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Riciclaggio farmaci: la tracciabilità non esclude reato

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per riciclaggio farmaci a carico di un operatore che, dopo aver ricevuto medicinali di provenienza furtiva, li ha reimmessi sul mercato. Anche se la tracciabilità dei farmaci non era stata interrotta, la Corte ha stabilito che la rivendita a terzi, con tanto di fatturazione, integra il reato perché ostacola l’identificazione dell’origine delittuosa del bene, rendendo l’appello dell’imputato inammissibile.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio farmaci: la tracciabilità non basta a escludere il reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9585/2025, ha affrontato un importante caso di riciclaggio farmaci, stabilendo un principio cruciale: la permanenza della tracciabilità di un bene di provenienza illecita non è sufficiente a escludere il reato. La decisione chiarisce che l’attività di re-immissione nel mercato di prodotti rubati, anche se apparentemente regolare, integra pienamente la fattispecie del riciclaggio.

Il caso: dalla ricezione alla rivendita di farmaci rubati

I fatti riguardano un operatore del settore condannato in primo e secondo grado per il reato di riciclaggio. L’imputato aveva ricevuto farmaci provenienti da furti perpetrati ai danni di una società di distribuzione farmaceutica. Successivamente, egli aveva reimmesso questi stessi farmaci sul mercato, cedendoli ad altre società e utilizzando fatture per dare una parvenza di liceità alle operazioni.

La linea difensiva: tracciabilità e diversa qualificazione del reato

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su alcuni punti chiave. In primo luogo, si sosteneva che non potesse configurarsi il reato di riciclaggio poiché la catena di tracciabilità dei farmaci non era mai stata interrotta; il bollino farmaceutico originale, infatti, era rimasto impresso sui prodotti. Secondo questa tesi, tale circostanza avrebbe impedito l’occultamento della provenienza delittuosa, elemento costitutivo del riciclaggio.

Inoltre, la difesa chiedeva che il fatto venisse riqualificato come ricettazione o, al più, incauto acquisto, sostenendo che l’attività dell’imputato si era limitata a ricevere la merce rubata. Infine, veniva contestata la violazione del cosiddetto ‘giudicato interno’, poiché la Corte d’Appello avrebbe rivalutato condotte per le quali l’imputato era già stato assolto in primo grado.

La decisione della Corte sul riciclaggio farmaci

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile, confermando la condanna per riciclaggio. I giudici hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, fornendo chiarimenti fondamentali sulla configurabilità del reato.

La tracciabilità non è un ostacolo al riciclaggio

Il punto centrale della sentenza è che la tracciabilità del bene non esclude il delitto. La Corte ha affermato che, sebbene il codice farmaceutico fosse rimasto identificabile, le operazioni poste in essere dall’imputato (ricezione dei beni rubati e successiva cessione a terzi tramite fatturazione) erano idonee a ostacolare l’identificazione della loro origine delittuosa. La condotta non si è limitata a una semplice ricezione, ma ha comportato la commercializzazione dei beni, sostituendo di fatto il titolare del diritto e rendendo più complessa la ricostruzione del flusso illecito.

La differenza tra riciclaggio e ricettazione

La Cassazione ha ribadito la distinzione tra i due reati. La ricettazione si consuma con la mera ricezione di un bene di provenienza illecita. Il riciclaggio farmaci, invece, presuppone un’attività successiva e ulteriore, finalizzata a ‘ripulire’ il bene e a re-inserirlo nei canali economici legali. In questo caso, la rivendita a terzi in cambio di denaro, mascherata da operazioni commerciali lecite, integra pienamente la condotta tipica del riciclaggio, poiché va oltre il semplice acquisto o la ricezione passiva.

Le motivazioni della Corte

Nelle motivazioni, la Suprema Corte ha citato precedenti giurisprudenziali consolidati, anche in materia di riciclaggio di assegni o denaro, dove la tracciabilità dell’operazione non aveva impedito la configurabilità del reato. L’elemento decisivo è l’idoneità della condotta a ostacolare concretamente l’individuazione della provenienza delittuosa del provento. La commercializzazione dei farmaci, accompagnata dall’emissione di fatture, rappresenta proprio una di queste condotte, poiché mira a sostituire il titolare del bene e a mascherare il trasferimento illecito sotto un’apparente regolarità formale.

In merito alla presunta violazione del giudicato interno, la Corte ha specificato che il giudice d’appello ha piena facoltà di riesaminare i punti della decisione oggetto di gravame, senza essere vincolato dalle prospettazioni dell’appellante, nel rispetto del divieto di reformatio in peius.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza un principio fondamentale nella lotta al riciclaggio: non è necessario che il bene illecito venga materialmente trasformato o reso irriconoscibile per configurare il reato. È sufficiente compiere operazioni che ne ostacolino la tracciabilità giuridica e ne consentano la re-immissione nell’economia legale. Per gli operatori di qualsiasi settore, ciò significa che la semplice apparenza di legalità di una transazione, come l’emissione di una fattura, non mette al riparo da pesanti conseguenze penali se l’origine del bene è illecita e se si contribuisce attivamente a mascherarla.

La tracciabilità di un prodotto rubato, come un farmaco con bollino, esclude il reato di riciclaggio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la circostanza che la catena di tracciabilità del farmaco non sia stata interrotta non è decisiva per escludere il reato di riciclaggio. Le operazioni volte a commercializzare il prodotto e a cederlo a terzi sono comunque idonee a ostacolare l’identificazione della sua origine delittuosa.

Qual è la differenza tra il reato di ricettazione e quello di riciclaggio in un caso come questo?
La ricettazione si configura con la semplice ricezione di beni di provenienza illecita. Il riciclaggio, invece, implica un’attività successiva e ulteriore, come la re-immissione dei beni nel mercato mediante cessione a terzi. Questa condotta non si limita a ricevere l’oggetto rubato, ma ne effettua la commercializzazione per sostituire il titolare e ostacolare l’individuazione dell’origine illecita.

Il giudice d’appello può riconsiderare fatti per cui c’è stata un’assoluzione parziale in primo grado?
La Corte chiarisce che la condanna per riciclaggio si basava su fatti distinti da quelli per cui c’era stata assoluzione (esercizio arbitrario della professione). In generale, il giudice d’appello ha gli stessi poteri del primo giudice sui punti della decisione che sono stati impugnati e può riesaminare le questioni, purché rispetti il divieto di peggiorare la pena per l’imputato (divieto di ‘reformatio in peius’) se solo lui ha presentato appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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