Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34322 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 34322  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME n. ad Acerra l’DATA_NASCITA
NOME n. a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 17/1/2025
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del AVV_NOTAIO;
udita  la  requisitoria  del  Pubblico  Ministero,  in  persona  del  AVV_NOTAIO  generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito  il  difensore  di  NOME  COGNOME,  AVV_NOTAIO,  comparso  anche  in  sostituzione dell’AVV_NOTAIO per COGNOME  NOME, che ha illustrato i motivi  chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Napoli riformava limitatamente al trattamento sanzionatorio la decisione del locale Tribunale in data 07/10/2019, riducendo ad anni cinque, mesi sei di reclusione ed euro 20.000 di multa la pena inflitta a COGNOME NOME per i delitti di usura ascrittigli ai capi A ed F della rubrica; confermava, inoltre, l’affermazione di responsabilità di COGNOME NOME per il delitto ex art. 648bis cod. pen. e il relativo trattamento sanzionatorio, determinato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed esclusione dell’aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., in anni tre di reclusione ed euro 4.000 di multa.
Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, i quali hanno dedotto i  motivi di seguito riportati nei termini strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
AVV_NOTAIO nell’interesse di COGNOME NOME ha denunciato:
3.1. Erronea applicazione della legge penale e la contraddittorietà della motivazione.
Il difensore segnala che la Corte territoriale ha disatteso le doglianze difensive in ordine all’inconsapevolezza del COGNOME circa la provenienza illecita degli assegni asserendo che il medesimo ‘partecipa(va) attivamente’ all’attività usuraia degli COGNOME, indicando le intercettazioni dalle quali emergerebbe la diretta cointeressenza dell’imputato quale beneficiario del danaro versato dall’usurato NOME COGNOME e rimarcando il suo intervento per risolvere la questione relativa alla falsa denunzia di smarrimento di un assegno presentata dalla moglie di NOME COGNOME, persona offesa del delitto d’usura sub F. Aggiunge che la sentenza impugnata ha, altresì, evidenziato la piena collaborazione prestata dall’imputato alle esigenze di monetizzazione dei titoli da parte degli COGNOME e l’attività posta in essere per giustificare gli incassi degli assegni consegnati dagli usurati, che venivano ascritti a giocate mai effettuate o a forniture di dolci. Secondo il difensore la motivazione rassegnata dalla Corte di merito dà conto del concorso del ricorrente, quantomeno morale, nella consumazione del reato presupposto di usura sicché i giudici d’appello avrebbero dovuto riqualificare in tal senso il fatto, dichiarandone l’estinzione per maturata prescrizione.
3.2. Omessa motivazione in ordine alla richiesta di derubricazione del reato di riciclaggio in quello di ricettazione formulata con il quarto motivo d’appello.
Il  difensore  lamenta  che  la  Corte  d’appello  ha  del  tutto  trascurato  la  richiesta  di riqualificazione avanzata con l’atto di gravame ed illustrata durante la discussione orale con
richiami alla giurisprudenza di legittimità, che esclude la possibilità di ravvisare il delitto di riciclaggio nelle ipotesi di cambio assegni per contanti, operazione da ricondurre eventualmente alla fattispecie di ricettazione.
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO nell’interesse di NOME denuncia:
4.1. Vizio della motivazione, per mancanza, carenza e mera apparenza della stessa, con riguardo alla sussistenza dei rapporti usurai contestati ai capi A ed F della rubrica, essendo stato omesso ogni riferimento ai parametri legali impiegati ai fini del calcolo del tasso soglia e con riguardo all’avvenuta consumazione degli illeciti.
Il difensore sostiene che la Corte territoriale, con riguardo alla natura usuraia dei rapporti intrattenuti da NOME, separatamente giudicato, con le persone offese, si è limitata a richiamare  la  pronuncia  di  condanna  irrevocabile  riportata  dal  predetto  NOME  senza argomentare in ordine alle risultanze che attestano che i prestiti erogati a COGNOME NOME e COGNOME NOME prevedevano la corresponsione di interessi superiori al tasso soglia.
4.2. Vizio di motivazione per avere la Corte di merito eluso il confronto con le doglianze devolute con particolare riguardo alla consapevolezza dell’imputato circa la natura usuraia della  pretesa  vantata da  NOME NOME nei confronti delle persone offese  e al coefficiente soggettivo della condotta concorsuale del ricorrente.
Il difensore lamenta che la Corte di merito ha apoditticamente affermato che il ricorrente ha agito nella piena consapevolezza della natura usuraia dei prestiti accordati da NOME alle  persone  offese senza  alcuna  indicazione  delle fonti dalle quali ha  tratto detto convincimento dal momento che pacificamente il ricorrente è rimasto estraneo alla fase della pattuizione dei prestiti e si è limitato a caldeggiarne la restituzione.
4.3. Violazione di legge con riguardo al ritenuto concorso dell’imputato negli illeciti sub A ed F, frutto di una non corretta applicazione dei principi che regolano la materia.
In particolare, il difensore assume che il contributo agevolatore asseritamente prestato alla consumazione del reato sub A consisterebbe nell’invito rivolto alla vittima a saldare il debito contratto senza, tuttavia, chiarire se a detta condotta abbia fatto seguito il pagamento di ratei usurai a favore del figlio del prevenuto. Con riguardo al capo F la natura dell’intervento dello NOME, per come ricostruito dalle sentenze di merito, esclude che ne sia conseguito il pagamento di alcun rateo usuraio e che possa essere qualificato quale contributo al perfezionamento del reato. Pertanto, la Corte di merito ha erroneamente interpretato la disciplina del concorso di persone in relazione al delitto d’usura, che si atteggia a reato a consumazione prolungata in relazione al quale la partecipazione di un soggetto diverso a quello che ha curato la pattuizione illecita alla fase della riscossione postula il versamento di almeno un rateo. In difetto di siffatta condizione il momento consumativo del reato deve
essere  individuato  al  momento  dell’accordo  usuraio.  Nella  specie,  pertanto,  difettavano  i presupposti del concorso ex art.  110  cod.  pen.  e  la  condotta ascritta al ricorrente poteva eventualmente essere riqualificata alla stregua del delitto di favoreggiamento.
4.4. Violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla mancata esclusione della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 644, quinto comma, n. 3, cod. pen.
Il difensore sostiene che la Corte di merito non ha fornito congrua risposta alle doglianze inerenti alla sussistenza della aggravante dello stato di bisogno. In particolare, i giudici d’appello hanno omesso la motivazione con riguardo all’imputazione sub F mentre in relazione al capo A hanno fornito una ‘nozione psicologica’ dello stato di bisogno, valorizzando la condizione di prostrazione della persona offesa che emerge dalle intercettazioni, omettendo qualsivoglia valutazione circa la natura essenziale delle esigenze di vita che avrebbero imposto alla persona offesa il ricorso al credito in termini cogenti e non di mera convenienza. Il difensore deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente valorizzato la percezione personale della propria situazione da parte dell’usurato, trascurando che la sussistenza della circostanza deve essere valutata sulla base di indicatori dello stato di bisogno oggettivi e fondati su parametri comunemente accettati e riscontrabili, versante rimasto estraneo all’apprezzamento della Corte di merito. Aggiunge che, alla luce dei principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità, l’aggravante sussiste esclusivamente quando il ricorso al credito usuraio sia giustificato dalla necessità di soddisfare fondamentali esigenze di vita tale da determinare una particolare vulnerabilità della persona offesa nel rapporto contrattuale.
4.5. Violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della diminuente di cui all’art. 442 cod. proc. pen., stante l’omessa motivazione in ordine alle doglianze difensive concernenti il diniego opposto dal Giudice per le indagini preliminari alla richiesta di accesso al giudizio abbreviato condizionato, ribadita in limine dinanzi al Tribunale.
Il difensore lamenta che la Corte d’Appello non ha fornito risposta ai rilievi difensivi in ordine alla censurabilità del rigetto della richiesta di abbreviato condizionato sull’assunto della incompatibilità con le finalità del rito dell’integrazione probatoria richiesta, pur disponendo di elementi di fatto, emergenti dallo svolgimento dell’istruttoria dibattimentale, e di parametri giuridici desumibili dall’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. novellato, che avrebbero imposto di accogliere le doglianze difensive, accordando la diminuente richiesta.
4.6. Mancanza di motivazione e il travisamento della prova in relazione all’intestazione fittizia di cui al capo L in ordine alla quale il primo giudice aveva pronunciato declaratoria di estinzione per maturata prescrizione.
Il difensore sostiene che la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato le censure difensive intese al proscioglimento nel merito in relazione all’addebito di intestazione fittizia mosso al prevenuto, trascurando le spontanee dichiarazioni dell’imputato e di NOME,
le  risultanze  dell’esame  del  consulente  tecnico  della  difesa  e  la  produzione  documentale effettuata, dalle quali emerge che l’immobile oggetto di contestazione risultava acquistato molti anni prima dei fatti a giudizio e risultava fin dall’origine nell’esclusiva disponibilità di NOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo proposto nell’interesse di COGNOME NOME è precluso dalla mancata devoluzione in appello e s’appalesa, comunque, manifestamente infondato. Contrariamente a quanto assume la difesa, la Corte territoriale non ha mai affermato la partecipazione del ricorrente all’attività usuraia degli NOME, essendosi invece espressa nel senso di una piena collaborazione con i predetti ‘nell’attività di nascondimento delle somme provento di reato nell’attività lecita di scommesse eurobet’ (pag. 9). Il primo giudice (pag. 71 e segg.), adesivamente richiamato dalla sentenza impugnata, ha ampiamente ricostruito sulla base degli esiti delle intercettazioni il ruolo del ricorrente e il sistema di riciclaggio dei proventi dell’usura, realizzato facendo confluire nella cassa del conto giochi assegni costituenti il profitto del reato, per tal via simulando che i versamenti fossero puntate effettuate a titolo di scommesse, e ha dato conto delle ragioni a sostegno della piena consapevolezza del ricorrente circa la provenienza illecita delle provviste conferite.
La circostanza, emergente dalle conversazioni intercettate, che il prevenuto conoscesse la persona offesa NOME e fosse edotto da NOME del prossimo incasso di assegni a titolo di interessi, destinati alla monetizzazione attraverso l’agenzia di scommesse, lungi dal provare  il  concorso  del  ricorrente  nel  delitto  presupposto  denota,  come  concordemente ritenuto dai giudici di merito, la consapevolezza dello stesso circa la derivazione delittuosa delle somme oggetto di riciclaggio.
 Il  secondo  motivo  che  denunzia  l’omessa  motivazione  in  ordine  alla  richiesta  di riqualificazione del fatto alla stregua del delitto di ricettazione è manifestamente infondato.
La Corte territoriale a pag. 9 ha confermato la correttezza della qualificazione giuridica del fatto addebitato ai sensi dell’art. 648bis cod. pen., escludendo la possibilità di derubricazione nell’ipotesi di favoreggiamento reale. L’ulteriore richiesta di riqualificazione nel delitto di ricettazione deve ritenersi, nella specie, implicitamente ma inequivocamente disattesa per incompatibilità logica con le conclusioni rassegnate dalla sentenza impugnata, pienamente coerenti con i principi declinati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Questa Corte ha, infatti, chiarito che il delitto di riciclaggio si distingue da quello di ricettazione in relazione all’elemento materiale, che si connota per l’idoneità ad ostacolare l’identificazione
della provenienza del bene e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo generico di trasformazione della cosa per impedirne l’identificazione (Sez. 2, n. 30265 del 11/05/2017, Giame’, Rv. 270302 – 01; Sez. 2, n. 48316 del 06/11/2015, COGNOME, Rv. 265379 – 01) ed ha precisato che integra il delitto di riciclaggio, e non quello di ricettazione, la condotta di chi, dopo aver ricevuto un assegno di delittuosa provenienza ne sostituisca il valore con denaro contante, realizzando la condotta, tipica del riciclaggio, di sostituzione idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme costituenti il controvalore del titolo (tra molte, Sez. 2, n. 4853 del 16/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284437 – 01; Sez. 2, n. 52549 del 20/10/2017, COGNOME, Rv. 271530 – 01; Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015, dep. 2016, Roberti, Rv. 265988 – 01).
3. Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME è infondato in maniera manifesta. La Corte territoriale (pag. 6 e segg.) ha richiamato le dichiarazioni delle persone offese COGNOME e COGNOME, confermandone l’attendibilità intrinseca ed estrinseca, e precisando l’entità degli interessi da costoro corrisposti a fronte dei prestiti ottenuti da NOME, pari rispettivamente al 3% e al 4% mensile. Già il primo giudice (pag. 23) aveva al riguardo precisato, con riferimento al COGNOME, che il tasso soglia del periodo storico di riferimento risultava ampiamente superato, risultando pattuiti ed esatti interessi corrispondenti ad un tasso del 36% annuo, nettamente superiore a quello praticato nell’arco temporale di interesse da parte degli istituti bancari, segnalando, altresì, con riguardo al COGNOME ( pag. 70), che ‘ l’indice del rateo di usura era stabilito sull’importo di volta in volta ricapitalizzato’ per effetto dell’inadempimento del debitore. Entrambi i giudici di merito richiamavano a definitivo conforto l’accertamento irrevocabile di cui alla sentenza a carico di NOME NOME, separatamente giudicato nelle forme del rito abbreviato. La difesa esprime mero dissenso rispetto all’apprezzamento della Corte territoriale senza chiarire quali specifiche circostanze di decisivo rilievo siano state pretermesse, suscettibili di minare l’apparato giustificativo rassegnato.
4. Il secondo e terzo motivo che revocano in dubbio la sussistenza degli estremi costitutivi del concorso nei reati ravvisato a carico del ricorrente sono manifestamente infondati. Quanto alla conoscenza da parte dell’imputato della natura dei rapporti intrattenuti dal figlio con la persona offesa COGNOME, la difesa trascura di considerare che, alla stregua delle dichiarazioni della persona offesa ampiamente riportate alla pag. 21 e segg. della sentenza del Tribunale, consta che il COGNOME aveva chiesto e ottenuto prestiti ad interessi usurari direttamente da NOME fin dal 1990 e dal 2010 aveva instaurato analogo rapporto con il figlio NOME attraverso la monetizzazione di assegni postdatati. In detto contesto le pressanti sollecitazioni
rivolte dall’imputato alla vittima perché desse corso ai pagamenti dovuti sono state ritenute e qualificate dai giudici di merito quale fattivo e concludente contributo agevolatore al fine di indurre la persona offesa al pagamento degli interessi convenuti. Ad analoga conclusione le concordi sentenze di merito sono pervenute in relazione alla vicenda del COGNOME, il quale ha riferito (pag. 26 sent. Trib.) di pregressi rapporti di natura usuraria intercorsi direttamente con NOME e ha precisato che, anche riguardo ai rapporti successivamente intrattenuti con il figlio NOME, il ricorrente aveva più volte sollecitato i pagamenti, recandosi a tal fine in ben due occasioni a Salerno ove il COGNOME operava commercialmente. Alla luce delle circostanze fattuali evidenziate i rilievi difensivi in ordine alla pretesa inconsapevolezza del prevenuto circa la natura dei rapporti intercorsi tra il figlio NOME e le persone offese appaiono destituiti di fondamento al pari delle censure in punto di partecipazione agli illeciti sub A e F.
4.1. Questa Corte ha da tempo chiarito che il momento di consumazione del delitto di usura, in caso di rateizzazione nella corresponsione del capitale e degli interessi illeciti pattuiti, si individua nella dazione effettiva dei singoli ratei e non nella illecita pattuizione (Sez. 2, n. 42322 del 19/06/2009, Iannini, Rv. 245240 – 01) e, poiché a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, si deve ritenere che il reato di usura sia annoverabile tra i delitti a “condotta frazionata” o a “consumazione prolungata”, concorre nel reato previsto dall’art. 644 cod. pen. solo colui il quale, ricevuto l’incarico di recuperare il credito usurario, sia riuscito a ottenerne il pagamento; negli altri casi, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento personale o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione, posto che il momento consumativo del reato di usura rimane quello originario della pattuizione (cfr., Sez. 2, n. 41045 del 13/10/2005, Casadei, Rv. 232698 – 01; Sez. 5, n. 42849 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 262308 – 01; Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, Cardamone, Rv. 264887 – 01).
Nella specie, le risultanze dibattimentali, analiticamente scrutinate dal primo giudice e condivise dalla sentenza impugnata, attestano (pag. 22) che la persona offesa COGNOME ha continuato a versare gli interessi pattuiti fino a dicembre 2013 (la contestazione è chiusa all’agosto 2012) ed ha addirittura consegnato un assegno di euro 3.000 a titolo di rimborso capitale nel dicembre 2014, dopo la prima convocazione della Polizia giudiziaria. Anche nel caso della persona offesa COGNOME consta che la consumazione si è protratta sino al 2014 (pag. 70).
Pertanto,  alla  luce  delle  cennate  evidenze,  correttamente  la  sentenza  impugnata  ha ritenuto che la condotta del ricorrente si è inserita con efficienza causale nel rapporto usuraio originariamente stipulato dalle persone offese con NOME NOME, contribuendo a protrarne la consumazione mediante comportamenti finalizzati ad indurre le vittime al versamento rateale degli interessi pattuiti.
5. Appaiono manifestamente infondate anche le censure di cui al quarto motivo in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dello stato di bisogno. Contrariamente a quanto assume il difensore, non consta che la sentenza impugnata abbia impropriamente adottato una nozione soggettivistica dello stato di bisogno, avendo al contrario evidenziato in più passi, richiamando le dichiarazioni della persona offesa COGNOME, ‘la condizione di dissesto’ della società RAGIONE_SOCIALE (pag. 5) e la crisi di liquidità in cui la stessa da tempo versava (pag. 6) e, quanto al COGNOME, ‘ lo stato di tracollo’ (pag. 8) dovuto alle pessime condizioni finanziarie della sua ditta. A tanto devesi aggiungere che già il primo giudice aveva esaustivamente argomentato la sussistenza della circostanza, illustrando in relazione alla posizione del COGNOME le fonti intercettive e testimoniali dalle quali emerge l’immanente rischio di decozione che gravava sull’impresa dello stesso (pag. 24), rimarcando, in relazione al COGNOME, la condizione di notevole sofferenza economica che l’affliggeva per l’assenza di risorse economiche e la cronica mancanza di liquidità bancaria (pag. 71).
La valutazione dei giudici di merito sfugge a censura in questa sede in quanto coerente con l’indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’aggravante dello “stato di bisogno” è configurabile laddove sussista una particolare condizione psicologica, determinata da un impellente assillo di natura economica, in presenza della quale il soggetto passivo subisca una limitazione della libertà di autodeterminazione che lo induce a ricorrere al credito e ad accettare condizioni usurarie (Sez. 2, n. 1255 del 04/10/2022, dep. 2023, Perciballi, Rv. 284286 – 01; Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266162 – 01).
6. Ad esiti di inammissibilità per genericità deve pervenirsi con riguardo al quinto motivo che denunzia l’omessa motivazione in ordine al diniego della diminuente ex art. 442 cod. proc. pen., oggetto di censura nel sesto motivo d’appello a firma dell’AVV_NOTAIO. Il ricorrente deduce di aver chiesto il giudizio abbreviato condizionato all’esame di un consulente e di due testi sul tema della confisca, obbligatoria ai sensi dell’art. 644, ultimo comma, cod. pen., ma non ha prodotto il verbale dell’udienza preliminare contenente la richiesta e l’ordinanza reiettiva, né l’ordinanza del Tribunale, trascurando, a tacere della violazione del principio dell’autosufficienza, di chiarire le ragioni per cui la prova richiesta fosse decisiva.
La  giurisprudenza  di  legittimità  ha  in  più  occasioni  precisato  –  in  tema  di  giudizio abbreviato condizionato – che il giudice dibattimentale deve sindacare il provvedimento di rigetto, assunto nell’udienza preliminare, secondo una valutazione ” ex ante “, di verifica della ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta dall’imputato alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa, tenendo tuttavia conto, come
criterio ausiliario, e di per sé non risolutivo, anche delle indicazioni sopravvenute dall’istruttoria espletata (cfr., Sez. 1, n. 20495 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 276311 – 01; Sez. 6, n. 41695 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 268327 – 01; Sez. 6, n. 48642 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261245 – 01), evidenziando, inoltre, che l’imputato che chieda la riduzione di pena per il rito abbreviato condizionato ad integrazione istruttoria deducendo l’illegittimità della ordinanza di rigetto da parte del giudice dell’udienza preliminare, deve allegare ed indicare in modo specifico, a pena di inammissibilità, gli atti con i quali ha coltivato la suddetta richiesta in tutti i gradi di giudizio e di avere dedotto, fin dal primo grado, motivi specifici di gravame avverso il provvedimento del giudice (Sez. 2, n. 53652 del 10/12/2014, COGNOME, Rv. 261633 – 01).
Quanto al conclusivo motivo concernente l’intestazione fittizia ascritta al capo L, la Corte d’appello ha disatteso la richiesta difensiva di proscioglimento nel merito a pag. 8 con argomenti che non prestano il fianco a censura per correttezza giuridica e congruenza logica. I giudici territoriali hanno condiviso le conclusioni attinte dal Tribunale dopo un esauriente scrutinio dell’analisi patrimoniale acquisita e della produzione difensiva, in esito al quale è stata argomentata l’impossibilità di addivenire ad un proscioglimento nel merito a fronte della maturata prescrizione ed è stata disposta la restituzione del bene. Il difensore, in modo del tutto aspecifico, reitera le doglianze già disattese con rilievi di merito senza rapportarsi puntualmente alla motivazione, che ha fatto corretta applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
 Alla  luce  delle  considerazioni  che  precedono  entrambi  i  ricorsi  debbono  essere dichiarati  inammissibili,  con  conseguenti  statuizioni ex art.  616  cod.  proc.  pen.,  come  da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2025
Il Consigliere estensore                                      Il Presidente
NOME COGNOME                                    NOME COGNOME