Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29575 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29575 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIZZOLO PREDABISSI il 29/04/1999
avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di Sassari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME contenente istanza di restituzione del termine per impugnare.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza del Tribunale di Sassari del 3.05.2023, che condannava NOMECOGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per il reato di furto con strappo, di cui agli artt. 624, comma 2, e 625, comma 1, n.3, cod. pen., aggravato dal fatto di aver portato indosso un coltello da cucina, non usato per commettere il delitto.
2. Contro l’anzidetta sentenza l’ imputato propone ricorso, affidato ad un unico motivo, col quale lamenta violazione di legge, vizio di erronea interpretazione delle risultanze probatorie e vizi motivazionali, in relazione all’individuazione del ricorrente quale autore del fatto di reato . Si duole che la Corte d’appello ha disatteso le questioni proposte nell’impugnazione con motivazione non coerente e non adeguata, quali: la mancata audizione, come testimoni, degli agenti che si sono occupati della procedura di individuazione, in sede di indagini, le regole utilizzate, la data della individuazione, le modalità della individuazione e l ‘ attendibilità intrinseca del riconoscimento, che si ritiene carente, in quanto focalizzato su un unico aspetto; la questione della individuazione, che si ritiene tralasciata, per affrontare solo quella del riconoscimento avvenuto in dibattimento, focalizzato sull’unico particolare degli ‘occhi grandi’ dell’autore dello scippo , senza che altro particolare sia stato fornito dal teste per individuare l’autore dello scippo (soggetto travisato con mascherina chirurgica e cappuccio).
Quanto al tempo decorso tra la individuazione ed il fatto, si deduce che non vi sarebbe certezza e che, al riguardo, non risulta dagli atti che fossero passati 32 giorni, la Corte di merito avrebbe fornito una motivazione apparente affermando che erano trascorsi ‘pochi giorni’ , in quanto non indica la fonte da cui ricava il dato.
Quanto alla descrizione fornita dalla teste, COGNOME NOMECOGNOME durante la ricognizione di persona, si deduce che la Corte di merito avrebbe introdotto nella sentenza elementi assenti negli atti del processo e non attribuibili né alla persona offesa né all’altra teste che ha assist ito ai fatti, sostituendosi a quest’ultima, in una valutazione (su forma e colore degli occhi) da questa non compiuta.
Quanto alla attendibilità del teste NOME COGNOME sentito, quale teste di riferimento, si deduce la illogicità della motivazione in relazione alla valutazione della testimonianza, riguardo a rilevate contraddizioni sulle informazioni fornite sull’autore del furto , che individua in altro soggetto, NOME COGNOME di cui è provata documentalmente l’esistenza , indicato come ‘uno di colore’, per poi precisare ‘di Sassari’ , su inesattezze relative allo stato dei luoghi, all’abbigliamento ed alla circostanza del travisamento (mascherina chirurgica e assenza di occhiali) dell’autore dello scippo . La Corte di merito non avrebbe tenuto conto del tempo trascorso tra i fatti e la deposizione del teste e delle modalità dell’azione (scippo in corsa lungo una via rettilinea, con impossibilità per chi si trovava dietro l’autore del furto di vedere un eventuale travisamento medio tempo attuato), da cui si ritiene derivare la contraddittorietà e la lacunosità del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze processuali.
Il difensore ha depositato istanza di rimessione nei termini, con la quale deduce la tempestività della proposizione del ricorso e, in subordine, chiede disporsi la restituzione nei termini per proporre impugnazione, con ogni più ampio potere e facoltà di legge. Si deduce che il termine per il deposito della motivazione della sentenza della Corte di appello di Cagliari del 24/09/2024, indicato, in sede di lettura del dispositivo, in giorni 60, nel dispositivo, in calce alla motivazione (depositata il 17.10.2024), veniva indicato in giorni 90, e il ricorso in Cassazione veniva proposto il 6 febbraio 2025, considerando come termine valido per il deposito della sentenza quello di 90 giorni (23 dicembre 2024), mentre, solo in data 10 marzo 2025, la Corte d’Appello disponeva la correzione di errore materiale sul termine per il deposito della motivazione da intendersi di giorni sessanta.
Il difensore ha depositato memoria di replica, con la quale reitera le deduzioni contenute nel ricorso sulle cui conclusioni insiste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente evidenziato che fondata è la richiesta di restituzione nel termine per proporre il ricorso per cassazione in esame.
1.1 Questa Corte è da tempo ferma nel ritenere che, in materia di restituzione nel termine, la forza maggiore deve presentarsi come un particolare impedimento allo svolgimento di una certa azione e deve essere tale da rendere vano ogni sforzo dell’agente per il suo superamento ed inoltre non deve essere a lui imputabile in nessuna maniera. Per sua stessa definizione la forza maggiore deve essere assoluta e, cioè, non vincibile né superabile in alcuna maniera. E tale non può considerarsi quella situazione che, con intensità di impegno e di diligenza tipico o normale, avrebbe potuto essere altrimenti superata (Sez. 6, n. 26833 del 24/3/2015, Manzara, Rv. 263841 – 01; Sez. 5, n. 965 del 28/2/1997, COGNOME ed altri, Rv. 207387 – 01).
E ancora integra fatto costituente forza maggiore, che può giustificare la restituzione nel termine per l’impugnazione, l’errata informazione ricevuta dalla cancelleria circa l’omesso tempestivo deposito della sentenza nei termini di rito; in tali casi, peraltro, l’instante ha l’onere di provare rigorosamente – mediante attestazione di cancelleria o altro atto o fatto certo – il verificarsi della circostanza ostativa al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione e non può limitarsi ad allegare a sostegno del proprio assunto dichiarazioni provenienti da lui o da altri difensori interessati (Sez. 2, n. 44509 del 07/07/2015, Rv. 264965 – 01; Sez.
6, n. 21901 del 03/04/2014, R. 259699 – 01; Sez. 2, n. 22161 del 24/05/2007, Rv. 236805 – 01).
Nella specie, il ricorrente ha dimostrato rigorosamente il verificarsi del fatto ostativo al tempestivo esercizio della facoltà di impugnazione (correzione dell’errore materiale del termine per il deposito della moti vazione della sentenza disposta in data successiva alla proposizione del ricorso per cassazione) e, considerato che, alla data del deposito del ricorso, tale termine di deposito, come indicato nel dispositivo in calce alla motivazione depositata in data 17 ottobre 2024 era indicato in giorni 90, ne consegue che la impugnazione va ritenuta tempestiva.
Nel merito il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
2.1. Il motivo è inammissibile in ragione del principio, ribadito anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. Invero, nel caso in esame, il motivo si limita a riprodurre le censure dedotte in appello, difettando del tutto di critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo e al tri, Rv. 254584).
Il ricorrente, invero, effettua censure che afferiscono esclusivamente al merito della valutazione effettuata dal decidente, proponendo la sua alternativa valutazione di circostanze di fatto, a fronte di motivazione immune da vizi logicogiuridici.
La Corte d’appello, confrontandosi con il ricorso, richiama la sentenza del giudice di prime cure, che condivide, e motiva in maniera chiara, congrua ed immune da censure di manifesta illogicità, sulle doglianze del ricorrente, che reiterano deduzioni sollevate in grado di appello.
Quanto alla censura di omessa motivazione sulla mancata audizione dei testi di P.G., che hanno proceduto alla individuazione fotografica, l a Corte d’appello , con argomentazione corretta e logica, ne ha spiegato le ragioni, richiamando la correttezza della procedura espletata in sede di indagini preliminari, sulla base delle descrizione fornita dalla teste oculare (COGNOME, desumibile dalla cartella di individuazione fotografica, allegata al fascicolo del dibattimento, che riporta i nomi dei soggetti fotografati, ed è sottoscritta da un operatore di P.G., pubblico ufficiale, che ha attestato la identità dei soggetti fotografati.
Quanto alla attendibilità intrinseca del riconoscimento, la Corte d’appello , con motivazione immune da vizi e censure, ha valorizzato a sostegno della credibilità
della testimone, le circostanze: che le dichiarazioni accusatorie siano state rese nell’immediatezza dei fatti, la descrizione dell’imputato fornita dalla teste , la pregressa conoscenza, di vista, tra il ricorrente e la testimone oculare del fatto, che le ha consentito l’immediato collegamento tra l’autore del fatto e l’imputato, mediante il richiamo al particolare degli occhi grandi, sebbene si trattasse di soggetto travisato, con indosso copricapo e mascherina.
In tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioni, in quanto provenienti da un testimone, per di più, testimone diverso dalla persona offesa, non abbisognano di riscontri esterni, in quanto, con riferimento ad esse, “il giudice deve limitarsi a verificare l’intrinseca attendibilità della testimonianza – avuto riguardo alla logicità, coerenza ed analiticità della deposizione nonchè all’assenza di contraddizioni con altre deposizioni testimoniali o con elementi accertati con i caratteri della certezza sulla base della presunzione che, fino a prova contraria, il teste, ove sia in posizione di terzietà rispetto alle parti, riferisce di solito fatti obiettivamente veri (principio di affidabilità) e mente solo in presenza di un sufficiente interesse a farlo (principio di normalità), specialmente nel caso in cui dalla veridicità del dichiarato possano scaturire conseguenze pregiudizievoli per sé o per altri (principio di responsabilità)” (Sez. 6, Sentenza n. 3041 del 03/10/2017, dep. 2018, PC in proc. Giro, Rv. 272152; (Sez. 1, Sentenza n. 10600 del 16/02/2024, Rv. 285922 -01).
Nella specie, l’accertamento della responsabilità dell’imputato non si fonda su una ricognizione in senso tecnico, la cui validità formale è condizionata all’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 213 e ss. c.p.p., bensì sulla ritenuta attendibilità attribuita alla deposizione di colui che ha effettuato il riconoscimento. I giudici di merito (soprattutto quello di primo grado la cui sentenza integra quella impugnata dando luogo ad un unico complesso argomentativo) hanno congruamente motivato in ordine alla credibilità della testimone, evidenziando che la stessa aveva avuto la possibilità, al momento del fatto, di vedere in viso lo scippatore, del quale aveva fornito una dettagliata descrizione quando si era recata a denunciare il delitto, presso la stazione dei Carabinieri, e che non aveva avuto alcuna esitazione a riconoscere il ricorrente nell’autore del reato, perché aveva ancora in mente l’immagine del viso dello scippatore, dato che erano passati solo pochi giorni dal fatto.
Invero, il riconoscimento fotografico, operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorché non sia regolato dal codice di rito, può essere legittimamente assunto come prova, in quanto costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’art. 189 cod. proc pen. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015, Verde, Rv. 266023) e catalogabile, dunque, nel novero delle cd. prove atipiche. La certezza del riconoscimento fotografico non discende dal riconoscimento come
strumento probatorio in sè, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (ex multis: Sez. 6, n. 17103 del 31/20/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275548; Sez. 5, n. 9505 del 24/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267562; Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, COGNOME, Rv. 228043).
E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità l’inquadramento dell’atto di individuazione (personale o fotografica), compiuto nel corso delle indagini preliminari, nella categoria generale delle manifestazioni riproduttive di una percezione visiva; in quanto tale, esso «rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 4, n. 1867 del 21/2/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258173), e non dalle formalità di assunzione previste dall’art. 213 cod. proc. pen. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice» (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437 – 01). Si tratta, dunque, di prova non espressamente disciplinata dal codice di rito, utilizzabile nel giudizio in base al principio della non tassatività dei mezzi di prova ed a quello del libero convincimento del giudice (Sez. 5, n. 6456 del 01/10/2015, dep. 2016, Verde, Rv. 266023 – 01).
Sia che l’atto di individuazione entri a far parte del patrimonio probatorio, rilevante per il giudizio, per effetto della scelta processuale della definizione allo stato degli atti, sia che di esso riferisca il testimone, escusso nell’istruttoria dibattimentale, (richiamando quanto avvenuto nel corso delle indagini preliminari, oppure quando l’individuazione avvenga direttamente nel corso del dibattimento), i criteri di valutazione di tale prova devono essere quelli propri dei risultati dichiarativi acquisiti: ciò comporta che «l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste ed alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice» (Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262908 – 01).
Riguardo alla dedotta necessità di previa descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, la Corte di merito ha, peraltro, richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui ‘l’individuazione fotografica non deve essere necessariamente preceduta, ai fini della sua validità, dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Sez. 4, sentenza n.7287 del 9/12/2020, dep. 2021, Rv. 280598-02).
Quanto al tempo decorso tra la individuazione fotografica ed il fatto, ritenuto dalla Corte di merito inferiore a 32 giorni (circostanza neppure contestata in questa sede), la circostanza, a fronte di un riconoscimento, ribadito in giudizio e
giustamente ritenuto plausibile, nei termini di certezza in cui è stato espresso, per la pregressa conoscenza di vista tra teste e imputato, è, comunque, irrilevante in questa sede.
Quanto alla valutazione, in termini di inattendibilità, della prova testimoniale, resa dal teste di riferimento, indicato dall’imputato, il motivo è inammissibile in quanto generico oltre che manifestamente infondato perché muove delle censure in fatto, in relazione alle quali questa Corte non può compiere alcuna valutazione nel merito, dinanzi ad una motivazione corretta, congrua ed immune da vizi di illogicità manifesta.
Riguardo alla genesi della testimonianza ( da un’amica che , durante una conversazione con altre due persone, che rivelavano i particolari del furto dinanzi ad estranei, capisce trattarsi dello scippo avvenuto tre anni prima), le perplessità manifestate, con argomentazione logica, dalla Corte di merito sono corrette ed immuni da censure.
A fronte di precisi rilievi, sollevati dalla Corte di merito, su inesattezze del narrato, lacunoso e contraddittorio, riscontrate in relazione alla esatta localizzazione del fatto (il teste parla prima della presenza di un bancomat, poi del Banco di Sardegna in INDIRIZZO, rendendo dichiarazioni vaghe), alla descrizione dell’autore del furto (il teste riferisce il particolare che portava gli occhiali, non riferito da alcuno, mentre non indica la mascherina chirurgica, riferita dalla teste oculare), a ll’abbigliamento dell’autore del furto (il teste riferisce di maglietta a maniche corte, e poi, dinanzi alla osservazione del PG, che era gennaio, aggiunge che aveva un giubbotto), ed alla domanda se si fosse incontrato con l’imputato prima del processo e parlato dell’accaduto, prima risponde negativamente, per ammettere la circostanza, solo a seguito di contestazione, il motivo non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che argomenta in modo puntuale e logico sulle censure formulare.
Analoghe considerazioni si impongono in relazione alle censure s ull’interpretazione del termine ‘di colore’ . La doglianza è parimenti inammissibile, in quanto volta anch’essa a contestare l’interpretazione di una dichiarazione testimoniale, effettuata, peraltro, secondo il comune senso che si attribuisce al termine.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
Così deciso in Roma il 20/06/2025.