Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5938 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5938 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2022 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, il quale, riportandosi alla requisitoria già depositata, ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO, il quale ha esposto i motivi di gravame e insistito per l’accoglimento del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO, che ha illustra gli argomenti a sostegno della richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Ritenuto in fatto
1. È oggetto di ricorso la sentenza del 26 ottobre 2022 con cui la Corte d’appello di Reggio Calabria, pronunciandosi a seguito di annullamento con rinvio disposto dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, con sentenza n. 40722 emessa in data 8 giugno 2018, salvo rideterminare il trattamento sanzionatorio, per effetto dell’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen., ha confermato l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il concorso nei delitti di tentato omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo a), lesioni personali, giudicate guaribili in giorni trenta, ai danni di NOME COGNOME (capo d), illegale detenzione (capo b) e illegale porto d’armi (capo c).
Secondo la prospettazione accusatoria, l’imputato, a bordo di uno scooter insieme ad NOME COGNOME, giudicato separatamente, avrebbe esploso undici colpi di arma da fuoco contro NOME COGNOME e NOME COGNOME, dapprima sparando all’interno dell’esercizio commerciale gestito da NOME COGNOME, in cui si trovavano le vittime, di poi inseguendo NOME COGNOME sino a una vicina area di servizio, per desistere, infine, dall’azione a causa dell’inceppamento delle armi. Il sistema di videosorveglianza del negozio aveva ripreso l’evento.
A parere dei Giudici di merito, l’antefatto del duplice tentato omicidio, che costituirebbe anche il movente dello stesso, si era verificato il giorno prima, allorché il COGNOME e il coimputato avevano aggredito a calci e pugni NOME COGNOME (fratello di NOME, una delle due vittime del tentato omicidio), procurandogli lesioni personali guaribili in giorni trenta (di cui al capo d), e ciò a causa dell’inadempimento di un debito di alcune migliaia di euro da parte di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, il quale gli aveva venduto, tempo prima, un motociclo. Ciò aveva provocato la reazione dei familiari di NOME COGNOME, i quali si erano recati presso l’abitazione del COGNOME, inveendo al cospetto di alcune donne della famiglia di quest’ultimo.
La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza sopra ricordata, aveva accolto il ricorso del COGNOME, rilevando vizio di motivazione con riguardo al tema del riconoscimento fotografico da parte di due Carabinieri, i Luogotenenti COGNOME e COGNOME.
La I sezione ha iniziato con il rilevare che il giudizio di colpevolezza cui era giunta la Corte territoriale era fondato sui seguenti elementi: ricostruzione del movente del tentato omicidio; riconoscimento del ricorrente; alibi falso fornito dal ricorrente medesimo. Il primo ed il terzo elemento sono stati ritenuti dati apprezzabili, ma come fattori corroboranti del riconoscimento. In altri termini, secondo la sentenza rescindente la dinamica dei fatti e l’identità delle vittime lascia supporre che i tentati omicidi siano stati la prosecuzione dell’antecedente violento
del giorno precedente ai danni di COGNOME NOME e delle rimostranze dei congiunti del COGNOME; peraltro, i vari elementi investigativi raccolti facevano pensare ad una ricomposizione negli ambiti delinquenziali nei quali era maturato l’episodio de quo. Del pari, la sentenza rescindente ha osservato che l’alibi fornito dal ricorrente mostrava ampi connotati di falsità alla luce della mancata conferma della narrazione dell’imputato sia da parte del fidanzato della sorella sia da parte del titolare del locale, unita ai dati oggettivi ricavati dai tabulati telefonici (dimostranti, da un lato, che i familiari del COGNOME non erano affatto nella località da lui indicata come luogo di convegno conviviale e, dall’altro, che il ricorrente medesimo, al momento dei delitti, si trovava in Reggio Calabria, proprio nella stessa cella telefonica in cui vi era il COGNOME).
Le critiche della I sezione all’impianto motivazionale della sentenza impugnata erano concentrate sul secondo elemento, ossia quello del riconoscimento dell’imputato sulla base di fotogrammi estratti dalle immagini registrate. A parere della Prima Sezione, la Corte d’appello non aveva dato pienamente conto delle ragioni per cui era stata accordata attendibilità al riconoscimento, omettendo l’accurata disamina dei motivi per cui si era ritenuto che i due Carabinieri, COGNOME e COGNOME, avessero dimestichezza con l’aspetto fisico dell’imputato, del quale, peraltro, nessun elemento caratterizzante la fisionomia era stato descritto. A tal proposito, la RAGIONE_SOCIALEzione ricordava il dato, emerso in istruttoria, dell’imperfetta qualità delle immagini, che risultavano sgranate; dagli atti si evinceva, inoltre, che il passeggero del mezzo, ritratto nei fotogrammi e che materialmente aveva sparato, indossava un casco aperto, ciò che comprimeva i tessuti molli, alterando la forma di bocca e labbra e gli elementi connotanti il volto. Nonostante tali criticità, la Corte territoriale aveva ritenuto che la pregressa conoscenza dell’imputato da parte dei due Luogotenenti, per cause di servizio, consentisse il riconoscimento; ma, a parere della Prima sezione della RAGIONE_SOCIALEzione, la Corte d’appello non aveva sufficientemente esplorato il tema dello spessore di questa pregressa conoscenza, il numero di occasioni di incontro tra gli operanti e il ricorrente, oltre che le caratteristiche di postura, di andatura o di fattezze somatiche che avevano consentito il riconoscimento.
Avverso la sentenza resa a seguito di annullamento con rinvio, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite dei propri difensori, affidando le proprie censure a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge processuale e vizio di motivazione, per avere la Corte utilizzato i tabulati telefonici acquisiti con l’informativa di reato e conferito agli stessi valore preponderante per
l’affermazione di responsabilità, così violando il principio -d’origine normativa, e confermato dalla giurisprudenza, anche sovranazionale- secondo cui l’utilizzazione dei tabulati già acquisiti non è automatica, incontrando invece il limite della valutazione della prova mutuata dall’art. 192, comma 3, del codice di rito, in tema di chiamata di correo. Sostiene la difesa che i dati cd. esteriori estratti dai tabulati (e, segnatamente, i contatti e la collocazione dell’interlocutore telefonico dell’imputato, il coimputato NOME) non possano divenire elemento fondante la responsabilità penale dell’imputato, dovendo essere utilizzati, invece, congiuntamente ad altri elementi di prova, a conforto dei dati esteriori del traffico telefonico.
Rispetto a tale specifico aspetto -osserva la difesa- la Corte territoriale non avrebbe indicato ulteriori elementi di prova confermativi della presenza dell’imputato sui luoghi dell’ascritto duplice tentato omicidio.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta partecipazione dell’imputato ai reati di cui ai capi a), b), e c) della rubrica. La Corte d’appello avrebbe disatteso le indicazioni fornite dalla Prima sezione di questa Corte, rivalutando indizi -quali, tra gli altri, il movente del tentato omicidio e il falso alibi fornito dall’imputato- che la sentenza rescindente aveva definito puramente rafforzativi dell’unico indizio, grave e preciso, seppure non sufficientemente motivato, vale a dire il riconoscimento fotografico.
La difesa evidenzia l’inidoneità degli elementi indiziari prescelti dalla Corte territoriale a fondare il giudizio di responsabilità: tali indizi – vale a dire 1) i dati estratti dalla lettura dei tabulati telefonici 2) la stima della personalità dell’imputato 3) l’alibi (asseritamente) falso di quest’ultimo e 4) il movente hanno natura generica e si appalesano privi, pur a volerli valutare unitariamente, del necessario carattere della gravità e della precisione, richiesto dall’art. 192 cod. proc. pen.
La Corte d’appello avrebbe inoltre mancato di verificare lo spessore indiziario del riconoscimento, come richiesto dalla Prima sezione di questa Corte. A tal proposito, la difesa considera inadeguato l’approfondimento del tema della pregressa conoscenza diretta dell’imputato da parte dei due Luogotenenti COGNOME e COGNOME e lamenta travisamento della prova con riferimento all’analisi, svolta dalla Corte territoriale, di vari episodi in cui i due operanti erano già venuti in contatto con l’imputato. Con riferimento, in particolare, alla vicenda dell’arresto dell’imputato, da parte di COGNOME e COGNOME, in esecuzione di un’ordinanza di misura cautelare relativa a delitti commessi dal COGNOME alcuni mesi prima dei fatti qui contestati, la difesa afferma esser falso che entrambi i Carabinieri avessero riconosciuto l’imputato tramite immagini tratte dalle telecamere di sorveglianza, come invece sostenuto dalla Corte d’appello, posto che soltanto il COGNOME, e non
anche il COGNOME, si era riferito, peraltro genericamente, alla visione di un video tratto dal sistema di sorveglianza.
La motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe contraddittoria anche in relazione ad altri episodi, che confermerebbero, secondo la Corte d’appello, la pregressa conoscenza dell’imputato da parte dei due operanti: ad es., quello relativo alla perquisizione presso la casa del padre del suocero dell’imputato e, ancora, l’episodio relativo all’intervento dei due agenti presso l’abitazione del padre del COGNOME. I Giudici d’appello avrebbero infine errato nell’avvalorare la bontà del riconoscimento, facendo leva sulla sola buona fede dei due testimoni, senza anche scandagliare l’oggetto del confronto visivo e trascurando il fatto che nessuno dei due Carabinieri sia stato in grado di indicare anche un solo elemento individualizzante la fisionomia del soggetto ripreso dalle immagini di videosorveglianza, che comprovasse l’identificazione di quel soggetto con l’imputato.
Quanto ai residui indizi, si contesta, in particolare, l’enfasi posta dalla Corte territoriale sul movente, collegato all’aggressione ai danni di NOME COGNOME, dal momento che, secondo i difensori, l’imputato non aveva alcun interesse economico nella vicenda della vendita dello scooter e non aveva subito rappresaglie da parte dei familiari di NOME COGNOME, a differenza di quanto accaduto al coimputato NOME. Si contesta, infine, la valorizzazione delle risultanze dei tabulati telefonici, che sarebbero prive di valenza probatoria in quanto basate sulla cd. geolocalizzazione per celle, metodo non dotato di certezza scientifica e utile a fornire soltanto una possibile, ma non sicura, indicazione della zona in cui l’imputato si trovava al momento dei fatti.
2.3 II terzo motivo ha a oggetto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato unicamente sulla base dei precedenti dell’imputato e con astratto riferimento ai titoli di reato. Medesime censure sono riferite alla pena, determinata senza considerazione effettiva dei criteri elencati dall’art. 133 cod. pen. e in difetto di motivazione circa il discostamento dal minimo edittale previsto dalla legge.
Con motivi “nuovi”, la difesa si sofferma sul tema del riconoscimento fotografico, evidenziando l’inattendibilità del narrato del carabiniere COGNOME circa incontri pregressi con l’imputato per cause di servizio. In relazione al medesimo tema dell’inattendibilità del narrato del COGNOME, la difesa ha allegato al ricorso copia del verbale di denuncia querela, presentata dal padre dell’imputato, NOME COGNOME, nei confronti del luogotenente COGNOME, per avere quest’ultimo riferito il falso all’autorità giudiziaria, sostenendo di essere intervenuto, su richiesta dello
stesso querelante, in seguito all’aggressione subita da quest’ultimo da parte del figlio.
All’udienza del 19 ottobre 2023 si è svolta la trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato per l’assorbente considerazione che proprio la norma invocata dal ricorrente, ossia l’art. 1, comma 1 – bis d.l. 30 settembre 2021, n. 132, conv. dalla I. 23 novembre 2021, n. 178 consente, per quanto qui rileva, l’utilizzazione dei dati relativi al traffico telefonico, al traffico telematico e alle chiamate senza risposta, acquisiti nei procedimenti penali in data precedente alla data di entrata in vigore del d.l. stesso, solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, la Corte territoriale, nel quadro della globale valutazione dei dati istruttori e alla luce delle ragioni dell’annullamento con rinvio, ha argomentatamente collocato l’incidenza delle risultanze dei tabulati all’interno di un contesto probatorio ben più ampio che sorregge, nel suo insieme, le conclusioni raggiunte, come si vedrà nell’esame del secondo motivo di ricorso.
Le restanti censure di merito, quanto alla significatività di tali dati, sono assolutamente generiche e, a tutto voler concedere, si traducono nell’aspirazione ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in questa sede.
Il secondo motivo è manifestamente infondato e privo di specificità, nel senso che si risolve nella reiterazione di critiche puntualmente disattese dal giudice del rinvio.
Al riguardo, giova ribadire che, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345 – 01; principio che va correlato alla precisazione in forza della
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quale, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova: Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861 – 01).
Deve peraltro rilevarsi che la sentenza di annullamento con rinvio, nel confermare la razionalità dell’apparato argomentativo relativo al movente e alla falsità dell’alibi, ha posto una questione relativa all’attendibilità del riconoscimento operato sulla base dei fotogrammi estratti dalle immagini registrate, precisando che la significatività della pregressa conoscenza dell’imputato da parte dei militari doveva essere apprezzata alla stregua di una verifica di credibilità razionale delle argomentazioni e non essere assunta in termini apodittici. In questa cornice si colloca la seguente puntualizzazione nella sentenza rescindente: «non risulta in sentenza esplorato il tema dello spessore di questa pregressa conoscenza, del numero di occasioni di incontro tra gli operanti ed il ricorrente, delle caratteristiche di postura o di andatura o di fattezze somatiche che avevano consentito di riconoscere l’imputato».
In altri termini, la I sezione ha indicato, a titolo esemplificativo, alcuni profili di verifica dell’oggettiva attendibilità del riconoscimento, per sottolineare la direzione della ricerca argomentativa senza porre preclusioni insuperabili al giudice del rinvio, chiamato a motivare in termini suscettibili di controllo razionale.
Ed è in tale cornice che si è mossa la Corte territoriale, la quale ha sottolineato un primo dato, logicamente decisivo, rappresentato dalla spontaneità del riconoscimento, ossia dal fatto che esso è avvenuto quando i militari ignoravano che l’imputato fosse stato attinto da altri elementi di prova, cui si uniscono plurimi dati confermativi della conoscenza del ricorrente.
Le censure del ricorso risultano del tutto parcellizzate e, anche quando prospettano il travisamento della prova (a proposito del congiunto riconoscimento da parte del COGNOME e del COGNOME in altro procedimento), sono malferme nel loro presupposto (anche per il carattere frammentario dei brani delle dichiarazioni che vengono valorizzati nel ricorso: tema diverso da quello della produzione dei verbali stessi), ma soprattutto prive di ogni decisività, nel senso che, anche escludendo che il COGNOME abbia riconosciuto il COGNOME nelle immagini di altro procedimento, resterebbe un compendio logicamente resistente ad ogni ragionevole dubbio, tenuto conto delle restanti occasioni di conoscenza.
Al riguardo, va ribadito che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi
in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
Ugualmente privo di decisività è il tema dell’approfondimento della querela proposta dal padre dell’imputato, poiché del tutto razionalmente la Corte d’appello ha sottolineato l’assenza di astio dei militari nei confronti del COGNOME: e qui non si tratta dell’oggettiva inattendibilità del riconoscimento, ma di una ingiustificabile alterazione di dati fattuali aventi ad oggetto le occasioni giustificative della conoscenza del ricorrente.
In questo contesto, si apprezza la convergenza dei dati che, unitamente al riconoscimento, conducono all’attribuzione del fatto all’imputato.
3. Il terzo motivo è inammissibile, oltre che per la genericità della formulazione, in quanto: a) la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie non ricorre; b) la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata, nella sentenza impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
L’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, Di Giacinto, Rv. 277850 – 01).
Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19/10/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente