Riconoscimento della continuazione: quando la Cassazione dice no
Il riconoscimento della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, è un istituto fondamentale che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio quando più violazioni della legge penale sono frutto di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, i requisiti per la sua applicazione sono rigorosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i limiti di questo istituto, negandolo in un caso in cui i reati, seppur commessi dalla stessa persona, erano troppo distanti nel tempo e diversi tra loro per essere considerati parte di un unico piano.
I Fatti del Caso
Un individuo, condannato con diverse sentenze definitive per reati commessi tra giugno 2013 e ottobre 2015, presentava un’istanza alla Corte d’Appello per ottenere il riconoscimento della continuazione. L’obiettivo era unificare le pene inflitte in un’unica sanzione più mite, sostenendo che tutti i reati fossero legati da un unico disegno criminoso. La Corte d’Appello di Venezia, però, rigettava la richiesta. Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione.
La Distinzione tra Disegno Criminoso e Stile di Vita
Il punto centrale della questione giuridica risiede nella differenza tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e una semplice ‘reiterazione di condotte illecite’. Il primo presuppone una programmazione iniziale, un piano unitario che abbraccia tutti i reati commessi. La seconda, invece, può essere semplicemente l’espressione di un’inclinazione a delinquere, uno ‘stile di vita’ che porta a commettere crimini in modo seriale ma non preordinato.
I criteri per il riconoscimento della continuazione
Perché si possa applicare la continuazione, la giurisprudenza richiede la prova di alcuni elementi chiave:
* Unicità del disegno criminoso: Deve esistere un piano iniziale che preveda, almeno nelle linee generali, la commissione di più reati.
* Omogeneità dei reati: Sebbene non indispensabile, la somiglianza nel modus operandi e nella tipologia di reato è un forte indizio.
* Contesto temporale e spaziale: I reati devono essere commessi in un arco di tempo ragionevolmente contenuto, che non faccia venir meno l’idea di un piano unitario.
La decisione della Corte di Cassazione: perché è stato negato il riconoscimento della continuazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno evidenziato due fattori decisivi per escludere il riconoscimento della continuazione.
Le motivazioni
In primo luogo, è stata sottolineata l’eterogeneità esecutiva dei delitti e la notevole ampiezza dell’arco temporale (oltre due anni) in cui erano stati commessi. Questi elementi, secondo la Corte, rendevano impossibile ipotizzare un’originaria e unitaria progettazione criminale. Mancava, in sostanza, quel ‘filo rosso’ che avrebbe dovuto legare i vari episodi delittuosi.
In secondo luogo, la Corte ha specificato che la reiterazione delle condotte illecite non può essere confusa con l’istituto della continuazione, che si fonda sul principio del favor rei. Al contrario, la persistenza nel commettere reati è espressione di un programma di vita improntato al crimine. Tale condotta viene già considerata dall’ordinamento attraverso altri istituti, come la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, che hanno una finalità opposta, ovvero quella di inasprire la risposta sanzionatoria, non di attenuarla.
Le conclusioni
In conclusione, la Cassazione ha stabilito che il ricorso doveva essere dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. La sentenza ribadisce un principio cruciale: il riconoscimento della continuazione è un beneficio che richiede una prova rigorosa di un piano criminoso unitario e non può essere invocato per giustificare una semplice inclinazione a delinquere manifestata nel tempo.
Quando può essere negato il riconoscimento della continuazione tra reati?
Può essere negato quando i reati non sono omogenei dal punto di vista esecutivo, non sono riconducibili a una programmazione iniziale unica e sono stati commessi in un arco temporale troppo ampio, elementi che impediscono di dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.
La semplice ripetizione di reati è sufficiente per ottenere la continuazione?
No, secondo la Corte la semplice reiterazione di condotte illecite non equivale a un unico disegno criminoso. Anzi, può essere espressione di un programma di vita orientato al crimine, che viene sanzionato da istituti diversi e più severi come la recidiva o l’abitualità.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo specifico caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19888 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19888 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CONEGLIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/07/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 7 luglio 2023, con la quale la Corte di appello di Venezia rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-5 del provvedimento impugnato.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto dell’incontroversa eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da COGNOME e della notevole ampiezza dell’arco temporale in cui i reati di cui si controverte erano stati commessi, compreso tra il giugno del 2013 e l’ottobre del 2015, che impediva di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio giurisdizionale (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di COGNOME, venendo sanzionata da fattispecie quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 -01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.