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Riciclaggio e frode informatica: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27152/2025, stabilisce una netta distinzione tra riciclaggio e frode informatica. Chi mette a disposizione il proprio conto corrente per ricevere somme di provenienza illecita, senza partecipare attivamente alla frode presupposta né conoscerne le modalità esecutive, risponde di riciclaggio e non di concorso in frode. La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva la riqualificazione del reato, sottolineando che l’azione di ostacolare l’identificazione della provenienza del denaro è tipica del riciclaggio.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio e frode informatica: quando fornire un conto è reato autonomo

La distinzione tra riciclaggio e frode informatica è un tema cruciale nel diritto penale moderno, specialmente con la crescente digitalizzazione delle transazioni finanziarie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 27152/2025) offre un chiarimento fondamentale: chi mette a disposizione il proprio conto corrente per far transitare somme illecite, senza essere a conoscenza delle modalità specifiche della frode, commette riciclaggio e non concorso in frode. Analizziamo questa importante pronuncia.

I fatti di causa

Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per il reato di riciclaggio, previsto dall’art. 648 bis del codice penale. L’imputato aveva messo a disposizione i propri conti correnti per ricevere somme di denaro provenienti da delitti di frode informatica commessi da terzi.
La difesa ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che tale condotta dovesse essere riqualificata come concorso nel delitto di frode informatica (art. 640 ter cod. pen.). Secondo la tesi difensiva, fornire un conto corrente sarebbe un contributo necessario al perfezionamento della frode, inserendosi nella sua ‘sequenza esecutiva’ e permettendo ai truffatori di ottenere l’ingiusto profitto.

La linea di demarcazione tra riciclaggio e frode informatica

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno tracciato una linea netta tra le due fattispecie di reato, basandosi sul ruolo e sul livello di consapevolezza del soggetto che fornisce il conto.

Quando si configura il concorso in frode informatica

Perché si possa parlare di concorso in frode informatica, è necessario che il titolare del conto abbia un accordo con gli autori materiali della frode e sia a conoscenza specifica delle modalità con cui il crimine viene commesso. In pratica, deve esserci una partecipazione consapevole e attiva al piano criminoso finalizzato a sottrarre illecitamente le somme.

Quando si configura il delitto di riciclaggio

Viceversa, si configura il più grave delitto di riciclaggio quando il soggetto, pur senza aver concorso nel delitto presupposto (la frode), si limita a mettere a disposizione il proprio conto per consentire il transito di somme di cui sospetta, o accetta il rischio, la provenienza illecita. La sua azione non è diretta a commettere la frode, ma a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa del denaro e a permettere agli autori del reato di goderne i frutti.

La decisione della Corte sul riciclaggio e frode informatica

La Suprema Corte ha confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito. È stato evidenziato come l’imputato avesse ammesso di non conoscere le modalità esecutive del delitto produttivo del profitto, essendosi limitato a un generico consenso a mettere a disposizione i conti. Questa mancanza di conoscenza specifica esclude una sua partecipazione, anche a titolo di concorso, alla frode informatica.

Il dolo eventuale è sufficiente per il riciclaggio

Un punto chiave della motivazione riguarda l’elemento psicologico del reato. La giurisprudenza è costante nel ritenere che per il delitto di riciclaggio sia sufficiente il dolo eventuale. Ciò significa che non è necessaria la certezza della provenienza illecita del denaro, ma basta che l’agente si rappresenti la concreta possibilità di tale origine e ne accetti il rischio, procedendo comunque con l’operazione.

L’operatività della clausola di riserva

La Corte ha anche richiamato il principio della ‘clausola di riserva’ presente nell’art. 648 bis cod. pen. (‘fuori dei casi di concorso nel reato’). Questa clausola impedisce di punire per riciclaggio chi ha già commesso o concorso a commettere il reato presupposto. Poiché nel caso di specie è stata esclusa la partecipazione dell’imputato alla frode, tale clausola non opera e la condanna per riciclaggio è pienamente legittima.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Non è necessario, per configurare il riciclaggio, che il delitto presupposto sia stato accertato con sentenza passata in giudicato; è sufficiente che il giudice del riciclaggio ne possa accertare l’esistenza in via incidentale. La condotta dell’imputato, che ha ricevuto denaro sul proprio conto per poi incassarlo, integra pienamente la fattispecie di riciclaggio, poiché finalizzata a ‘ripulire’ proventi di cui si accettava il rischio della provenienza illecita. L’azione è tipicamente volta a interrompere il legame tra il denaro e il reato da cui esso origina, consentendo ai reali autori del crimine di beneficiare del profitto in sicurezza. Tale condotta è strutturalmente diversa dal contribuire attivamente, con un accordo e una conoscenza specifica, alla realizzazione della frode stessa.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: prestare il proprio conto corrente per operazioni finanziarie opache, anche per semplice leggerezza o per un piccolo compenso, può integrare il grave delitto di riciclaggio. La mancanza di conoscenza dei dettagli del crimine a monte non è una scusante, ma proprio l’elemento che distingue questa condotta dal concorso nel reato presupposto. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di mantenere la massima trasparenza nella gestione dei propri strumenti finanziari, poiché l’accettazione del rischio di essere coinvolti in attività illecite può avere conseguenze penali molto serie.

Quando la messa a disposizione del proprio conto corrente integra il reato di riciclaggio anziché il concorso in frode informatica?
Si configura il reato di riciclaggio quando il titolare del conto, senza aver partecipato al reato presupposto (la frode), si limita a permettere il transito di somme di denaro accettando il rischio della loro provenienza illecita. Si ha invece concorso in frode informatica quando vi è un accordo specifico con gli autori della frode e una conoscenza delle modalità esecutive del crimine.

È necessario che il reato presupposto (es. la frode) sia stato accertato con una sentenza definitiva per poter condannare per riciclaggio?
No. Secondo la giurisprudenza costante richiamata nella sentenza, non è necessario che la sussistenza del delitto presupposto sia stata accertata con una sentenza di condanna passata in giudicato. È sufficiente che il giudice che procede per il riciclaggio possa riconoscere l’esistenza del fatto costitutivo di tale delitto.

Cosa si intende per dolo eventuale nel delitto di riciclaggio?
Per dolo eventuale si intende la situazione in cui l’agente, pur non avendo la certezza assoluta della provenienza illecita del denaro, si rappresenta concretamente questa possibilità e, accettandone il rischio, compie ugualmente l’operazione richiesta, come ricevere e investire il denaro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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