Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47609 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47609 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato in ROMANIA il 11/11/1984 MILANO NOME nato ad NOME il 07/12/1970
avverso la sentenza del 14/03/2024 della CORTE d’APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
ricorsi trattati con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 d.l. 137/202
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento la Corte d’appello di Torino, nel riformare parzialmente la sentenza pronunciata dal Tribunale di Alessandria il 22 marzo 2023 nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di riciclaggio, ha escluso nei confronti del primo la contestata recidiva e concesso ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, riducendo conseguentemente la pena.
Entrambi gli imputati hanno presentato ricorso in cassazione, con atti distinti.
2.1 Chirca deduce innanzitutto erronea applicazione dell’art.648 bis c.p. e vizio di motivazione (carenza) mancando tanto la prova della origine delittuosa dei beni detenuti quanto la percezione stessa in capo all’imputato di tale eventuale provenienza illecita nonché, infine, la consapevolezza della destinazione dei beni al riciclaggio.
Con il secondo ed il terzo motivo, la stessa doglianza viene replicata in relazione alla mancata riqualificazione della condotta in termini di ricettazione ed al mancato riconoscimento della circostanza attenuante ex art.114 c.p..
2.2 La difesa di Milano deduce innanzi tutto violazione di legge (art. 192 c.p.p.) unitamente alla triade dei vizi motivazionali in ordine alla affermazione di responsabilità dell’imputato ed in particolare della consegna a costui dei monili d’oro da parte di tal COGNOME
Le stesse doglianze (violazione di legge e vizi di motivazione) vengono poi ribadite in relazione alla mancanza dell’elemento oggettivo del reato: la Corte d’appello, si sostiene nel ricorso, non ha né confutato né addirittura risposto alla allegazione difensiva secondo cui la operazione cui sono stati sottoposti i monili non costituisce fusione ma solo lavorazione degli stessi, senza perdita d’identità.
Con il secondo motivo si deduce il vizio di legge poiché le condotte contestate possono al più costituire ricettazione e non riciclaggio.
2.3 L’Avvocato NOME COGNOME per Milano ha inviato memoria con cui ha replicato alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono entrambi inammissibili poiché basati su motivi generici e, comunque, manifestamente infondati.
Va innanzi tutto considerato che si è in presenza di una c.d. “doppia conforme” in punto di affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stati rispettati i parametri del richiamo della pronuncia di appello a quella di primo grado e dell’adozione – da parte di entrambe le sentenze – dei medesimi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
Ciò premesso, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito, in conformità alla sentenza di primo grado, una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per
cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi ripetitivi dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 Arnone Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 COGNOME Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01).
Alcune ulteriori considerazioni generali sono necessarie, prima di esaminare i singoli motivi.
3.1 Il ricorso di Chirca è meramente ripetitivo e versato sul fatto, cioè diretto alla rivalutazione della decisione di merito, senza attingere ad una critica di legittimità della sentenza impugnata.
Ciò è evidente alla semplice lettura del ricorso ove, in relazione a ciascun motivo, si riproducono, con la tecnica del copia-incolla, i passaggi salienti dell’atto di appello, limitandosi poi a commentare come insufficiente la risposta fornita dalla Corte d’appello.
Lungi dal delineare un effettivo vizio di legittimità, le doglianze articolate finiscono per contestare il giudizio di responsabilità, dimenticando tuttavia che l’ulteriore valutazione di merito in questa sede non è consentita, pena la violazione delle regole ordinamentali che assegnano a questa Corte il giudizio di legittimità.
3.2 Anche il ricorso di Milano presenta evidenti carenze concettuali, in primo luogo deducendo una violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., in violazione del principio costantemente affermato da questa Corte per cui è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione del già citato articolo, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione sono fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.; altrettanto dicasi della promiscua e cumulativa evocazione dei vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen., con l’aggiunta del ‘travisamento delle risultanze istruttorie’ (pg. 2), vietata dalla giurisprudenza (ex multis Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, NOMECOGNOME non massimata sul punto), e comunque ritenuta indice della natura di merito della doglianza che ai detti vizi cumulativamente espressi
solo strumentalmente tenta di agganciarsi (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 – 01).
Ciò premesso in linea generale, i motivi dei due ricorsi si prestano alla trattazione unitaria, data l’unità della vicenda e la connessione tra i vari motivi.
In relazione alla affermazione di responsabilità per l’episodio di cui al capo 9 di imputazione, appare del tutto congruo ed adeguatamente motivato, sì da risultare immune da critiche di illogicità, tanto meno manifesta, il collegamento, effettuato dalla Corte a pg. 14 della motivazione, tra la sopravvenuta disponibilità, da parte del Milano, di un ‘pezzettino’ di materiale (cfr. telefonata n. 683 del 18 marzo 2013) ed il furto di oro appena commesso ai danni di COGNOME, in un contesto di ripetuti contatti da parte di tal COGNOME autore del furto, si con Chirca che con Milano, al quale il primo cercava di `piazzare’ la refurtiva consapevole, come si legge nella sentenza, dell’attivismo di costui nel mercato dei preziosi di dubbia origine.
Che poi si trattasse di attività di riciclaggio e non di semplice ricettazione (secondo motivo di entrambi i ricorsi), e che Chirica fosse consapevole e strumentale alla realizzazione della attività illecita complessiva (primo motivo del ricorso di costui), trova spiegazione a pg. 16 della sentenza d’appello ed a pg. 27 di quella di primo grado, con il riferimento al defacing per fusione della refurtiva al fine di occultarne l’origine, ed al ruolo costante del Chirica nelle cessioni del materiale semilavorato ai ‘comproro’.
Si tratta di spiegazioni del tutto sufficienti a fondare le relative decisioni, senza ombra di manifesta illogicità, nemmeno per vero addotta, se non in maniera del tutto generica.
4.1 Infine, a confutare la pretesa minima importanza del ruolo del COGNOME nella commissione del reato, tale da giustificare l’applicazione della circostanza prevista dall’art. 114 cod. pen. (terzo motivo del ricorso dell’imputato), vi sono le considerazioni, pienamente logiche, congrue ed adeguate, che si rinvengono a pg. 16 della sentenza impugnata, laddove si evidenzia l’importanza del rapporto fiduciario con il coimputato Milano, dimostrato dalla costante presenza nelle trasferte compiute per `piazzare’ i semilavorati prodotti dall’attività di fusione (parziale) della refurtiva, nonché il ruolo di intermediario nelle relative cessioni.
Anche il terzo motivo è per tali ragioni manifestamente infondato.
Per le suddette ragioni i ricorsi vanno dichiarati inammissibili. All’inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento
in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15 ottobre 2024
Consigl ere rela ore II