Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26887 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26887 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CASOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 29/06/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 29 giugno 2023 dalla Corte di appello di L’Aquila, che ha riformato – escludendo la continuazione e la recidiva – la sentenza del Tribunale di Lanciano che aveva condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen., commesso in danno di NOME NOME.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato, dopo essere sceso dall’auto a bordo della quale stava viaggiando e aver
preso un coltello da sotto il sediolino del vettura, raggiungeva lo COGNOME, che si trovava a bordo di un mezzo per la raccolta dei rifiuti, da lui condotto, e profferiva nei confronti di quest’ultimo delle minacce («ti ammazzo, scendi che ti ammazzo»), contestualmente scagliando il coltello contro la portiera del veicolo condotto dalla persona offesa.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa al riconoscimento dell’imputato quale autore del reato. Al riguardo, rappresenta che: la persona offesa non era stata in grado di riconoscere l’autore del reato; la Corte di appello aveva dato rilievo al riconoscimento fotografico che COGNOME NOME – che si trovava a bordo del mezzo per la raccolta dei rifiuti, seduto al lato passeggero – aveva effettuato davanti ai carabinieri; l’esito del riconoscimento era entrato nel processo mediante la testimonianza del teste di polizia giudiziaria RAGIONE_SOCIALE i.
Secondo il ricorrente, la Corte di appello – a fronte del mancato riconoscimento da parte della persona offesa – sarebbe caduta in contraddizione nel dare rilievo a una mera testimonianza de relato.
La Corte di appello avrebbe sbagliato anche a dare rilievo alle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria NOME COGNOME, secondo il quale, due settimane dopo i fatti, davanti all’abitazione dell’imputato, si trovava parcheggiata una “Fiat Panda” di colore bianco, dello stesso tipo di quella condotta dall’autore del reato. Il ricorrente, infatti, sostiene che quell’auto, in ogni caso, non poteva essere quella con targa TARGA_VEICOLO, posseduta in passato dall’imputato, atteso che il veicolo, svariati mesi prima della commissione del reato, era stato venduto dall’imputato a tale COGNOME NOME e che, peraltro, la “Fiat Panda” notata dal teste era targata TARGA_VEICOLO ed era intestata all’ex marito dell’attuale compagna dell’imputato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Il ricorrente sostiene che la persona offesa avrebbe reso una deposizione contraddittoria in ordine all’utilizzo del coltello. Al riguardo, evidenzia che: s punto, la deposizione della persona offesa si porrebbe anche in contrasto con le dichiarazioni rese dal teste COGNOME; né il legale rappresentante della società proprietaria del camion né quello della società che aveva preso a noleggio il camion sarebbero stati informati del danneggiamento subito dal veicolo a seguito dell’impatto con il coltello.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 195 e 514 cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe violato gli artt. 195 e 514 cod. proc. pen., nel ritenere utilizzabili per la decisione le dichiarazioni del teste di poliz giudiziaria COGNOME NOME, relative al riconoscimento fotografico eseguito durante le indagini preliminari da COGNOME NOME.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 496 cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe violato l’art. 496 cod. proc. pen., nel dare rilievo alle dichiarazioni rese dal teste a carico NOME COGNOME, che – in palese violazione dell’ordine di assunzione delle prove fissato dal codice di rito – era stato escusso dopo un teste della difesa e prima dell’ultimo teste a discarico.
2.5. Con un quinto motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 612, comma 2, cod. pen.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente la circostanza aggravante nonostante le contraddittorie testimonianze rese dallo COGNOME e dal COGNOME, in ordine all’utilizzo del coltello, e nonostante il legale rappresentante della società proprietaria del camion e quello della società che aveva preso a noleggio il camion non fossero stati informati del presunto danneggiamento subito dal veicolo a seguito dell’impatto con il coltello.
2.6. Con un sesto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta il mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione, sostenendo che i fatti sarebbero stati originati da un diverbio causato da una manovra repentina dell’autista del camion, che si accostava al margine della strada per parlare al telefono e per fare inversione di marcia.
Al riguardo, il ricorrente evidenzia che il codice della strada consente le fermate solo per una brevissima durata e vieta l’utilizzo di apparecchi telefonici.
2.7. Con un settimo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e la mancata applicazione del minimo edittale.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Entrambe le censure mosse dal ricorrente, infatti, sono completamente versate in fatto e tese a ottenere una non consentita rivalutazione delle risultanze processuali e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello.
Al riguardo, va ribadito che «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti intern del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto della catena devolutiva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME).
Va, in ogni caso, rilevato che la prima censura è anche manifestamente infondata, atteso che, dalla sentenza impugnata, emerge con chiarezza che la Corte di appello ha dato rilievo determinante alla deposizione resa in dibattimento dal teste COGNOME, che aveva dichiarato di avere riconosciuto l’imputato nel corso delle indagini preliminari. Al riguardo, va ribadito che il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l’affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, atteso che l’individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, «la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale» (Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, COGNOME Sirri, Rv. 275585).
Quanto alle dichiarazioni del teste COGNOME, va rilevato che esse sono state utilizzate dalla Corte di appello solo per trarre conferma della circostanza che il teste COGNOME aveva effettuato il riconoscimento durante le indagini preliminari.
In ordine alle deduzioni del ricorrente relative alla “Fiat Panda” di colore bianco, va rilevato che esse, oltre a essere versate in fatto, sono relative a una circostanza che ha assunto un rilievo del tutto secondario rispetto alla decisione della Corte di appello, che ha ricondotto il fatto all’imputato, soprattutto, sulla base della testimonianza del COGNOME. Tali deduzioni, dunque, appaiono carenti anche sotto il profilo della “decisività”, non avendo il ricorrente dimostrato che abbia assunto un rilievo determinante nella decisione della Corte di appello la circostanza che il veicolo in questione si trovasse parcheggiato nei pressi dell’abitazione dell’imputato, due settimane dopo la commissione del reato.
1.2. Il secondo e il quinto motivo di ricorso – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente connessi tra loro – sono inammissibili.
Anche le censure mosse con il secondo e il quinto motivo sono completamente versate in fatto e tese a ottenere una non consentita rivalutazione delle risultanze processuali e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello.
Va, in ogni caso, rilevato che la deposizione della persona offesa, nella parte relativa al coltello, non appare contraddittoria, atteso che il senso delle dichiarazioni rese dallo COGNOME è chiaro: non era in grado di precisare le caratteristiche del coltello, avendolo visto solo per breve tempo.
Tale dichiarazione non si pone affatto in contraddizione con la testimonianza del COGNOME, che aveva riferito di aver visto il coltello.
Quanto ai danni riportati dal veicolo, la Corte di appello ha evidenziato anche che essi emergevano in maniera indiscutibile dalle fotografie in atti.
1.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Le valutazioni della Corte di appello, invero, sono conformi all’indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui «possono formare oggetto della testimonianza “de relato” del personale di polizia giudiziaria i risultati dell’individuazione fotografica, poiché essa consiste in una dichiarazione ricognitiva resa da un teste della propria percezione visiva» (Sez. 5, n. 5701 del 05/11/2021, COGNOME, Rv. 282779; Sez. 5, n. 47531 del 27/09/2023, COGNOME, n.m.).
Va, sotto altro profilo, rilevato che la censura appare carente anche sotto il profilo della “decisività”, non avendo il ricorrente dimostrato che la circostanza in questione abbia assunto un rilievo decisivo nella decisione della Corte di appello. Dalla sentenza, come già evidenziato, emerge con chiarezza che la Corte di appello ha dato rilievo determinante alla deposizione resa in dibattimento dal teste COGNOME, che aveva dichiarato di avere riconosciuto l’imputato nel corso delle indagini preliminari.
Al riguardo, va ribadito che «nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento» (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, La Gumina, Rv. 269218).
1.4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Invero, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di istruzione dibattimentale, stante il principio di tassatività delle nullità, il manca rispetto dell’ordine di assunzione delle prove non è causa di nullità, risolvendosi in una mera irregolarità non presidiata da alcuna sanzione processuale (Sez. 6, n. 3609 del 03/10/2018, COGNOME, Rv. 275880; Sez. 2, n. 6914 del 25/01/2011, COGNOME, Rv. 249362).
1.5. Il sesto motivo è inammissibile.
Esso, infatti, oltre a essere versato in fatto, è meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto, con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato. La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che non era «configurabile il fatto ingiusto altrui», atteso che, dalle dichiarazioni rese dall persona offesa e dal teste COGNOME, non era emerso che lo COGNOME avesse «tenuto una condotta di guida imprudente o in violazione delle norme del codice della strada».
1.6. Il settimo motivo è inammissibile.
La graduazione della pena, invero, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851), come nel caso di specie (cfr. pagina 8 della sentenza impugnata).
Per la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 5, Sentenza n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269), inoltre, nel motivare il diniego delle attenuanti generiche, è sufficiente un congruo riferimento, da parte del giudice di merito, agli elementi
ritenuti decisivi o rilevanti, come parimenti avvenuto nel caso in esame (cfr. pagine 7 e 8 della sentenza impugnata).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 15 marzo 2024.