Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9627 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9627 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/03/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del PG COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto l’annullamento della sentenza, riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia ha integralmente confermato la pronuncia di condanna emessa in data 29 settembre 2022 dal Tribunale di Bergamo nei confronti di NOME, per il reato di cui agli artt. 110-628 cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione il suddetto imputato, a mezzo del proprio difensore, formulando due motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo, articolato motivo, si eccepisce la irritualità della acquisizione del verbale di individuazione fotografica (atto ripetibile, secondo la difesa, e dunque insuscettibile di acquisizione al fascicolo per il dibattimento senza l’accordo delle parti) e la sua inutilizzabilità per le contestazioni, nonché la proposizione alla persona offesa di domande suggestive anche da parte del presidente del collegio.
2.2. Il secondo motivo, la difesa censura la pretesa inconciliabilità tra le dichiarazioni rese durante le indagini e quanto riferito in dibattimento.
Si è proceduto con trattazione scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile alle impugnazioni proposte sino al 15 gennaio 2024, in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dall’art. 17, decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
Durante l’esame dibattimentale della persona offesa, il Tribunale ha acquisito il verbale dell’individuazione fotografica effettuata durante le indagini e l’album con le immagini dei vari soggetti è stato nuovamente sottoposto al teste.
I riconoscimenti fotografici effettuati durante le indagini di polizia giudiziaria, e i riconoscimenti informali dell’imputato operati dai testi in dibattimento, costituiscono, in primo luogo, accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, COGNOME Stefano, Rv. 262908).
Il riconoscimento dell’imputato operato, nel corso dell’esame testimoniale, è atto di identificazione diretta, effettuato con dichiarazioni orali, valido processualmente utilizzabile anche senza l’osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale (Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, Mannolo, Rv. 283392). La certezza della prova non discende infatti dal riconoscimento come strumento probatorio, bensì dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, Coccia, Rv. 267562).
L’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce una specie del più generale concetto di dichiarazione, di modo che, come ogni altra prova di natura dichiarativa, deve essere sottoposta al prudente apprezzamento del giudice. Assume dunque particolare importanza l’acquisizione dell’album fotografico, affinché il giudicante possa testare direttamente l’affidabilità del
risultato probatorio e, in particolare di verificare le caratteristiche iconografiche di quanto sottoposto al dichiarante, al fine di poter valutare, in modo rigoroso, l’affidabilità dell’attività ricognitiva svolta e così apprezzare in modo compiuto la portata probatoria dell’atto (Sez. 2, n. 28391 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 270181; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, COGNOME, Rv. 261247).
Proprio su tale riconoscimento, nel caso di specie, e non su atti di indagine, è stata fondata l’affermazione di responsabilità.
I profili di censura di cui ai punti 1.1. e 1.2. del ricorso sono dunque infondati.
Inoltre, fermo restando il lecito utilizzo, ai sensi dell’art. 500, comma 1, cod. proc. pen., della parte dichiarativa del suddetto verbale, da un lato, la mera richiesta di conferma di un’affermazione resa in precedenza dal teste non può qualificarsi come domanda suggestiva e, dall’altro, il divieto di cui all’art. 499, comma 3, cod. proc. pen. non opera nei confronti del giudice, il quale, agendo in un posizione di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità, ad esclusione di quelle atte ad incidere sulla sincerità della risposta (Sez. 6, n. 8307 del 13/01/2021, G., Rv. 280710; Sez. 3, n. 21627 del 15/04/2015, G., Rv. 263790; Sez. 1, n. 44223 del 17/09/2014, Iozza, Rv. 260899).
La doglianza di cui al punto 1.3. del ricorso risulta quindi manifestamente infondata.
Il secondo motivo, inerente alla pretesa inconciliabilità tra le dichiarazioni rese durante le indagini e quanto riferito in dibattimento, non è consentito nel giudizio di legittimità, in quanto, a fronte di un apparato giustificativo congruo e privo di vizi logico-giuridici (cfr. pp. 5-7), sollecita un’inammissibile rilettura d compendio istruttorio.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 febbraio 2024
Il Consigliere estensore