il PM, non trattandosi di atto integrativo di indagine; si censurava la sentenza in punto di ritenuta acquisita prova dell’identificazione del ricorrente quale concorrente nel reato contestato; infine, si chiedeva la riqualificazione del fatto nella meno grave ipotesi di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90 ed una rimodulazione del trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale, innanzitutto, ha escluso la nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e del conseguente decreto di rinvio a giudizio e l’inutilizzabilità degli atti confluiti nel fascicolo, considerato che il PM aveva correttamente attivato il meccanismo di cui all’art. 430 cod. proc. pen. e ritenendo, inoltre, intempestiva la relativa eccezione difensiva nonché insussistente il lamentato pregiudizio del diritto di difesa. I Giudici del merito hanno inoltre sottolineato che la testimonianza dell’agente di NOME COGNOME anche in assenza del supporto fotografico contenuto nell’atto acquisito ex art. 430 cod. proc. pen., era pienamente sufficiente a provare la responsabilità del ricorrente quale interlocutore di NOME COGNOME in relazione alle cessioni di stupefacente. Infine, la Corte ha respinto le doglianze riguardanti la esclusione della recidiva, la configurabilità della ipotesi lieve, la concessione delle attenuanti generiche e ha ridotto la pena in considerazione dell’assoluzione dal reato contestato al capo C) della rubrica.
Ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, lamentando, con un primo motivo, inosservanza delle norme processuali e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. per aver la Corte territoriale rigettato l’eccezione difensiva di nullità dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e della successiva richiesta di rinvio a giudizio per l’omesso tempestivo inserimento nel fascicolo degli atti delle indagini preliminari, da parte del PM, di un’annotazione di PG già nella disponibilità dell’organo requirente prima dell’emissione di tale avviso, ma depositata ex art. 430 c.p.p. e poi acquisita al dibattimento. Tale atto, peraltro, risultava essere decisivo ai fini dell’identificazione dell’imputato, ragion per cui la sua tardiva conoscenza aveva determinato una grave lesione delle facoltà difensive. La difesa sostiene, poi, l’impossibilità di configurare a suo carico un onere di eccezione preventiva rispetto alle potenziali richieste istruttorie di controparte.
3.1. Con un secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata valutazione da parte della Corte territoriale delle censure contenute nell’atto di appello circa l’identificazione dell’imputato quale responsabile delle cessioni illecite in favore di NOME COGNOME, avendo la sentenza impugnata operato un mero rinvio a quella di primo grado.
3.2. Con gli ultimi due motivi di ricorso, la difesa ripropone le censure relative alla mancata riqualificazione dei fatti nell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, co. 5, D.P.R. 309/90 e all’eccessività del trattamento sanzionatorio, trattandosi di cessioni di quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente in favore di un singolo acquirente che acquistava per uso personale all’interno di un arco temporale limitato, in assenza di prove circa la presunta organizzazione dell’attività di spaccio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato, essendo corretto il percorso motivazionale inerente alla riconosciuta configurabilità della cd prova di resistenza.La Corte territoriale valorizza in proposito la deposizione dell’agente operante, che ha diffusamente confermato di aver riconosciuto l’imputato in quanto attinto da precedenti indagini, esaminando le foto postate in un profilo Facebook cui era associato un diverso nick name, e dal quale, mediante l’applicativo messanger, venivano scambiati i messaggi con
l’assuntore della droga NOME COGNOME. Dette dichiarazioni costituiscono prova idonea anche senza il materiale supporto delle immagini riprodotte nella annotazione di servizio. E’ invero principio consolidato che l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria costituisce una prova atipica la cui affidabilità non deriva dal riconoscimento in sé, ma dalla credibilità della deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia si dica certo della sua identificazione (Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017 Ud. (dep. 13/10/2017 ) Rv. 271041 – 01; Sez. 6, n. 49758 del 27/11/2012, Aleksov, Rv. 253910 – 01; Sez. F – n. 37012 del 29/08/2019 Ud. (dep. 04/09/2019) Rv. 277635). Si è osservato che rientra nell’alveo dell’art. 189 il riconoscimento informale operato dalla polizia giudiziaria sulla base di una fotografia dell’indagato, atteso che l’individuazione fotografica di un soggetto effettuata dalla polizia giudiziaria costituisce una prova atipica la cui affidabilità deriva dalla credibilità della dichiarazione di chi, avendo esaminato la fotografia, affermi di poter riconoscere con certezza chi vi è riprodotto (Sez. V, 20.4.2018, n. 17923, in motivazione). Ne discende, dunque, che il giudice di merito può trarre il proprio convincimento da tutti gli elementi di prova e, quindi, anche dalle ricognizioni non formali. Pertanto, nell’ambito dei suoi poteri discrezionali in tema di valutazione delle prove, il predetto giudice può attribuire concreto valore probatorio alla identificazione dell’autore del reato avvenuta mediante riconoscimento fotografico da parte di un agente di polizia. E, da ultimo, questa Corte ha precisato che il riconoscimento dell’imputato effettuato da un operatore di polizia giudiziaria mediante la visione delle immagini riprese da telecamere di sicurezza costituisce prova atipica sulla quale è ammissibile la testimonianza dell’operatore che vi ha direttamente proceduto (Sez. 2, n. 41375 del 05/07/2023 Ud. (dep. 11/10/2023 ) Rv. 285160-01: in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto non fondata l’eccezione difensiva a mente della quale il giudice avrebbe dovuto procedere all’esame diretto dei fotogrammi).
Il secondo motivo, con il quale si denuncia mancanza di motivazione in ordine alle censure, contenute nell’atto di appello, inerenti alla identificazione del soggetto corrispondente al profilo FB quale mandante delle cessioni di stupefacente a Moreno Delgado, è inammissibile. Sul punto, il ricorrente lamenta la insufficienza del mero richiamo per relationem alla sentenza di primo grado. Il motivo è del tutto generico,
poichè non indica quali sono gli elementi che renderebbero inerte la prova di resistenza come ritenuta dai giudici di merito. Ciò vieppiù se si considera che la Corte d’ appello afferma – con argomentare nemmeno cesurato nel ricorso – che il ricorrente non ha mai contestato che colui che era ritratto su Facebook fosse proprio il soggetto da cui partiva l’ordine delle forniture dello stupefacente.
Quanto alla qualificazione del fatto contestato nella fattispecie di cui all’art. 73, comma 1, DPR 309/1990, la sentenza impugnata svolge argomentazioni coerenti con l’indirizzo della consolidata giurisprudenza di questa Corte GLYPH (vedasi fra tutte Sez. U – , n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 – 01), secondo cui l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione, sia quelli concernenti GLYPH l’azione GLYPH (mezzi, modalità e circostanze GLYPH della stessa), GLYPH sia quelli che attengono all’oggetto GLYPH materiale del GLYPH reato GLYPH (quantità GLYPH e qualità GLYPH delle sostanze stupefacenti). I giudici di merito hanno reso esaustiva motivazione in cui risulta valutato non solo il significativo numero di cessioni effettuate in un breve periodo di tempo, ma anche elementi da cui desumere l’ allarmante inserimento in un contesto criminale, ossia il fatto che lo spaccio si svolgeva con modalità professionali e con precisa suddivisione dei ruoli, ove l’odierno imputato era in posizione sovraordinata rispetto a chi materialmente eseguiva la consegna. Si tratta di oggettive modalità dell’azione che, in coerenza con l’indirizzo giurisprudenziale sopra riportato, hanno condotto la Corte territoriale, con motivazione congrua e non illogica, a ritenere insussistente l’ipotesi lieve, dovendosi escludere la ridotta offensività del fatto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il quarto motivo, con il quale che si lamenta che, in conseguenza della assoluzione per il reato di cui al capo C), la pena inflitta avrebbe dovuto essere più lieve rispetto a quella concretamente irrogata, è inammissibile. La doglianza si basa sull’erronea individuazione del reato più grave : secondo la prospettazione del ricorrente, i giudici di merito avrebbero dovuto considerare quale reato più grave proprio quello di cui al capo C), e su questo applicare gli aumenti GLYPH in continuazione. L’assoluzione dal reato sub C) avrebbe dovuto comportare, quale conseguenza, la fissazione di una pena più contenuta, ed un complessivo ricalcolo del trattamento sanzionatorio. I giudici di merito, invece, si erano limitati alla mera riduzione dei sei mesi di reclusione ed €1.500,00 di multa applicati dal primo giudice ex art. 81 cpv, operando un procedimento di mera
sottrazione dell’aumento applicato per il reato di cui al capo C), poichè era stato considerato quale 4:iùate reato più grave il più lieve episodio d
cessione contestato al capo A). Sul punto, è agevole rilevare che la questione attinente alla erronea individuazione del reato più grave non
risulta essere stata prospettata come motivo di appello, e, conseguentemente, non può essere proposta nella presente sede di
legittimità ( ex multis, Sez. n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese,
Rv. 269745 – 01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316
– 01; Sez. 3 – , n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903 – 01).
5. Alla luce di quanto esposto si impone il rigetto del ricorso. Segue per legg la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 25 marzo 2025