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Riciclaggio e concorso nel reato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22825/2025, si è pronunciata sul delicato confine tra riciclaggio e concorso nel reato. Un soggetto, condannato per aver riciclato assegni provenienti da usura, sosteneva di essere in realtà complice dell’usuraio, il che avrebbe reso non punibile il successivo riciclaggio. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che per aversi concorso nel reato presupposto è necessario che l’accordo preventivo per “ripulire” il denaro abbia concretamente influenzato o rafforzato la decisione dell’autore principale di delinquere. In assenza di tale prova, chi aiuta a occultare i proventi illeciti risponde del reato autonomo di riciclaggio.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riciclaggio e concorso nel reato: quando l’aiuto diventa un crimine a sé

La distinzione tra riciclaggio e concorso nel reato presupposto è una delle questioni più complesse del diritto penale. Quando chi aiuta un criminale a nascondere i proventi del suo delitto è considerato un suo complice, e quando invece risponde del reato autonomo di riciclaggio? A questa domanda ha dato una risposta chiara la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 22825 del 2025, delineando un criterio fondamentale per distinguere le due fattispecie.

I fatti del caso

La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un imprenditore per il reato di riciclaggio continuato. L’imputato era accusato di aver sistematicamente “ripulito” il denaro proveniente da delitti di usura commessi da un altro soggetto. In pratica, l’imprenditore riceveva gli assegni che le vittime dell’usura consegnavano all’usuraio, li incassava attraverso la propria azienda e restituiva poi il denaro contante all’usuraio, trattenendo per sé una percentuale a titolo di favore.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna per due specifici episodi di riciclaggio, pur dichiarando prescritti gli altri. L’imputato, tuttavia, ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo una tesi difensiva precisa: la sua condotta non configurerebbe riciclaggio, ma un vero e proprio concorso nel reato di usura. Secondo questa linea, avendo egli agevolato e reso possibile l’attività dell’usuraio, il successivo “lavaggio” del denaro sarebbe un post factum non punibile, ovvero una conseguenza logica del reato principale già commesso in concorso.

Le motivazioni della Suprema Corte sulla differenza tra riciclaggio e concorso nel reato

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, cogliendo l’occasione per ribadire un principio di diritto cruciale. I giudici hanno spiegato che, per distinguere tra la responsabilità per concorso nel reato presupposto e quella per riciclaggio, non è sufficiente un criterio puramente temporale (cioè un accordo stretto prima del reato). È necessario qualcosa in più.

Il punto centrale, afferma la Corte, è verificare se la preventiva assicurazione di “lavare” il denaro illecito abbia realmente influenzato o rafforzato la decisione dell’autore del reato principale di commettere il crimine. In altre parole, si ha concorso solo se l’usuraio ha deciso di commettere l’usura (o si è sentito più sicuro nel farlo) proprio perché sapeva di poter contare sull’aiuto successivo dell’imputato per ripulire i proventi.

Nel caso di specie, le sentenze di merito non avevano fornito alcuna prova in tal senso. Era emerso un “sistema collaudato” di ripulitura del denaro, ma non vi erano elementi per affermare che la disponibilità di tale sistema avesse avuto un’efficacia causale o di rafforzamento sulla volontà dell’usuraio. Quest’ultimo, infatti, distingueva nettamente la propria attività usuraria da quella svolta dai fratelli imprenditori.

Di conseguenza, la condotta dell’imputato è stata correttamente qualificata come riciclaggio. Egli non ha partecipato al reato di usura, ma si è limitato, successivamente, a “ripulire i proventi della suddetta attività illecita”. La sua presenza occasionale a un incontro tra l’usuraio e una vittima è stata ritenuta legata non al prestito, ma proprio alla successiva attività di gestione dell’assegno, confermando la sua estraneità al reato presupposto.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante orientamento giurisprudenziale. Non basta un accordo preventivo per trasformare un riciclatore in un concorrente del reato principale. Affinché si configuri il concorso, è indispensabile dimostrare che la promessa di aiuto successivo abbia avuto un ruolo determinante – di incentivo o di rafforzamento – nella commissione del primo crimine. In assenza di questa prova, chi interviene dopo, per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, commette il reato autonomo di riciclaggio. Questa pronuncia ribadisce la piena autonomia del delitto di riciclaggio, sanzionando chiunque, pur senza partecipare al reato originario, contribuisca a immettere nel circuito economico legale i capitali sporchi, inquinando l’economia e favorendo la criminalità.

Quando un accordo per “ripulire” denaro sporco diventa concorso nel reato presupposto (es. usura) invece che riciclaggio?
Secondo la Corte di Cassazione, si configura il concorso nel reato presupposto solo quando la preventiva assicurazione di “lavare” il denaro abbia concretamente influenzato o rafforzato la decisione dell’autore principale di commettere il crimine. Un semplice accordo preventivo non è sufficiente.

Perché la Cassazione ha ritenuto che l’imputato fosse colpevole di riciclaggio e non di concorso in usura?
Perché non è emersa alcuna prova che il “sistema collaudato” di ripulitura del denaro offerto dall’imputato avesse rafforzato o influenzato la decisione dell’usuraio di commettere i suoi crimini. L’attività dell’imputato è stata considerata successiva e autonoma rispetto al reato di usura, limitandosi a occultarne i proventi.

La presenza occasionale dell’imputato a un incontro tra l’usuraio e la vittima è stata considerata prova di concorso in usura?
No. La Corte ha ritenuto che la presenza dell’imputato a quell’incontro non fosse legata al prestito usurario in sé, ma alla successiva attività di riciclaggio dell’assegno che l’usuraio avrebbe ricevuto. Questo ha rafforzato la tesi che il suo ruolo fosse limitato alla sola ripulitura dei proventi illeciti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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