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Riconoscimento fotografico: la validità in dibattimento

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per rapina, il quale contestava l’utilizzabilità del riconoscimento fotografico effettuato durante le indagini. La Suprema Corte ha stabilito che tale riconoscimento, anche se informale, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile nel processo secondo il principio del libero convincimento del giudice. La sua attendibilità, unitamente alla deposizione di chi lo compie, è sufficiente a fondare un’affermazione di responsabilità. La Corte ha inoltre ribadito che il divieto di porre domande suggestive non si applica al giudice.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento Fotografico: La Cassazione ne Conferma la Piena Validità

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9627/2024) ha ribadito un principio cruciale nel processo penale: il riconoscimento fotografico, anche se effettuato in modo informale durante le indagini, è un elemento di prova pienamente utilizzabile e può essere sufficiente, da solo, a fondare una condanna. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti sulla natura di tale atto e sulla sua valutazione da parte del giudice.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per rapina emessa dal Tribunale di Bergamo e successivamente confermata dalla Corte di Appello di Brescia. L’imputato, ritenuto responsabile del reato, ha presentato ricorso per Cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza. Il fulcro della sua difesa era la presunta inutilizzabilità del verbale di individuazione fotografica, attraverso il quale la persona offesa lo aveva identificato come l’autore del crimine.

I Motivi del Ricorso: Un Attacco alla Prova Chiave

La difesa ha articolato il suo ricorso sostenendo due punti fondamentali:

1. Irritualità dell’acquisizione: Secondo il ricorrente, il verbale di individuazione fotografica, essendo un atto ripetibile in dibattimento, non poteva essere acquisito al fascicolo processuale senza il consenso delle parti. Di conseguenza, il suo utilizzo per contestare la deposizione della vittima era illegittimo. Veniva inoltre lamentata la proposizione di domande suggestive alla persona offesa, anche da parte del presidente del collegio.
2. Inconciliabilità delle dichiarazioni: La difesa ha evidenziato una presunta inconciliabilità tra quanto dichiarato dalla vittima durante le indagini preliminari e quanto riferito in aula durante il dibattimento.

La Disciplina del Riconoscimento Fotografico secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto integralmente il ricorso, fornendo una lezione chiara sulla natura e sul valore probatorio del riconoscimento fotografico. I giudici hanno chiarito che l’individuazione di un soggetto, sia essa personale o fotografica, rappresenta una specie del più generale concetto di ‘dichiarazione’.

Di conseguenza, non è soggetta alle rigide formalità previste per la ‘ricognizione personale’ e può essere utilizzata nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice. La certezza della prova non deriva dallo strumento in sé, ma dall’attendibilità che il giudice accorda alla deposizione di chi afferma di essere sicuro dell’identificazione.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il divieto di porre domande suggestive (art. 499 cod. proc. pen.) non si applica al giudice. Quest’ultimo, in una posizione di terzietà, ha il potere di rivolgere al testimone tutte le domande che ritiene utili per l’accertamento della verità, ad esclusione solo di quelle che potrebbero incidere sulla sincerità della risposta.

Le motivazioni della decisione

La Cassazione ha ritenuto infondati entrambi i motivi del ricorso. Sul primo punto, ha stabilito che i riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini e quelli informali operati dai testi in dibattimento sono accertamenti di fatto utilizzabili. L’acquisizione dell’album fotografico è fondamentale perché permette al giudice di testare direttamente l’affidabilità del riconoscimento. La responsabilità dell’imputato, nel caso di specie, si fondava proprio sul riconoscimento avvenuto in aula, e non solo su un atto d’indagine.

Sul secondo punto, relativo alle presunte contraddizioni, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. Ciò significa che la Corte non può effettuare una nuova valutazione delle prove, come la credibilità di un testimone, ma può solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una giustificazione congrua e priva di vizi logici, la richiesta del ricorrente si traduceva in una inammissibile rilettura del compendio probatorio.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. Viene confermato che il riconoscimento fotografico, pur non avendo le garanzie formali della ricognizione, è una prova a pieno titolo. La sua efficacia dipende dalla valutazione prudente e motivata del giudice, che deve verificarne l’attendibilità e la credibilità. Questa decisione rafforza il principio del libero convincimento del giudice e chiarisce i limiti del sindacato della Corte di Cassazione, ribadendo la sua funzione di garante della corretta applicazione della legge e non di giudice di terza istanza sui fatti.

Un riconoscimento fotografico effettuato durante le indagini è utilizzabile come prova nel processo?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che i riconoscimenti fotografici, anche informali, costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice. La loro efficacia probatoria dipende dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi effettua l’identificazione.

Il giudice può porre domande suggestive a un testimone durante il dibattimento?
Sì. Secondo la sentenza, il divieto di porre domande suggestive, previsto dall’art. 499, comma 3, del codice di procedura penale, non si applica al giudice. Agendo in una posizione di terzietà, il giudice può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili per l’accertamento della verità, a patto che non incidano sulla sincerità della risposta.

La Corte di Cassazione può valutare se un testimone è stato credibile o se le sue dichiarazioni sono contraddittorie?
No. Il compito della Corte di Cassazione è un ‘giudizio di legittimità’, ovvero verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza precedente. Non può riesaminare nel merito le prove, come la credibilità di un testimone o la coerenza delle sue dichiarazioni, poiché tale valutazione spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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