Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12704 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12704 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a PALMI il 24/08/1975 COGNOME NOME nato a PALMI il 30/10/1986 NOME nato a NOVI LIGURE il 16/11/1960 COGNOME NOME nato a CATANIA il 21/02/1964 avverso la sentenza del 10/05/2024 della Corte d’appello di Torino Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento, con rinvio, della sentenza impugnata udito il difensore avv. COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi Letta la memoria del Procuratore generale
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 maggio 2024 la Corte di appello di Torino, in riforma di quella pronunciata dal Tribunale di Alessandria il 6 luglio 2022, ha ritenuto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del reato di cui agli artt. 110 e 648 bis cod. pen., per aver alterato il numero di telaio di un miniescavatore che COGNOME aveva ricevuto da un soggetto non identificato, attribuendogli altro numero di telaio di un mezzo analogo.
In particolare, NOME e NOME COGNOME lo ridipingevano consegnandolo a Civita per l’impiego in cantiere.
Le sentenze di merito hanno ricostruito il fatto nei seguenti termini.
L’indagine prendeva avvio nel 2013 e traeva origine dal rinvenimento di materiale di provenienza furtiva all’interno di un capannone sito a Tortona, zona nella quale si erano verificati numerosi furti.
Veniva controllata l’impresa COGNOME NOME e NOME, anche mediante una telecamera di sorveglianza collocata all’esterno del piazzale antistante la proprietà.
Il 22 aprile 2013 veniva notato l’arrivo di un furgone condotto da NOME COGNOME dal quale veniva scaricato un miniescavatore COGNOME di colore beige, riposto poi nel capannone, alla presenza di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Venivano poi notati, presso il cantiere sito in INDIRIZZO, un altro miniescavatore marca COGNOME di colore blu, e, al di fuori del capannone, l’escavatore scaricato da COGNOME completamente riverniciato di arancione, che gli operatori di polizia giudiziaria riferivano essere, dalle fattezze e dalle caratteristiche, proprio quel COGNOME
La circostanza risultava confermata, due giorni dopo, dalla presenza di due escavatori, l’COGNOME e il COGNOME arancione, entrambi con lo stesso numero di telaio; i mezzi venivano sottoposti a sequestro.
Dell’COGNOME veniva rivenuto il proprietario, NOME COGNOME il quale esibiva un atto di compravendita; del COGNOME non risultavano, al momento del sopralluogo, documenti attestanti la proprietà, nØ alcuna denuncia di furto.
Da una consulenza tecnica, ancora, emergeva che il numero di telaio del COGNOME era stato contraffatto.
Risultavano subito dopo, da alcune celle telefoniche, spostamenti veloci degli Attisano, sino al raggiungimento della località ove abitava COGNOME e, da alcune intercettazioni, conversazioni aventi ad oggetto i mezzi sottoposti a sequestro.
In particolare, NOME COGNOME chiedeva a Civita dove si trovassero.
La Corte di appello di Torino, riformando la sentenza assolutoria per insussistenza del fatto pronunciata dal Tribunale di Alessandria, senza procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, bensì solo attraverso una diversa valutazione degli elementi istruttori, costituiti, essenzialmente, da riprese video e intercettazioni, Ł pervenuta all’affermazione della penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine al reato di cui all’art. 648 bis cod. pen.
Dalle videoriprese delle telecamere emergeva che quello di cui al capo di imputazione fosse l’unico escavatore entrato nell’azienda degli Attisano in quel periodo, circostanza da cui dedurre che gli stessi non si occupavano del commercio di escavatori.
Rilevanti venivano ritenuti: il tentativo di occultare la provenienza illecita del mezzo, riportando il numero di telaio di altro regolarmente circolante che si trovava nella disponibilità di Civita; l’intercettazione tra Civita e Attisano, in cui i due discutevano proprio di tale questione; la circostanza che presso il cantiere ci fossero due escavatori, entrambi con lo stesso numero di telaio, e che uno dei due fosse quello portato dal COGNOME; il fatto che Civita non avesse a disposizione i documenti del miniescavatore; la consulenza tecnica che accertava la contraffazione del numero di telaio del COGNOME; la preoccupazione degli imputati successivamente al sequestro, per come emersa dalle intercettazioni; l’inverosimiglianza delle loro dichiarazioni.
La Corte riteneva provato, dunque, che il miniescavatore COGNOME fosse di provenienza illecita, poichØ nessuno era stato in grado di indicarne l’origine, e stante l’avvenuta riverniciatura.
Avendo concorso nella manomissione di elementi volti alla identificazione del mezzo, gli imputati venivano ritenuti responsabili del delitto di cui all’art. 648-bis cod. pen.
Avverso la sentenza propongono ricorsi per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME con unico atto introduttivo predisposto dal comune difensore, avv. NOME COGNOME articolando cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo eccepiscono violazione di legge in relazione agli artt. 270 e 266 cod.
proc. pen., per essere state ritenute utilizzabili le intercettazioni telefoniche disposte inizialmente per il reato di associazione per delinquere, poi archiviato, come prova del diverso reato di riciclaggio, iscritto in diverso procedimento penale successivamente riunito al precedente.
I ricorrenti ritengono che il concetto di ‘medesimo procedimento’ debba essere inteso non in senso formale o occasionale, come quello derivante dal collegamento delle indagini, dall’appartenenza ad un medesimo contesto investigativo o dal medesimo numero di iscrizione del fascicolo processuale, ma in senso oggettivo, probatorio o finalistico.
L’associazione per delinquere oggetto di iniziale contestazione era caratterizzata esclusivamente dalla finalizzazione alla consumazione di reati di furto, nonchØ da una compagine soggettiva differente da quella oggetto del procedimento, essendo indagato il solo NOME COGNOME e risultando, quindi, il reato di riciclaggio una fattispecie nuova e autonoma.
Infine, deducono, ai fini della prova di resistenza, l’essenzialità del dato indiziario asseritamente inutilizzabile ai fini della dimostrazione del reato contestato.
4.2. Con il secondo motivo eccepiscono inosservanza o erronea applicazione degli artt. 648 e 648 bis cod. pen. e art. 74, comma 6, cod. strada, nonchØ manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova.
In particolare, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare la circostanza che si fosse riusciti a risalire al numero originario di matricola dell’escavatore e che non risultasse alcuna denuncia di furto.
COGNOME, avendo unicamente condotto l’escavatore presso l’abitazione degli Attisano, senza coinvolgimenti nelle operazioni successive o in conversazioni rilevanti con gli altri imputati, non sarebbe responsabile del riciclaggio.
Vi sarebbe, inoltre, prova dell’ingresso di ulteriori escavatori nella proprietà degli COGNOME e contraddizione tra la versione per la quale il numero di telaio apposto sull’escavatore fosse illeggibile e quella per la quale, invece, fosse leggibile, nonchØ contraffatto.
4.3. Il terzo motivo riguarda la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’omessa motivazione rafforzata, necessaria in caso di riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, non avendo la Corte torinese alcun serio ed effettivo confronto con le argomentazioni svolte dalla sentenza di primo grado.
4.4. Con il quarto motivo i ricorrenti eccepiscono violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 178, comma 1, lett. c), 180, 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., e art. 6 Cedu, in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale relativamente all’esame dei testi di polizia giudiziaria e degli imputati.
4.5. Infine, con il quinto motivo eccepiscono violazione di legge in relazione alla mancata riduzione della pena attenuante di cui all’art. 648 bis, comma quarto comma, cod. pen. tenuto conto dell’entità della pena prevista per il delitto ritenuto presupposto.
Il difensore ha depositato istanza di trattazione orale. Il Procuratore generale ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł complessivamente infondato.
Il primo motivo di ricorso Ł infondato.
La questione processuale posta sin dal giudizio di primo grado riguarda l’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni disposte per il delitto di associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen.
in relazione anche al residuo reato di cui all’art. 648 bis cod. pen.
In sostanza, essendo intervenuto provvedimento di archiviazione per l’ipotizzato delitto associativo, la difesa postula l’inutilizzabilità degli esiti delle relative captazioni per gli altri residui reati, stante l’inesistenza di una qualsiasi relazione di connessione.
Nel caso di specie, si Ł verificato, quindi, che le intercettazioni sono state disposte per il delitto associativo per il quale Ł intervenuta archiviazione e le intercettazioni sono state utilizzate per il delitto di riciclaggio, originariamente iscritto in procedimento diverso ma successivamente riunito a quello per il delitto oggetto di definizione anticipata, senza alcun esercizio dell’azione penale.
Sul punto, le considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso, pur essendo astrattamente corrette, non conducono all’esito auspicato dal ricorrente.
Invero, deve convenirsi con il fatto che occorre confrontarsi con l’orientamento del massimo organo nomofilattico in base al quale «in tema di intercettazioni, il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali Ł obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata “ab origine” disposta, semprechØ rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395 – 01).
Nella motivazione di tale sentenza, peraltro ampiamente riprodotta in ricorso, le Sezioni Unite hanno illustrato le ragioni per le quali hanno inteso optare per l’adesione all’orientamento, in punto di nozione di «procedimento diverso» secondo cui la stessa «non coincide con quella di “diverso reato” (ex plurimis, Sez. 6, n. 1972 del 16/05/1997, COGNOME, Rv. 210044; Sez. 2, n. 9579 del 19/01/2004, COGNOME, Rv. 228384; Sez. 4, n. 7320 del 19/01/2010, Verdoscia, Rv. 246697; piø di recente, Sez. 3, n. 52503 del 23/09/2014, COGNOME, Rv. 261971; Sez. 2, n. 43434 del 05/07/2013, Bianco, Rv. 257834), essendo la prima piø ampia della seconda; nØ la nozione di “procedimento diverso” può essere ricollegata a un dato di ordine meramente formale, quale il numero di iscrizione nell’apposito registro della notizia di reato (ex plurimis, Sez. 6, n. 1972 del 1997, COGNOME, cit.; Sez. 1, n. 46075 del 04/11/2004, COGNOME, Rv. 230505; Sez. 2, n. 7995 del 03/02/2006, Polignano; Sez. 3, n. 29473 del 09/05/2012, Rv. 253161; piø di recente, Sez. 2, n. 3253 del 10/10/2013, dep. 2014, Costa, Rv. 258591; Sez. 2, n. 27473 del 29/05/2014, Lo Re), posto che la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l’utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale (Sez. 3, n. 33598 del 08/04/2015, COGNOME); decisivo, invece, Ł il riferimento al contenuto della notizia di reato, ossia al fatto-reato in relazione al quale il pubblico ministero e la polizia giudiziaria svolgono le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (ex plurimis, Sez. 6, n. 5192 del 25/02/1997, COGNOME, Rv. 209306; Sez. 3, n. 29856 del 24/04/2018, COGNOME, Rv. 275389). Il legame tra la notizia di reato in relazione alla quale Ł stata autorizzata l’intercettazione e quella emersa dai risultati dell’intercettazione che, se riconosciuto, esclude la diversità dei procedimenti e, con essa, il divieto di utilizzazione di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen., Ł delineato facendo riferimento ad indagini strettamente connesse e collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico al reato alla cui definizione il mezzo di ricerca della prova Ł stato autorizzato (ex plurimis, Sez. 6, n. 2135 del 10/05/1994, COGNOME, Rv. 199917; Sez. 3, n. 1208 del 14/04/1998, COGNOME, Rv. 210950; Sez. 1, n. 2930 del 17/12/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223170; Sez. 3, n. 348 del 13/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238779; Sez. 6, n. 11472 del 02/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246524; piø di recente, Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, COGNOME, Rv. 254285; Sez. 6, n. 20910 del 15/03/2012, COGNOME, Rv. 252863; Sez. 5, n. 26693 del 20/01/2015, Catanzaro, Rv. 264001; Sez. 5, n. 32779 del 10/05/2016, COGNOME;
Sez. 3, n. 28516 del 28/02/2018, COGNOME, Rv. 273226; nonchØ Sez. 4, n. 7320 del 2010, Verdoscia, cit. e Sez. 2, n. 19730 del 01/04/2015, COGNOME, Rv. 263527 (…)), non potendosi risolvere nell’esistenza di un collegamento meramente fattuale ed occasionale (Sez. 3, n. 2608 del 05/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266423), ma essendo necessaria la sussistenza di una connessione ex art. 12 cod. proc. pen. o di un collegamento ex art. 371, comma 2, lett. b) e c), sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico (ex plurimis, Sez. 6, n. 6702 del 16/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262496; Sez. 3, n. 33598 del 08/04/2015, COGNOME)».
Nel caso di specie, non essendo previsto per il reato di riciclaggio l’arresto obbligatorio in flagranza, Ł necessario che vi sia una connessione, tra tale reato e quello per il quale erano state disposte le intercettazioni, qualificabile ex art. 12 cod. proc. pen.
In sostanza, la Corte di appello ha operato tale verifica, avendo affermato, sebbene in termini sintetici, l’esistenza della connessione del delitto di cui al capo c) con l’originaria ipotesi associativa.
Non colgono nel segno, a tale proposito, le censure del ricorrente atteso che la connessione emerge tanto dalle varie richieste di autorizzazione ad intercettazione telefonica relative al reato di associazione per delinquere in capo a NOME COGNOME, quanto dalle relative autorizzazioni: le espressioni «operazioni di riciclaggio» e «capacità di ricollocamento della merce rubata» in esse riportate non possono non indicare che vi fosse già un sufficiente riferimento al reato di riciclaggio contestato.
A tale proposito, si richiamano le richieste del pubblico ministero in data 12 marzo 2013 e a quella del 26 marzo 2013.
In particolare, nella seconda si fa riferimento alla consumazione di reati contro il patrimonio.
Emerge, quindi, con evidenza, la connessione tra il delitto associativo e il riciclaggio contestato, poichØ già nelle richieste e nei decreti di intercettazione Ł stata fatta menzione dell’attività di ricollocamento della merce rubata e di utilizzo di autovetture con targhe rubate.
E’ altrettanto chiaro che, a seconda della merce rubata, il ricollocamento può o meno richiedere anche l’alterazione dei dati identificativi e, quindi, il riciclaggio contestato e ritenuto dalla Corte di appello di Torino.
Conclusivamente, il motivo di ricorso in esame Ł complessivamente infondato.
Il secondo motivo di ricorso Ł infondato, avendo la sentenza di merito effettuato una valutazione non parcellizzata delle emergenze processuali.
La provenienza furtiva del miniescavatore Ł stata congruamente illustrata, nonostante sia stato possibile risalire al numero originario di matricola del mezzo e non siano presenti denunce di furto.
In tal senso, va segnalato, ad integrazione di quanto sopra esposto, che sono state valorizzate circostanze fattuali quali: il tentativo di occultare la provenienza illecita modificando il numero di telaio e riverniciando il veicolo apponendogli il numero identificativo di altro escavatore nella disponibilità di COGNOME; le conversazioni (ritenute) circospette degli imputati, con particolare riferimento a quelle n. 746 del 23 aprile 2023 e 830 del 26 aprile 2013 (oltre che successive del maggio 2013) ritenute dimostrative del tentativo di occultare la provenienza illecita del mezzo e della consapevolezza di tale provenienza; la difficoltà degli imputati di mostrare i documenti del miniescavatore; la presenza dello stesso numero di telaio su entrambi gli escavatori rinvenuti; la contraffazione, accertata con consulenza tecnica, del numero di telaio del miniescavatore oggetto di contestazione.
E’ stata ritenuta smentita la tesi secondo cui gli COGNOME erano dediti all’attività di commercializzazione di escavatori essendo stato accertato, in particolare, che nessun escavatore diverso da quello condotto da COGNOME, ha fatto ingresso nel piazzale dell’impresa Attisano nel periodo 5 aprile 2013 – 21 maggio 2013.
Da tale compendio Ł stato ritenuto sufficientemente dimostrato anche il coinvolgimento diretto di COGNOME nelle operazioni successive di occultamento della provenienza illecita dell’escavatore.
Correttamente, pertanto, oltre che in termini congruamente motivati, la Corte di appello ha ritenuto formata la prova non solo della mera condotta di contraffazione del numero identificativo del telaio dell’escavatore procurato da COGNOME, ma la funzionalità di tale condotta allo scopo di occultare la provenienza illecita del mezzo, con conseguente configurabilità del delitto di cui all’art. 648 bis cod. pen. in luogo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 74 d.lgs. n. 285 del 1992 (Codice della strada) ritenuto integrato dal Tribunale di Alessandria.
Peraltro, anche nella valutazione della sussistenza del delitto presupposto, i giudici di merito hanno, sostanzialmente, fatto applicazione del principio per cui «l’affermazione di responsabilità per il delitto di riciclaggio non richiede l’accertamento dell’esatta tipologia del delitto non colposo presupposto e, in particolare, la precisa identificazione del soggetto passivo, essendo sufficiente la prova logica della provenienza delittuosa delle utilità oggetto delle operazioni compiute, anche se il delitto presupposto sia delineato per sommi capi quanto alle esatte modalità di commissione» (Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011, P.g. in proc. COGNOME, Rv. 249444 – 01; conforme, fra le altro, Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 263521 – 01 in tema di misure cautelari).
Le questioni relative al contenuto delle intercettazioni e al dedotto travisamento della prova, sono inammissibili.
Quanto al primo profilo, si richiama il principio generale secondo cui «in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01).
La pretesa di individuare canoni interpretativi difformi da quelli adottati dal giudice di merito che, sul punto, ha operato una disamina globale e complessiva del materiale istruttorio, Ł, dunque, inammissibile.
Anche la deduzione del travisamento della prova con riferimento, ancora una volta, a dati captativi e al contenuto dell’annotazione della Polizia municipale del 14 maggio 2013 non supera il vaglio di ammissibilità se solo si considera che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova» (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos, Rv. 283370 – 01).
Inoltre, non risultano adeguatamente illustrate le ragioni per le quali i dati asseritamente travisati dovrebbero ritenersi decisivi e tali da potere disarticolare l’intero impianto motivazionale.
Deve essere ribadito, sul punto, che «il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchØ della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale
incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato» (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
4. Il terzo motivo di ricorso va rigettato.
In capo al giudice di appello che affermi la responsabilità dell’imputato già prosciolto in primo grado incombe un particolare obbligo di motivazione, ossia quello di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, e di confutare specificamente i piø rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U., n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226093; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005 – dep. 2006, COGNOME, Rv. 233083; Sez. 6, n. 34487 del 13/06/2012, COGNOME e altri, Rv. 253434).
Ponendosi in termini di serrato ed effettivo confronto con la sentenza di primo grado, la motivazione della decisione di appello soddisfa ampiamente il requisito della motivazione rafforzata come inteso dalla giurisprudenza di questa Corte.
Invero, la sentenza di primo grado ha affermato, quanto alla configurabilità del delitto di riciclaggio la necessità, smentita dalla giurisprudenza piø accreditata sul punto, della necessità della prova «oltre ogni ragionevole dubbio» della provenienza delittuosa del veicolo oggetto della condotta di riciclaggio.
La Corte di appello, attraverso il ricorso a consentiti argomenti di natura logica (secondo quanto sopra precisato) Ł pervenuta all’affermazione della configurabilità del delitto presupposto di furto fornendo, sul punto, ampia e congrua motivazione.
Ha operato, dunque, una minuziosa e dettagliata rilettura del materiale probatorio spiegando ogni singolo passaggio, assolvendo, così all’obbligo di motivazione rafforzata che, per completezza, risulta solo genericamente eccepito, stante la carente indicazione degli elementi decisivi sui quali sarebbe mancato un effettivo confronto tra le due sentenze di merito.
A fronte, dunque, dell’obbligo per il giudice di tale motivazione c.d. ‘rafforzata’, nel caso in esame la sentenza contiene una ricostruzione delle risultanze probatorie che ben illustra l’iter argomentativo seguito dal giudice per giungere all’affermazione di responsabilità penale degli imputati, dunque l’obbligo può ritenersi assolto.
5. Il quarto motivo di ricorso va rigettato.
Circa la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, l’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. prevede che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso sentenza di assoluzione di primo grado con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, non possa riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza aver proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.
Non può ritenersi ‘decisivo’ un apporto dichiarativo il cui valore probatorio, che in sØ considerato non possa formare oggetto di diversificate valutazioni tra primo e secondo grado, si combini con fonti di prova di diversa natura non adeguatamente valorizzate o erroneamente considerate o addirittura pretermesse dal primo giudice, ricevendo soltanto da queste, nella valutazione del giudice di appello, un significato risolutivo ai fini dell’affermazione della responsabilità (Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 265879; Sez. 2, n. 41736 del 22/09/2015, COGNOME, Rv. 264682; Sez. 3, n. 45453 del 18/09/2014, P., Rv. 260867; Sez. 6, n. 18456 del 01/07/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 263944).
Costituisce, altresì, principio tuttora valido anche sotto la cornice normativa di cui all’art. 603, comma 3 bis, cod., proc. pen. pen. che ha recepito le indicazioni provenienti dalle plurime decisioni delle Sezioni unite a partire da Sez. U., n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491, quello per cui «non sussiste l’obbligo di rinnovazione della istruttoria dibattimentale nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado basata su una diversa interpretazione della fattispecie concreta, alla luce della valutazione logica e complessiva dell’intero compendio probatorio e non sulla base di un diverso apprezzamento della attendibilità di una prova dichiarativa decisiva» (fra le molte, Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, COGNOME, Rv. 275133 – 01).
Nel caso in esame, la riforma della sentenza assolutoria non Ł avvenuta esclusivamente sulla base di una rivalutazione delle prove dichiarative della polizia giudiziaria e degli imputati per le quali Ł stata lamentata la mancata rinnovazione.
La Corte di appello, ponendo in termini corretti e ineccepibili, il tema della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ha ritenuto non necessario l’adempimento proprio alla luce della rivalutazione complessiva dell’intero compendio istruttorio rispetto al quale la prova dichiarativa ha costituto solo una porzione, peraltro, non decisiva.
A ciò si aggiunga che i giudici di appello non hanno operato una nuova valutazione delle risultanze delle prove dichiarative essendosi limitati a prendere atto delle stesse (nel medesimo senso già loro attribuito dal giudice di primo grado) nel contesto di una nuova qualificazione giuridica del fatto che ha lasciato, in sostanza, immutato il modulo ricostruttivo così come adottato dal primo giudice.
Il quinto motivo di ricorso Ł inammissibile in quanto generico.
Viene eccepita una violazione di legge (non già un vizio attinente all’eterogeneo profilo della motivazione) per non essere stata operata la riduzione della pena in conseguenza della configurabilità della ipotesi attenuata di cui all’art. 648 bis, comma quarto, cod. pen.
Il ricorrente non spiega, tuttavia, da quale elemento illustrato in sentenza possa desumersi la configurabilità della fattispecie invocata.
Deve essere, peraltro, ribadito che «in tema di riciclaggio, la circostanza attenuante di cui all’art. 648-bis, quarto comma, cod. pen., trova applicazione nel solo caso in cui la pena edittale prevista per il reato presupposto, computato l’aumento per le aggravanti ritenute sussistenti, anche all’esito di un giudizio effettuato ‘incidenter tantum’ e indipendentemente dall’eventuale bilanciamento ex art. 69 cod. pen., sia inferiore a cinque anni di reclusione. (In motivazione, la Corte ha precisato che depongono in tal senso la lettera della disposizione e la sua “ratio”, che si fonda sul minor disvalore di una condotta avente ad oggetto beni provenienti da un delitto presupposto di contenuta gravità)» (Sez. 2, n. 46211 del 03/10/2023, Rv. 285438).
Alla luce di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/01/2025.
Il Consigliere estensore