Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11837 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11837 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/05/2023 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugNOME in questa sede la Corte d’appello di Milano ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata dal G.u.p. del Tribunale di Milano in data 16 febbraio 2022 nei confronti di COGNOME NOME per i reati di rapina aggravata e porto abusivo di oggetto atto ad offendere.
Le sentenze di merito avevano fondato il giudizio di responsabilità sull’esito della prova scientifica disposta su un giubbotto, certamente indossato dal rapiNOMEre e abbandoNOME nel corso della fuga dal luogo della commessa rapina, prova che aveva fornito esiti circa la presenza di un profilo genetico, la cui componente maggioritaria riconduceva alla persona dell’imputato; inoltre, le decisioni avevano evidenziato che la visione dei fotogrammi che ritraevano il volto del rapiNOMEre, aveva permesso direttamente al Giudice del dibattimento di apprezzare la corrispondenza di alcuni tratti somatici con il volto dell’imputato presente nel corso del giudizio.
2. Ha proposto ricorso la difesa dell’imputato deducendo con unico motivo violazione di legge, in relazione agli artt. 190, 192 comma 1 e 2, cod. proc. pen. attesa l’errata valutazione della prova indiziaria raccolta; l’esito della prova scientifica si caratterizzava per la prevalenza, e non esclusività, del profilo genetico estrapolato dall’indumento; tale concetto non poteva equivalere alla prova dell’attualità dell’uso dello stesso indumento da parte dell’imputato; ciò rendeva apparente e privo di fondamento logico l’argomento della sentenza impugnata che, in mancanza di certezza circa l’uso esclusivo del giubbotto, aveva ritenuto di concludere che quell’indumento era stato indossato dal ricorrente il giorno della rapina; inoltre, il riconoscimento operato direttamente dal giudice attraverso la visione delle immagini videoregistrate e il confronto con le fattezze dell’imputato non costituiva indizio rilevante, bensì mera congettura inidonea a sostenere il giudizio di responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Se l’osservazione del ricorrente sulla reale portata probatoria della prova scientifica conseguita attraverso l’esame delle tracce biologiche rinvenute sull’indumento abbandoNOME dal rapiNOMEre è logicamente corretta, potendosi derivare da quella prova il dato della disponibilità dell’indumento in capo al ricorrente ma non anche dell’epoca in cui quella disponibilità fosse stata realizzata (potendosi ipotizzare che il giubbotto in questione fosse stato indossato in epoca diversa dal giorno in cui fu consumata la rapina), al contrario la svalutazione del dato rappresentato dagli esiti della valutazione condotta dal Giudicante sulle immagini videoregistrate e sulla fisionomia dell’imputato, presente nel corso del giudizio, è errata in diritto.
L’attività svolta dal Giudice nel porre a raffronto immagini e documenti acquisiti legittimamente al processo, così come nel comparare la fisionomia dell’imputato presente nel giudizio con immagini che ritraggano l’autore del reato, esprimendo successivamente il giudizio sulla coincidenza o compatibilità tra le immagini, i documenti e la persona dell’imputato costituisce tipico esercizio del dovere del giudice di dare conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati (art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.).
Come è stato efficacemente affermato, «occorre distinguere tra la scienza privata del giudice, che non rientra fra le prove ritualmente acquisibili al processo e, come tale, non può essere posta a fondamento del giudizio, e le percezioni che il giudice trae direttamente dal processo e dai suoi atti, trattandosi di dati ed elementi che ritualmente entrano a far parte della sfera di cognizione del giudice e ben possono essere oggetto di valutazione e confronto con le ulteriori acquisizioni probatorie» (Sez. 6, n. 25383 del 27/05/2010, Galluzzi, Rv. 247826 01, in una fattispecie in cui il collegio giudicante, come nel caso in esame, aveva fatto ricorso al proprio convincimento in merito alla conformità della identità dell’imputato, presente al dibattimento, rispetto alle immagini di una persona ripresa da una videoregistrazione; il principio è stato recentemente riaffermato a proposito del confronto, operato dallo stesso giudice di merito, tra le immagini di videosorveglianza e quelle del cartellino di riconoscimento dell’imputato sul posto di lavoro, da cui si era inferita l’identità del volto dei soggetti effigiati: Sez. 2 45851 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285441 – 01).
In definitiva, la prova considerata dalla decisione impugnata, oltre quella scientifica di cui si è detto, è quella rappresentata dai documenti estratti dall’impianto di videoregistrazione posto all’interno della farmacia ove fu consumata la rapina; la prova documentale è stata valutata dal Giudice di primo grado che, comparando le immagini con la fisionomia dell’imputato presente nel corso del giudizio, ha indicato i tratti del volto che corrispondevano nelle immagini registrate e nel viso dell’imputato. Siffatta attività valutativa (da taluni qualificat come vero e proprio indizio: Sez. 2, n. 40731 del 02/10/2009, COGNOME, Rv. 245124 – 01), rappresenta un dato logico, argomentato mediante la specificazione dei dati considerati e delle affinità riscontrate, che diviene elemento di convalida della portata probatoria dell’indizio costituto dall’esito degli accertamenti scientifici (per una fattispecie analoga, ove la valutazione operata dal giudice sulle immagini videoregistrate è stata ritenuta utile riscontro alla chiamata in correità, Sez. 2, n. 1545 del 08/10/1997, dep. 1998, Stratigopaulos, Rv. 209925 – 01).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 24/1/2024