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Riciclaggio reato presupposto: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato condannato per riciclaggio di circa 500.000 euro. L’imputato sosteneva che l’operazione di rientro dei capitali dall’estero (c.d. voluntary disclosure) avrebbe dovuto escludere la punibilità del riciclaggio, identificando il reato presupposto in un delitto fiscale coperto da tale scudo. La Corte ha stabilito che, poiché tra i reati presupposto figurava anche l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000), non coperto dalla causa di non punibilità, la condanna per il riciclaggio reato presupposto e la relativa confisca sono legittime.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio reato presupposto: i limiti dello scudo fiscale secondo la Cassazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 19130 del 2024, offre un importante chiarimento sui confini di applicabilità delle cause di non punibilità legate alla cosiddetta ‘voluntary disclosure’ (collaborazione volontaria) in relazione al grave delitto di riciclaggio. La Corte ha stabilito che se il denaro riciclato proviene da una pluralità di delitti, la presenza di un solo riciclaggio reato presupposto non coperto dallo scudo fiscale è sufficiente a rendere inapplicabile il beneficio e a confermare la condanna. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di riciclaggio, avendo compiuto operazioni volte a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita di una somma di denaro pari a 495.000 euro. La Corte di appello di Brescia, pur riformando parzialmente la prima sentenza, aveva confermato la condanna e la confisca della somma.

Contro tale decisione, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un’unica, ma cruciale, argomentazione legale.

Il Motivo del Ricorso: Pluralità di reati presupposto e voluntary disclosure

La difesa del ricorrente sosteneva che il reato presupposto, da cui provenivano i fondi, dovesse essere identificato nella dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. 74/2000). Secondo questa tesi, poiché l’imputato si era avvalso della procedura di collaborazione volontaria per il rientro dei capitali dall’estero, la condotta di riciclaggio non sarebbe stata punibile per espressa previsione normativa (art. 5-quinquies del D.L. 167/1990).

Invocando il principio del favor rei, l’imputato chiedeva quindi l’assoluzione e la revoca della confisca, ritenendo che la legge speciale sulla voluntary disclosure dovesse prevalere e scriminare la sua condotta.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Il fulcro della decisione risiede nella corretta individuazione del riciclaggio reato presupposto. La Corte ha sottolineato che, sulla base degli accertamenti di merito (non sindacabili in sede di legittimità), il capo di imputazione e le sentenze precedenti avevano identificato una pluralità di reati presupposto. Tra questi, figurava non solo il reato di dichiarazione fraudolenta, ma anche quello, ben distinto, di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 8 del D.Lgs. 74/2000.

Quest’ultimo delitto, a differenza del primo, non rientra nell’elenco dei reati fiscali per i quali la procedura di voluntary disclosure prevede la non punibilità. Di conseguenza, la presenza di almeno un reato presupposto non ‘coperto’ dallo scudo fiscale è sufficiente a far sì che il successivo reato di riciclaggio rimanga pienamente punibile.

La Corte ha concluso che l’integrazione del reato di riciclaggio è rimasta impregiudicata, così come la legittimità della confisca disposta ai sensi dell’art. 648-quater del codice penale. Ogni altra considerazione difensiva è stata ritenuta assorbita da questa motivazione centrale.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: le cause di non punibilità, come quelle legate agli scudi fiscali, hanno un’applicazione tassativa e limitata ai reati specificamente indicati dal legislatore. Non possono essere estese per analogia né possono ‘sterilizzare’ il denaro di provenienza illecita se questo deriva anche da altri delitti non inclusi nel beneficio.

In pratica, chi si avvale della voluntary disclosure non ottiene un’immunità totale. Se le somme rimpatriate sono il frutto non solo di evasione fiscale ‘scudabile’, ma anche di altri delitti (come in questo caso l’emissione di fatture false), il rischio di essere perseguiti per riciclaggio rimane concreto e la confisca dei beni pienamente applicabile. Un monito importante sulla necessità di analizzare con precisione l’origine dei capitali prima di intraprendere qualsiasi procedura di regolarizzazione.

La procedura di ‘voluntary disclosure’ (rientro dei capitali) esclude sempre la punibilità per il reato di riciclaggio?
No, non sempre. La non punibilità opera solo se il reato presupposto (cioè il delitto da cui provengono i soldi) è uno di quelli specificamente elencati dalla norma sulla voluntary disclosure. Se il denaro proviene anche da altri reati non inclusi, il riciclaggio resta punibile.

Cosa succede se i proventi illeciti derivano da più reati presupposto?
Se anche uno solo dei reati presupposto non è coperto dalla causa di non punibilità (come lo scudo fiscale), la condotta di riciclaggio è perseguibile. La presenza di un reato ‘scudato’ non assorbe né cancella la rilevanza penale degli altri.

Perché la Corte di Cassazione ha confermato la condanna in questo specifico caso?
La Corte ha confermato la condanna perché ha accertato che, oltre a un reato fiscale potenzialmente coperto dalla voluntary disclosure, i soldi provenivano anche dal reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000), che non rientra tra quelli ‘scudati’. Questa circostanza è stata sufficiente a rendere legittima la condanna per riciclaggio e la confisca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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