Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 22825 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 22825 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Custonaci il 03/09/1967
avverso la sentenza del 31/10/2024 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE Alcamese, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o sia rigettato e che il ricorrente sia condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla suddetta parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato;
lette le note dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME difensori di COGNOME MatteoCOGNOME i quali, nel replicare alle conclusioni del Pubblico Ministero, hanno insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 31/10/2024, la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 20/12/2021 del Tribunale di Trapani, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di tre anni di reclusione ed € 2.500,00 di multa per il reato di riciclaggio continuato del denaro, portato da alcuni assegni, proveniente da delitti di usura commessi da NOME COGNOME: a) dichiarava non doversi procedere nei confronti del COGNOME in ordine al suddetto reato perché estinto per prescrizione limitatamente alle condotte diverse da quelle relative agli assegni n. 0012494398 del 27/10/2009 (l’ultima cifra “8” è stata erroneamente indicata come “0” nel dispositivo della sentenza impugnata) e n. 0350285099 del 22/11/2009; b) confermava la condanna del Sottile con riguardo alle condotte relative a questi ultimi assegni; c) rideterminava in due anni e dieci mesi di reclusione ed € 2.500,00 di multa la pena per tali due condotte; d) riduceva la già disposta confisca per equivalente a un valore corrispondente alla somma di € 3.750,00.
Avverso la suddetta sentenza del 31/10/2024 della Corte d’appello di Palermo, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME NOME COGNOME affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 110, 644 e 648-bis cod. pen., e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione.
2.1.1. Dopo avere trascritto parti della motivazione in punto di fatto DELLA sentenza impugnata, il ricorrente deduce che, alla luce di tale motivazione e della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di concorso di persone nel reato, risulterebbe evidente che la condotta a lui attribuita dovrebbe essere qualificata come concorso nel reato di usura, «avendo egli consapevolmente agevolato l’attività di usuraio dello COGNOME, rendendola addirittura possibile e rafforzando comunque l’altrui proposito criminoso».
NOME COGNOME evidenzia in proposito che, secondo la Corte d’appello dì Palermo, la quale ha citato in tal senso il testimone COGNOME «lo COGNOME, allorquando si trovava nella necessità di denaro, fosse solito andare “da NOME a prendere i soldi in contanti”» (pag. 9 della sentenza impugnata).
Inoltre, poiché, secondo la Corte d’appello di Palermo, i fratelli COGNOME (NOME e NOME, quest’ultimo deceduto nel corso del giudizio) «riconsegnavano l’intero importo allo Zichichi» (pag. 2 della sentenza impugnata), in quanto quest’ultimo praticava loro «un tasso di favore» (pagg. 2 e 15 della sentenza impugnata), «econdo le sentenze di merito, quindi, il sistematico
coinvolgimento nell’attività usuraria dello COGNOME avrebbe determinato per i fratelli COGNOME un preciso tornaconto».
Risulterebbe pertanto «evidente» l’erronea applicazione degli artt. 110, 644 e 648-bis cod. pen.
2.1.2. La Corte d’appello di Palermo sarebbe incorsa anche in un vizio motivazionale, sub specie della motivazione apparente e, comunque, manifestamente illogica e contraddittoria «rispetto allo stesso testo del provvedimento impugnato», in quanto: a) si sarebbe «concentra non sull’esclusione dei citati profili di concorso, ma sull’ipotetica autonomia dell’attivit di usura asseritamente svolta dai fratelli COGNOME rispetto a quella di COGNOME»; b) avrebbe affermato «apoditticamente che il teste COGNOME, nel riferire di una “società” tra lo COGNOME e il COGNOME, “faceva riferimento al sistema collaudato, i forza del quale i secondi fossero soliti ripulire il denaro ‘sporco’ per il primo” (pag. 10), confermando così, contraddittoriamente, che di “sistema collaudato” si trattava e che lo stesso fosse funzionale allo svolgimento dell’attività usuraria»; c) «sostenendo, con riferimento all’incontro tra COGNOME e COGNOME alla presenza di NOME COGNOME, che lo stesso avesse avuto solo “carattere occasionale”, salvo poi aggiungere che secondo il COGNOME “l’incontro di cui si tratta, era stato organizzato per ‘chiudere questa situazione” determinata da un errore commesso da NOME COGNOME nell’incasso dell’assegno “in difformità degli accordi presi” (pag. 11), confermando così, ancora una volta contraddittoriamente, che l’incontro non era stato certo “occasionale”».
La Corte d’appello di Palermo avrebbe quindi illogicamente sostenuto che egli non aveva compiuto alcuna condotta concorsuale rispetto all’attività usuraria svolta dallo COGNOME perché non aveva «mai imposto i tassi di interesse usurai, riscosso le somme od intrattenuto rapporti con i debitori» (pag. 11 della sentenza impugnata), «come se fossero solo queste le possibili condotte concorsuali nel delitto di usura», così disattendendo i principi affermati dalla Corte di Cassazione in tema di concorso nel reato.
2.1.3. Secondo il ricorrente, i denunciati vizi di violazione di legge e motivazionali emergerebbero in modo palese alla luce della considerazione che, accedendo all’impostazione della sentenza impugnata, «non risponderebbe di concorso nel delitto di usura il soggetto che consapevolmente fornisca in modo sistematico soldi in contanti all’usuraio per consentirgli di svolgere la sua attività illecita».
2.2. Con il secondo motivo, NOME COGNOME lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 648-bis cod. pen., e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione «in ordine alla
effettiva riconducibilità a NOME COGNOME dei due soli assegni per i quali è stata pronunciata la condanna nei suoi confronti».
Dopo avere premesso che egli è stato condannato solo per le condotte relative agli assegni n. 0012494390 del 27/10/2009 e n. 0350285099 del 22/11/2009, il ricorrente deduce che la motivazione della sentenza impugnata avrebbe perciò dovuto «dare conto delle ragioni per cui ha ritenuto che proprio i due specifici assegni per i quali è stata confermata la condanna di NOME COGNOME fossero stati girati e incassati dal medesimo e non dal fratello NOME COGNOME o comunque avrebbe dovuto dare conto di una specifica consapevolezza in capo a NOME COGNOME della negoziazione di questi due specifici assegni e della restituzione dell’importo complessivo di C 3.750,00 da essi recato allo COGNOME, ma non si rinviene alcuna motivazione sul punto, né nella sentenza impugnata, né in quella di primo grado».
Il ricorrente evidenzia che la girata che figura sui suddetti due assegni era stata apposta da RAGIONE_SOCIALE di cui era amministratore unico NOME COGNOME e non NOME COGNOME come quest’ultimo aveva dichiarato nel corso dell’esame che aveva reso all’udienza del 09/11/2021 e come risultava dalla dichiarazione dei redditi di NOME COGNOME che era stata acquisita nel corso del giudizio di primo grado.
NOME COGNOME rappresenta che non era mai stata svolta alcuna verifica sulla grafia con la quale erano state apposte, sul retro dei due assegni, le girate per RAGIONE_SOCIALE e non vi sarebbe alcuna prova, la quale non sarebbe stata indicata in nessuna delle due sentenze di merito, che ad apporle fosse stato NOME COGNOME e non NOME COGNOME che era l’amministratore unico della società.
Il ricorrente lamenta ancora che, a fronte del proprio motivo di appello sul punto (il quinto), con il quale aveva evidenziato come dalle dichiarazioni dello COGNOME e dal contenuto delle intercettazioni telefoniche risultasse l’esistenza anche di «rapporti esclusivi» tra lo COGNOME e NOME COGNOME, la Corte d’appello di Palermo avrebbe reso (nel quarto e nel settimo capoverso della pag. 13 della sentenza impugnata) una «motivazione generica e non specificamente riferita ai due assegni per i quali è stata confermata la condanna di NOME COGNOME ma che verosimilmente sono stati girati e presentati all’incasso da NOME COGNOME, amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE, alla luce della girata della socie apposta sul retro degli assegni medesimi».
Né i giudici del merito avrebbero indicato «alcuna prova che NOME COGNOME fosse a conoscenza della negoziazione di questi due specifici assegni per i quali è stato condannato».
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe anche contraddittoria, in quanto «riconosce che una parte degli assegni sono stati negoziati da NOME COGNOME: quelli residuali rispetto alla “grandissima maggioranza” attribuita NOME
Sottile (pag. 13)», tra i quali, «alla luce della girata della società (di cui COGNOME era amministratore unico) vi sono verosimilmente proprio i due assegni ancora in contestazione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Con tale motivo, il ricorrente deduce che la sua condotta avrebbe dovuto essere qualificata come concorso nei reati di usura commessi da NOME COGNOME (ai danni, in particolare, della persona offesa COGNOME), sicché egli, in virtù dell clausola di riserva che è contenuta nell’art. 648-bis cod. pen., non avrebbe potuto essere chiamato a rispondere della successiva attività di riciclaggio, che la stessa clausola di riserva fa rientrare nel post factum non punibile.
Con riguardo a tale problematica, la Corte di cassazione ha chiarito che, in tema di riciclaggio di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, il crite per distinguere la responsabilità in ordine a tale titolo di reato dalla responsabilità per il concorso nel reato presupposto – che escluderebbe la prima – non può essere solo quello temporale ma occorre, in più, che il giudice verifichi, caso per caso, se la preventiva assicurazione di “lavare” il denaro abbia realmente (o meno) influenzato o rafforzato, nell’autore del reato principale, la decisione di delinquere (Sez. 5, n. 8432 del 10/01/2007, COGNOME Rv. 236254-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Palermo ha riconosciuto che l’usuraio NOME COGNOME poteva contare su un «sistema collaudato, in forza del quale i secondi fossero soliti ripulire il danar “sporco” del primo» (pag. 10 della sentenza impugnata), come risultava, tra l’altro, anche dalle dichiarazioni del testimone NOME COGNOME. In particolare, in base a tale sistema, lo COGNOME – come era stato anche da lui dichiarato – «era solito consegnare ai fratelli COGNOME gli assegni provenienti dall’usura, facendo incassare il relativo capitale dall’impresa gestita dai Sottile medesimi; quest’ultimi, poi, a distanza di pochi giorni, riconsegnavano l’intero importo allo COGNOME» (così a pag. 2 della sentenza impugnata).
Ciò detto, il Collegio considera che la preventiva disponibilità del menzionato «sistema collaudato» di “ripulitura” del denaro portato dagli assegni provenienti dall’usura praticata dallo COGNOME non si possa reputare avere di per sé influenzato o rafforzato la decisione dello stesso COGNOME – come è richiesto dalla rammentata giurisprudenza della Corte di cassazione ai fini della configurabilità del concorso con l’autore del reato principale – di praticare l’usura, in assenza di elementi, che risultino dalle sentenze di merito, che depongano in tale senso, tenuto anche tra l’altro conto del fatto che, come è stato in realtà non incongruamente valorizzato dalla Corte d’appello di Palermo, lo COGNOME aveva mostrato di distinguere
nettamente la propria attività usuraria da quella che veniva svolta dai fratelli COGNOME («facevano usura per i fatti loro»; pag. 10 della sentenza impugnata).
In effetti, la preventiva disponibilità di un sistema, che sia assicurato da altri, di “ripulitura” del denaro (o di beni o altre utilità) proveniente dal reato che s andrà a commettere, non si può ritenere implicare di per sé che essa abbia influenzato o rafforzato la decisione di commettere il medesimo reato, in assenza di elementi, che risultino univocamente dagli atti, che depongano in tale senso, con la conseguenza che chi abbia preventivamente assicurato la disponibilità di un tale sistema, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, non si può ritenere avere per ciò solo concorso nel reato principale e non abbia, piuttosto, “ripulendo” successivamente il denaro, commesso il delitto di riciclaggio.
Quanto alla contestata affermazione della Corte d’appello di Palermo della natura «occasionale» della presenza dell’imputato all’incontro tra l’usuraio COGNOME e l’usurato COGNOME (pag. 10 della sentenza impugnata), essa, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, non si può ritenere né contraddittoria né manifestamente illogica, atteso che tale «occasionalità» è stata affermata dalla Corte d’appello nel senso che la presenza del Sottile era legata non al prestito usurario che era stato concesso dallo COGNOME al COGNOME ma alla successiva attività di riciclaggio che il Sottile – al quale lo COGNOME aveva consegnato uno degli assegni che gli erano stati rilasciati dal COGNOME – aveva compiuto riscuotendo tale assegno.
Pertanto, con l’escludere che NOME COGNOME avesse concorso nei reati di usura commessi da NOME COGNOME e con l’affermare che lo stesso COGNOME si era invece «limitato a “ripulire” i proventi della suddetta attività illecita» (pag. 11 del sentenza impugnata), la Corte d’appello di Palermo non è incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge e motivazionali.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Come si è visto nella parte in fatto, la condanna del ricorrente è stata confermata dalla Corte d’appello di Palermo limitatamente alle condotte relative agli assegni n. 0012494398 del 27/10/2009 e n. 0350285099 del 22/11/2009.
Come risulta dal capo d’imputazione e dalla sentenza di primo grado:
il primo assegno n. 0012494398 era stato tratto il 27/10/2009 da Bielle RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME per l’importo di C 2.250,00 e il beneficiario era RAGIONE_SOCIALE la quale figurava nella girata per l’incasso (si vedano, in particolare, le pagg. 13-14 e 31 della sentenza di primo grado);
il secondo assegno n. 0350285099 era stato tratto il 22/11/2009 sempre da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME per l’importo di C 1.500,00 all’ordine di RAGIONE_SOCIALE (si vedano, in particolare, le pagg. 13-14 e 31 della sentenza di primo grado).
Ciò posto, la Corte d’appello di Napoli ha motivato la responsabilità di NOME COGNOME per il riciclaggio di tali due assegni sulla base delle argomentazioni che: a)
come si è visto esaminando il primo motivo, esisteva un sistema collaudato in base al quale i fratelli NOME COGNOME e NOME COGNOME “ripulivano” il denaro “sporco”
dello COGNOME il quale era solito consegnare ai due fratelli COGNOME gli assegn provenienti dalla sua attività di usura, facendo incassare le somme portate dagli
assegni dall’impresa che era gestita dagli stessi fratelli COGNOME (la RAGIONE_SOCIALE b) tale società era di fatto riconducibile ad entrambi gli stessi fratelli; c)
NOME COGNOME aveva affermato di avere intrattenuto rapporti principalmente con NOME COGNOME.
Il Collegio reputa che, alla luce di tali del tutto logiche e non contraddittorie argomentazioni, la Corte d’appello di Palermo, col ritenere il concorso di NOME
Sottile nel riciclaggio dei due assegni sopra indicati, anche a prescindere da qualsiasi ruolo formale da lui rivestito in RAGIONE_SOCIALE e anche dal fatto
potesse eventualmente essere stato il fratello NOME, in quanto amministratore della società, a girare e incassare materialmente i due assegni, non sia incorsa nei
denunciati vizi di erronea applicazione della legge penale e motivazionali.
3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Il ricorrente deve inoltre essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio dello Stato RAGIONE_SOCIALE Antiusura Alcamese, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d’appello di Palermo con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Palermo con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 16/05/2025.